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Chiara rilettura dell' "Infinito" di Leopardi. 3 strofe sistemate in una struttura metrica
triadica:
1. incipit
2. strofa più lunga, narrativa
3. strofa breve, gnoseologica, nella quale si concentra tutto il significato, ad
esempio costituita interamente da un sillogismo che riprende le prime due strofe
Linguaggio semplice ed elementare. Descrizione della città donna. La prima strofa
inizia con un'apertura volta al nomadismo ("ho attraversato …"), e ad un primo
accenno della cima "popolosa in principio, in là deserta", solo sul finale (strofa
gnoseologica) rivelerà il suo significato. Il "cantuccio" citato è quel luogo familiare che
esiste in tutti gli uomini, l'unico posto in cui il poeta trova sé stesso e "dove esso
termina, termina la città". La seconda strofa è la descrizione antropomorfizzata della
città, prima una donna, una "scontrosa grazia" (ossimoro), poi un "ragazzaccio
vorace", che il poeta descrive con una similitudine per indicare la disarmonia di una
città nella quale non trova mai un totale piacere: "con gli occhi azzurri …" fattore
positivo, "… e mani troppo grandi per regalare un fiore" fattore negativo; è come un
amore disturbato dalla gelosia. Inizia una sintassi contorta, con il verbo alla fine della
frase ("scopro"). L'"ingombrata spiaggia" è la fine delle sue certezze, il poeta
vorrebbe il deserto citato nella prima strofa; la "collina" è la certezza, quella sicurezza
alla quale una casa riesce ad aggrapparsi. L'"aria natia" è quell'aria strana, nomade,
che "circola intorno ad ogni cosa", quell'aria non accettata, perché interiormente il
poeta non accetta le sue radici non italiane, lui si sente italiano (espressione di
inconscio VS coscienza). La terza strofa conclusiva e breve riprende il "cantuccio"
dell'incipit, ora rivelato come un luogo solitario, il deserto nella sua vita
"pensosa" (riprende l'aggettivo leopardiano in "A Silvia") e lontana dalla folla.
ANALISI: "Città Vecchia"
3 strofe, struttura triadica. Scenario umano, idea della vita della città (ripresa
dell'ultima strofa di "Trieste"). I temi principali sono il buio, attraversato dal "fanale
giallo" (ripreso da Carducci) che ritrova la catarsi, la purezza e la gente che va e
viene, che dipinge con la sua varietà di personalità il cupo porto di mare, il contatto
con l'umiltà della gente riporta il poeta verso l'infinito, agita improvvisamente il suo
pensiero profondo, risvegliando la purezza. Rime facili, i versi sono variegati:
endecasillabi, settenari e quinari; linguaggio semplice, umile. Dalla seconda strofa
inizia la descrizione della "turpe umanità": prostitute, marinai, vecchi, bestemmie e
urla animano la scena. Saba collega attraverso la rima facile gozzaniana cuore-
amore la religione, il dolore, la felicità e la semplicità di una bottega: (seguendo
l'ordine) "Signore", "dolore", "amore", "friggitore". La terza strofa conclusiva è quella
rivelatrice del pensiero di Saba il quale si apre alla purezza toccando le scene più
turpi, di fronte all'umiltà della gente. Abbiamo un salto dalla descrizione concreta di
una scena reale alla trasfigurazione mentale del poeta di tale realtà. Chiave biblica.
ANALISI: "Più soli"
3 strofe, struttura triadica. Scenario del dramma del tradimento della moglie Lina. La
poesia chiude la raccolta. Siamo in una dimensione corale, teatrale, nella quale
troviamo i due personaggi intenti in un dialogo di sguardi. La prima strofa ci descrive
il luogo e la collocazione del racconto in presa diretta: un luogo esistente, indicato dai
"due arsenali" di Trieste. La seconda mette a fuoco i dettagli del luogo in cui avviene
la scoperta: quei luoghi già conosciuti assumono ora tutt'altro significato nel momento
della scoperta. I due non si parlano, ma si guardano "lo sguardo […] l'affondavo […]
nei suoi occhi strani", e si ha nuovamente una trasposizione del pensiero del poeta,
cioè la descrizione di ciò che l'io lirico pensa mentre l'azione accade. La terza strofa
assume il tempo passato remoto, tempo del racconto, e si arricchisce con una
colonna sonora, l'arrivo di una "fanfara". Messa a fuoco degli occhi un'ultima volta
dove "una lacrima s'accese", ed espressione della vergogna attraverso il colore del di
lei viso. La poesia ha sicuramente un carattere cinematografico, reso dalla messa a
fuoco di tutti i particolari. Il titolo si riferisce al fatto che i due personaggi non si
parlano, sono dunque più soli.
"Scorciatoie e Raccontini" è un'intera raccolta di aforismi ("aforisma" deriva dalla
radice greca analoga a quella di "orizzonte" -> "delimito"), pubblicata in rivista. La
novità è la brevità, il riuscire a dire in poche parole grandi verità, la prosa asciutta per
dare più importanza al significato della frase, affinché questo rimanga impresso al
lettore. Essenzialità, quindi, e brevità che comunicano un messaggio poetico in frasi
ellittiche. La scorciatoia è figurativamente la via più breve per raggiungere un
obiettivo, una verità in cui i non detti sono più numerosi dei detti; è sostituita dalla
frase breve, che fa raggiungere l'illuminazione dei nessi logici sottostanti: l'aforisma è
un'isola, che emerge dal mare, ma solo in piccola parte, al di sotto si collega ad altre
terre (significati nascosti), che il lettore deve scoprire (grazie alle scorciatoie). Queste
metafore piene di verità e senso etico vennero scritte da Saba durante la guerra per
necessità: se avesse scritto tutto chiaramente avrebbero censurato la sua opera.
