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EONINI ASSATELLI 3  

  L'abito è dunque il modo primario per uno straniero di relazionarsi ed omologarsi

con la società ospitante, manifestando allo stesso tempo il proprio io, marcando la propria

diversità, promuovendo la propria individualità. Gli stranieri assimilano norme, valori ed

atteggiamenti tipici della componente maggioritaria della società e quest’ultima, allo stesso

modo, appare interconnessa con quella cultura che i nuovi arrivati inevitabilmente hanno

con se’. Una ricchezza che gli immigrati portano e che fondono in modo sorprendente e

originale con il patrimonio culturale del paese in cui si trasferiscono. Questo è stato

percepito dagli stilisti più sensibili come un bagaglio di pura energia creativa che si riversa

sulle passerelle l'etnico. Uno stile degno della società in cui viviamo: interconnessa,

globalizzata ed interrazziale. Non a caso l’etnico è il trend della società globale su cui

gli stilisti hanno da sempre interesse. Infatti, l’universo fashion non può certo dirsi nuovo a

tendenze d’importazione: dai tessuti, alle stampe, ai colori. I mondi lontani, le culture

primitive, l'Africa nera, il deserto, i tropici, sono da sempre stati presi come fonte

d'ispirazione in modo tutt'altro che sporadico. La moda etnica è simbolo

dell’interculturalità perché sempre aperta a contaminazioni, compenetrazioni, simbiosi,

innesti.

1.2 - Il Velo Islamico

Intriso di una moltitudine di significati: simbolo religioso, di identità etnica, di rapporti di

potere, di demarcazione sociale, di resistenza ai valori individualistici e consumistici del

capitalismo avanzato, o ancora di rinnovata spiritualità in un mondo sempre più

materialista, il velo islamico è l'indumento più discusso, politicizzato e strumentalizzato

della storia umana.

Nei tempi più recenti è, per l’Occidente, il simbolo dell'oppressione della donna; fin

troppo note sono le dichiarazioni di Cherie Blair e di Laura Bush, che nel 2001, a ridosso

dell'intervento armato in Afghanistan, si premuravano di far sapere come l'obiettivo

dell'operazione, significativamente denominata Enduring Freedom, fosse la lotta contro il

burqa e le asserite condizioni di brutale oppressione perpetrate dai talebani contro le donne.

Severamente vietato nella Persia in nome della forzata "civilizzazione" del paese; vietato

nelle università della Turchia a seguito della modernizzazione di Kemal Atatürk o a partire

dal 2011 nelle scuole dell'Azerbaigian, nonostante si tratti di paesi a larga maggioranza

musulmana. Bandito oggi nelle scuole francesi e, nella sua versione integrale, anche da

qualsiasi luogo pubblico sia in Francia che in Belgio, il velo e la questione sul “quando e

dove” può essere indossato sembrano prescindere dalla volontà delle dirette interessate: le

donne. Sia che il copricapo sia loro imposto o vietato, le donne sono considerate meri

soggetti da disciplinare. La domanda è questa: è possibile scegliere liberamente di

indossare il velo, o le donne che si coprono sono sempre, sia pur inconsapevolmente,

prigioniere di una cultura che le opprime? Quanto le donne occidentali, che seguono diete

ferree, fino ad ammalarsi di anoressia, che mettono tacchi a spillo alti dodici centimetri o

che si sottopongono a invasivi interventi di cosmesi chirurgica per conformarsi ai modelli

dominanti di bellezza e giovinezza eterna, sono più libere? I tacchi a spillo o la taglia 42

non sono forse il nostro Burqa? A sostenerlo è la sociologa Fatema Mernissi nel capitolo

finale del suo libro L'Harem e l'Occidente (2000).

Il velo non è solo un simbolo imposto dell'Islam politico, ma anche un'estetica e uno

stile di vita: una scelta libera e consapevole che si accompagna a quel ritorno delle religioni

nella sfera pubblica che caratterizza il nuovo secolo. L'utilizzo del velo è frutto di una

scelta libera e consapevole anche delle donne immigrate nei paesi Occidentali. Infatti, per

le donne musulmane in occidente il velo rappresenta, da un lato, il sentimento di ritorno

alla religione, e dall’altro, l’esigenza di rappresentare la propria cultura di provenienza. Il

velo diventa così un simbolo d’identità ed è indossato con orgoglio. Purtroppo non esistono 4  

 

dati ufficiali per studiare in profondità il fenomeno, ma indagando le diverse opzioni, ossia:

portare il velo sotto la pressione sociale dei gruppi familiari, dei maschi della famiglia o

dell’insieme della comunità, possiamo affermare che uno dei motivi per cui le immigrate

musulmane in Europa indossano il velo è quello di una scelta associata alla contestazione di

alcune istanze del modello femminile europeo, e più in generale del materialismo

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esasperato del mondo occidentale.

Certo è che il velo islamico, oltre a suscitare grandi dibattiti in Europa sul suo utilizzo negli

spazi pubblici, ha anche dato vita in questi anni ad una trasformazione dei costumi

sotterranea e pervasiva, non solo nelle società musulmane - a cominciare proprio dalla

Repubblica Islamica dell'Iran che fa da laboratorio per le interpretazioni più libere ed

innovative del velo sui capelli da parte delle donne - ma anche in quelle occidentali. Le

giovani velate del resto non sfuggono alla vanità e al consumismo, e fanno del velo (come

ogni donna del proprio abbigliamento) l'occasione per una scelta di stile personale e

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originale.

