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IL CINEMA MUTO. UN LINGUAGGIO UNIVERSALE

Prefazione

La maggior parte degli spettatori contemporanei probabilmente non ha mai avuto modo di assistere

alla proiezione di un film muto in una sala cinematografica. Se la copia del film muto è correttamen-

te restaurata e le condizioni di proiezione ottimali, vedere un film muto è un’esperienza indimentica-

bile. Da alcuni anni, numerosi film contemporanei hanno riscoperto la virtù del silenzio, eludendo i

dialoghi allo scopo di privilegiare i gesti, gli sguardi, i rumori ambientali e la musica. L’obiettivo di

tali cineasti – soprattutto orientali – è quello di superare le barriere linguistiche e diffondere un lin-

guaggio universale, recuperando la tendenza all’universalismo propria del cinema muto. Fra i tanti

titoli che illustrano questo tipo di orientamento, vi sono:

- (1995) di Tran Anh Hung: descrizioni visive e musica senza parole.

Il profumo della papaya verde

- (2005) di Gus Van Sant: lunghe sequenze senza parole, si sentono i rumori della natura.

Last Days

Altri cineasti cinefili hanno tentato di resuscitare il muto:

- (1968) di Philippe Garrel

Le révélateur

- (1972) di Philippe Garrel

Athanor

- (1984) di Jacques Richard

Rebelote

- (1976) di Mel Brooks

L’ultima follia di Mel Brooks

- (1999) di Aki Kaurismäki

Juha

- (1974) di Philippe Garrel

Les hautes solitudes

Non stiamo parlando di opere mute, bensì sonore, caratterizzate tuttavia dal fatto di mostrare perso-

naggi e situazioni privi di parole. I protagonisti agiscono in un ambiente saturo di rumori naturali e l’

assenza della voce umana offre uno spazio libero che viene occupato dalla musica. Il film L’isola nu-

(1960) di Shindō Kaneto mostra i viaggi di una coppia di contadini: lungo tutto il film percepia-

da

mo lo sciabordio dell’acqua e i rumori dei rami senza che i personaggi proferiscano parola, mentre

.

una musica ossessionante ne accompagna gli spostamenti e i gesti

Nei film del periodo muto (1895-1929) i personaggi si esprimono attraverso gesti e parole. I loro in-

terlocutori li ascoltano e rispondono, solo gli spettatori non sono in grado di sentirle, dal momento in

cui non vengono riprodotte tramite apparecchi acustici. Tuttavia, con l’avvento del sonoro, le storie

riservano paradossalmente uno spazio maggiore ai personaggi muti:

- (1947) di Jacques Tourneur: il giovane sordomuto.

Le catene della colpa

- (1959) di Marcel Camus: l’uomo misterioso.

Orfeo negro

- (1966) di Ingmar Bergman: l’attrice muta interpretata da Liv Ullmann.

Persona

- (1958) di Anthony Mann: uno dei banditi uccisi da Gary Cooper.

Dove la terra scotta

La definizione “cinema muto” è poco pertinente, poiché è diventata di uso comune soltanto con il

passaggio al cinema sonoro. Parlare di cinema muto significa intendere l’assenza di parola come una

Il periodo del muto, che va dalle origini del cinema sino alla fine

sorta di menomazione, di handicap.

degli anni Venti, è stato oggetto dei primi studi sull’arte cinematografica (1908-1916) condotti da

Ricciotto Canudo, Hugo Münsterberg e Vachel Lindsay. Successivamente, sono stati i grandi teorici

degli anni Venti, Louis Delluc, Jean Epstein, Béla Balázs e Sergej Ejzenštejn, a sottolineare la forza

espressiva dell’immagine muta, nonché delle virtù estetiche dell’inquadratura e del montaggio. Alla

fine di quel decennio, il cinema muto raggiunge il proprio apice dal punto di vista artistico, rappre-

sentato da capolavori come (1927) di Fritz Lang, (1928)

Metropolis La passione di Giovanna d’Arco

di Carl Theodor Dreyer e (1929) di Dziga Vertov.

L’uomo con la macchina da presa

Il brutale passaggio al cinema sonoro, avvenuto con l’apparizione sugli schermi americani di Il can-

(1927) di Alan Crosland, rappresenta un grosso trauma per i registi, i critici e i sosteni-

tante di Jazz

tori del cinema muto. Serviranno circa vent’anni perché il cinema sonoro venga riconosciuto come

arte a tutto tondo, grazie agli scritti di Roger Leenhardt, Alexandre Astruc e André Bazin. Le nuove

correnti cinematografiche degli anni Sessanta consentiranno l’inserimento del cinema classico, tipi-

co degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, nel della storia del cinema. Ciò non toglie che

Pantheon

il cinema muto abbia regalato centinaia di capolavori ineguagliabili che offrono ancora emozioni u-

niche, sia che si tratti di opere epiche come (1927) di Abel Gance, sperimentali come

Napoleone L’

(1929) di Dziga Vertov, intimiste come (1927) di Friedrich

uomo con la macchina da presa Aurora

Wilhelm Murnau e (1927) di Frank Borzage .