"Mediterranee" è una raccolta del 1946 redatta da Mondadori. L'aggettivo
mediterranee si riferisce al sostantivo poesie…scritte in terre bagnate dal Mar
Mediterraneo, infatti la stesura dei testi risale al suo soggiorno a Roma, lontano da
Trieste. Il Mar Mediterraneo perché culla di svariate civiltà: classica, greca, romana,
araba ecc. In questa raccolta viene evidenziato l'attaccamento nelle teorie di Saba a
quelle di Nietzche e Freud. Questi due autori sono ispirazione per Saba nel momento
in cui tutte le certezze sono cadute, è la fine del positivismo, della fiducia nelle
scienze. Da Nietzche Saba riprende l'urto fra APOLLINEO (l'armonia razionale) e
DIONISIACO (il divenire caotico, la vita frenetica e l'entusiasmo poetico) con la
prevalenza del primo sul caos, perché l'uomo tende alla morte, prima o poi vi si
arrende; da Freud lo scavo psicanalitico per raggiungere la verità filtrando eticamente
e socialmente il super-io. Ripresa dell'urto fra inconscio e coscienza.
Lontano dalle avanguardie Saba crea la sua poesia basata sui simboli dell'inconscio,
seguendo il genere del melodramma, prendendo l'ispirazione da autori classici come
Foscolo e Leopardi, ma anche più vicini contemporanei come Pascoli, ed
eccezionalmente alcuni caratteri dalla poesia dannunziana.
ANALISI: "Casa della mia nutrice"
Ispirato da "Casa mia" di Pascoli, Saba ricrea lo spazio reale ed allo stesso tempo
mitico, lo spazio dell'anima e delle certezze/sicurezze. Fin dalla prima strofa si parla
di metapoesia: "[…] che dal primo verso addito?". Siamo all'interno della descrizione
di un luogo oltremondano, mitico che il poeta, con un refrain e la ripetizione della
vocale "I" ("viso", "antica", " antica", "paradiso") rende facili le rime e facile l'immagine
figurativa. Abbiamo nella seconda strofa un movente psichico: il "tempo" che da una
parte corrode e consuma ("del tetto una rovina"), ma dall'altra crea il mito. La terza
strofa si apre con la descrizione di un quadro familiare, con "la donna" che
"sfaccenda" (termine ripreso da Pascoli) in casa, e l'introduzione di una luce
oltreumana, quella luce che per il poeta rappresenta una colonna, un punto fermo,
una certezza, e alla fine, nella quarta strofa, la purezza. Grazie alla luce anche
"mesto ero felice" e "ogni male" diventa "puro". Qui si passa dal fisico al metafisico,
dal concreto all'immagine mentale. Presenza del dolore, la si percepisce grazie a
questa ricerca nella psiche. La messa a fuori del "muro" è il dettaglio metonimico per
indicare la sicurezza che il poeta trova tra le mure domestiche della sua nutrice. La
poesia nella sua interezza è un crescendo di stati d'animo sempre più forti, nella
costruzione di un mito familiare.
ANALISI: "Tre poesie alla mia balia"
Il tema sono le fratture dell'inconscio che il poeta cerca di trovare. Riprende del
"Poema Paradisiaco" di D'Annunzio il tema del ritorno alla nutrice, alle radici,
riparazione dell'abbandono, quel trauma che ha segnato l'intera sua vita, con un
valore psicanalitico. L'intera poesia dà un senso di inattualità dato dallo spazio
(geografico, la questione del sentirsi italiano, ma trovarsi in periferia e parlare il
tedesco) e dal tempo (fuori dalle avanguardie, non ne condivide la tradizione, non
viene capito).
Inizia la prima strofa con un'inversione sintattica, ad indicare il disordine dell'uomo a
partire dal disordine delle sue parole (inconscio non lineare). La figura del bambino
che piange alla vista della "donna che va via" è la trasposizione figurativa del suo
trauma di separazione. Il doppio scalino tipografico ("…Adesso / sono passati…" - "…
Il bimbo / è un uomo") ribadisce il nodo emotivo dell'inconscio dell'autore. Appaiono
per la prima volta nome e cognome dell'autore (divisi, a significare la frattura, la
ricerca dell'identificazione) all'interno dell'opera: "Umberto / Saba" che si paragona al
bimbo che piange e cerca la nutrice (metafora della faticosa ricerca delle proprie
origini) ed allo stesso tempo al "vecchio, esperto di molti bene e molti mali", cioè
Ulisse, archetipo di conoscenza. Il bambino è abbandonato, ma la nutrice "fu di
lasciarlo infelice", altra inversione sintattica, a richiamare il classicismo mediterraneo.
Abbiamo la visione del mondo agli occhi del bimbo: "nemico". Precede questa
descrizione una didascalia, scritta tra parentesi di oggettivazione che l'io lirico fa di sé
stesso "(o almeno cos&igrav