Possiamo quindi affermare che, alla base delle pratiche di vestiario messe in atto da

parte di migranti in paesi diversi da quelli di provenienza, sono rinvenibili strategie di

confronto critico e creativo con le proprie tradizioni. Queste operazioni di vestiario da parte

delle donne musulmane in Europa sono inquadrate in un fenomeno recentissimo e piuttosto

indefinito chiamato Islam Fusion. Esso comprende la creazione ad hoc di alcuni abiti tra

cui, ad esempio, jeans confezionati per potersi inginocchiare e pregare comodamente. Nelle

strade delle capitali europee esistono adattamenti creativi in chiave musulmana delle varie

proposte della moda, ricordiamo quella del colosso H&M, che ha subito approfittato della

tendenza per la vendita delle sue collezioni on line. In questa prospettiva il significato

religioso del velo diventa solo uno dei tanti significati che si stratificano in questo

indumento o che contribuisce in maniera quotidiana alla costruzione dell’immagine sociale

4

e pubblica delle donne musulmane.

Capitolo II – Il rovesciamento della teoria del trickle-down

Campbell evidenzia il ruolo dei gruppi marginali della società nella dinamica della moda.

Secondo lo studioso questi gruppi marginali manifestano spesso la tendenza ad innovare e a

contestare le convenzioni stabilite: non sarebbe quindi la classe superiore ad avviare la

diffusione della moda, ma gruppi che sono alla periferia della società (gli artisti, i bohémiens,

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ecc.) che desiderano rompere con la quotidianità. Questo assunto dunque, rovescia la teoria

del trickle-down di Georg Simmel, secondo cui le classi inferiori imitano le classi più elevate,

che a loro volta adottano una nuova moda per ristabilire quella differenza. Quello promosso

da Campbell è, invece, un processo basato sulla continua innovazione e sul cambiamento a

favore delle classi meno agiate della società. Oggi si parla infatti di trickle-up, intendendo con

ciò il completo capovolgimento della precedente dinamica simmeliana. Ted Polhemus (1994),

coniando il termine “street fashion” ha messo in risalto proprio questo nuovo ruolo creativo

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delle classi basse riguardo alla moda.

                                                                                                                         

2 Marzo 2013. F E . Il Velo nell’Islam. “Una scelta libera e consapevole”. Il Fatto Quotidiano on line

ERRIS RIKA

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/11/velo-nellislam-una-scelta-libera-e-consapevole/526479/

3 P (2012), Il velo nell'Islam. Storia, politica, estetica. Roma, Carrocci Editore. Cap.5.

EPICELLI RENATA

4 A G , M C M , N B (2004). Manuale di comunicazione,

NTONELLA IANNONE ARIA RISTINA ARCHETTI ELLO ARILE

sociologia e cultura della moda. Vol. V. Performance. Roma, Nello Barile Editore. Cap. 5

5 E T , sez. Enciclopedia delle scienze sociali (1996), ed. online, s.v. moda.

NCICLOPEDIA RECCANI

http://www.treccani.it/enciclopedia/moda_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/

6 L F , E D (2005). Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda.

EOPOLDINA ORTUNATI LDA ANESE

Vol. III. Il Made In Italy. Roma, Nello Barile Editore. Cap. 6 5  

  Secondo Campbell la moda offre uno spazio onirico in cui compensare le delusioni del

quotidiano, così la gente comune s’identifica - attraverso la moda - con gruppi marginali che

offrono un modello di vita lontano dalla banalità quotidiana. E’ su questa premessa che si

passa ad analizzare i fenomeni della moda di strada e della sua ascesa nell’alta moda.

2.1 Street fashion: nascita e diffusione.

Street fashion è un termine inglese usato per descrivere la moda che si ispira e si appropria

di tendenze derivanti dall'abbigliamento di strada. Il fenomeno della street fashion non è

certo una novità di questi ultimi anni. Gli osservatori più attenti sanno che, da decenni,

molti dei maggiori designer utilizzano la strada come fonte di ispirazione. E’ stato il prêt-

à-porter, con la sua collocazione mediana e ambivalente tra esclusività elitaria e consumo

di massa, il primo settore a ridurre il divario tra classi più e meno agiate. In Vogue Encyclo

si legge:

“Le grandi mode e le tendenze capaci di dettare stili di vita e comportamenti di consumo,

nascono tra i giovani; sono essi stessi a crearle, adottarle, convalidandole nel tempo. E' la

regola della cultura suburbana che decontestualizzata dal suo habitat naturale. La strada

trova nuovo contesto e successo nel sistema moda. La strada degli Zooties, Hipsters,

Rappers, Beats, Rockers, Hippies, Rude Boys, Punks: ognuno con il suo stile codifica

quelle idee e ideali da cui nasce la loro identità di gruppo. E' finita l'era della moda, quella

ufficiale, in cui il designer, lo stilista, il responsabile della ricerca informato sul trend,

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A.A. 2014-2015
8 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher suania8 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Comunicazione d'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Giannini Mirella.