Settimo Cielo

Capitolo I – L’estetica del cinema muto

La musica del silenzio e la pantomima

Nel 1908, il teorico Ricciotto Canudo definisce il cinema come la Sesta e successivamente come la

Settima Arte. Questo concetto, sviluppato nel 1914 da Vachel Lindsay in The Art of the Moving Pic-

vuole integrare il cinema tra le Arti Maggiori difendendone strenuamente la specificità. Forme

ture,

espressive come il teatro e la letteratura tentavano infatti di annettere il cinema e in ciò erano soste-

nute da strutture produttive come la che producevano film basati su opere letterarie e tea-

Film d’Art

trali interpretati a loro volta da attori della come

Comédie Française, L’assassinat du duc de Guise,

diretto nel 1908 da André Calmettes e interpretato da Charles Le Bargy. Per questi studiosi il cinema

è la musica della luce, la sintesi oppure la summa delle altre arti, come sostiene Canudo nei noti sag-

gi (1911) e

Naissance d’un Sixième art – Essai sur le cinématographe Manifeste de l’art cérèbriste,

del 1914.

Il teatro del silenzio

Il cinema muto era concepito sia come un “teatro del silenzio”, sia come una forma d’arte vicina alla

pantomima, in cui gli attori si esprimono attraverso gesti, mimica ed espressione visiva senza parlare.

Nei film muti i personaggi potevano tacere o esprimersi attraverso la gestualità – come nelle pellico-

– ma non imponevano mai a se stessi di non parlare: era semplicemente il suono

le di Méliès e Zecca

della loro voce che risultava assente durante la proiezione. Studi recenti (Rick Altman, Martin Bar-

nier) hanno dimostrato che le proiezioni di film muti erano tutt’altro che silenziose: l’accompagna-

mento sonoro era assicurato da pianisti, musicisti e imbonitori. La mancanza di una parola udibile in-

vece di essere considerata un handicap, era ritenuta come la condizione in grado di evidenziare le po-

tenzialità estetiche del cinema muto. Lo storico dell’arte tedesco Rudolf Arnheim, nella sua celebre

opera (1932), critica fortemente il cinema sonoro. Egli considera il cinema come un’

Film come arte

arte poiché non si limita a riprodurre la realtà, ma si differenzia da essa per tre ragioni:

¾ L’assenza del suono;

¾ La continuità spazio-temporale;

¾ I limiti fisici imposti all’immagine dall’inquadratura.

L’introduzione del sonoro per Arnheim appiattisce il cinema costringendolo alla mera riproduzione

Tale tesi venne sposata dai grandi registi e teorici del periodo, da Ejzenštejn a Chaplin, op

analogica. -

positori del nonché dal musicologo Émile Vuillermoz, strenuo sostenitore della raffi-

teatro filmato,

natezza del mimo e del potere evocativo dell’immagine muta. Secondo l’attore Séverin Mars, inter-

prete di numerosi film di Abel Gance, il cinema è una grande arte perché mette in campo due forze:

l’immagine, che agisce direttamente sull’immaginazione, e una più soggettiva, il silenzio.

Esistono di fatto due grandi correnti del cinema muto:

¾ Assenza della parola come handicap.

¾ Assenza della parola come possibilità per sviluppare un linguaggio proprio.

Un linguaggio interiore

L’arte muta degli anni Venti a saputo eludere la parola dando vita ad una molteplicità di significati

profondamente originale e personale. La presa di coscienza del mutismo e della specificità dell’im-

magine in movimento è all’origine dello stile dei grandi registi degli anni Venti e delle scuole esteti-

Christian Metz sottolinea la capacità di Eric Von Stro-

che che hanno contrassegnato questo periodo.

heim di esprimersi al meglio con le immagini mute in (1921) e (1924-25). Il

Femmine folli Rapacità

formalismo russo evidenzia la specificità del cinema muto: Boris Ejchenbaum nel suo noto saggio I

(1927) sostiene che il cinema muto, escludendo la parola udibi-

problemi dello stile cinematografico

le, pone in primo piano il movimento visto nei suoi particolari. Lo spettatore cinematografico esperi-

sce una percezione completamente nuova, contraria alla lettura: dal movimento visibile egli muove

verso la comprensione, verso la costruzione del discorso interiore. La funzione della musica che ac-

compagna la proiezione non è quella di parafrasare le azioni, bensì di consentire allo spettatore di ri-

cercare il silenzio, di facilitargli lo sforzo di uno comprensione totalmente visiva: essa permette allo

spettatore di fare a meno del bisogno di udire, restituendo completezza all’immagine fotografica.

Un linguaggio universale

Secondo i teorici degli anni Venti il cinema muto dava vita ad un linguaggio interiore considerato u-

niversale. Esso consentiva infatti di oltrepassare le frontiere nazionali nonché le barriere linguistiche

e di annullare le differenze sociali e culturali degli spettatori. L’universalismo del cinema muto quin-

di era anche sociale. Secondo lo scrittore surrealista Benjamin Fondane, la polisemia dell’immagine

genera una serie di malintesi positivi utili per riunire intorno ad essa le categorie sociali di pub-

muta

blico più eterogenee. Tale universalità è possibile grazie al silenzio: ciò che rendeva l’immagine mu-

ta unica era proprio il silenzio dei personaggi, che costringeva ad attribuire loro altre parole, altre mo-

tivazioni rispetto a quelle che la loro realtà implicava sul piano dell’intelligibile. Si trattava di creare

un linguaggio gestuale nuovo e perfetto, che non prendesse solamente il posto della parola ma che ne

il fallimento.

evidenziasse

Cinema muto e panteismo

Secondo Barthélemy Amengual, il cinema muto ha la straordinaria vocazione per l’espressione lirica

della dimensione cosmica degli uomini e dei loro destini. Le scenografie di certi film espressionisti,

come (1920) di Robert Wiene e (1922) di Frie-

Il gabinetto del dottor Caligari Nosferatu il vampiro

drich Wilhelm Murnau, o i paesaggi di film scandinavi come (1916

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
20 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giox1988 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Alonge Giaime.