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INPS
o Trasferimenti da fondi privati,
o Risorse proprie dei comuni.
o
La spesa sociale è finanziata da risorse dei comuni stessi per la maggior parte. Italia 2 quota
fondi regionali, fondo indistinto politiche sociali sono al 10%, conta più sulle isole che è al 21%.
Fondi da stato e UE 4.5 più elevati al sud e isole, poi quote associative più presenti nel nord-est
dove unione comuni sono più presenti,
60% risorse proprie tutto il resto disegnato in quella torta.
Gestione: chi gestisce la spesa e lo fa direttamente con risorse proprie o assegnare ad altri? Se
gestisce il comune o altre forme possibili che hanno deciso di dare titolarità a distretto ambito
sotto parte (pianificazione e pianificazione)
2. LA REGOLAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI: ATTORI, DINAMICHE,
QUESTIONI
Campo in cui si incontrano vari soggetti che attraverso trasferimenti monetari o interventi e
servizi danno risposta ai diversi bisogni, “governance delle politiche sociali” ma regolazione è un
termine più corretto.
Attori che popolano nel campo transattivo delle politiche sociali abbiamo tutta la gamma dei
soggetti:
Il pubblico = che per via finanziaria sostiene gran parte della spesa delle politiche sociali,
o Il privato for profit = mercato mercantile, vende dei beni e servizi a volte acquistati dalla
o pubblica amministrazione e a volte acquistate da persone portatrice di bisogni,
Il privato non profit = soggetto emergente parabola più forte è negli ultimi 20-30 anni,
o destina risorse e azioni a ciò che ritiene meritevole e bene collettivo da tutelare,
Il corredo di reti primarie e famiglie = emblematicamente al centro dei piani e programmi
o e destinataria di risorse in Italia non così importanti.
Un’arena dunque in cui si incontrano diversi soggetti, gli obiettivi sono quelli nel “fumetto”, si
dice che c’è carenza di risorse, in generale c’è ne tempo di austerity ma c’è anche carenza in
alcuni settori, bisogna cercare fuori dal recinto del welfare qualcuno che metta risorse, e
bisogna coinvolgerli anche nella progettazione del welfare, chiamando anche soggetti gestori
a co progettare.
Sul mercato puntare a mobilitare il risparmio privato in forme efficienti: cosa può fare il
pubblico?
Operazione poco facile da percepire, cioè sgravi (tu fai assicurazione privata sulla vita, io ti
consento di detrarre quello che paghi della polizza, lo stato incentiva questa attività, quindi
coprirsi anche in questo campo, non la paghi tutta perché una quota la vai a detrarre, su 1000
euro il 19% viene risparmiato, è comunque una forma di welfare in forma indiretta di spesa che
insiste sulle casse pubbliche, si sostiene costo in via indiretta, solo chi può permetterselo
accede, cambia un po’ modello ma si vuole muovere il risparmio privato).
Risparmio in campo attraverso forme assicurative, asilo nido aziendale, che ha oltre sgravi
consentiti anche posti convenzionati con il pubblico, caratteristiche di accreditamento ma
pubblico per chi accede riconosce parte della quota come proprio costo, welfare mix che
secondo il secondo welfare, andrebbe ad arricchire scenario complessivo, per migliorare
benessere italiano.
Quelli in verde competenza degli enti pubblici, coordinare azioni, regolare, stabilire come si
fanno le cose, monitorare andamento azioni e valutazione ed efficacie e efficienza di questa
azione. Come fare di questi attori alleati? Come fare dei collaboratori virtuosi?
Si parla si secondo welfare si chiama secondo perché presuppone ce ne sia stato uno prima
che era il welfare state, vuol dire che il primo non funzionava così bene, o esaurito la sua
parabola, non più adatto ai tempi. Idea schema welfare secondo dopo guerra non può più
tenere nelle mutate circostanze economiche, sociali e culturali quindi siccome le
problematiche sono di una società differenziata ma anche propensa a partecipare e il welfare
state ha segnato passaggi delicati nella capacità di includere, rappresentare, essere efficiente
occorre andare in uno scenario di ordine economico finanziario che progettuale e gestionale.
LA REGOLAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI: IL CENSIMENTO ISTAT RELATIVO
ALLA ISTITUZIONI NON PROFIT
Istat ha effettuato periodicamente alcune rilevazioni sul non profit, uno nel 2001-2011 poi nel
2015 è passata al censimento permanente, quindi una continua erogazione di dati annuali che
aggiorna la situazione, rilevante il fenomeno in termini oggettivo statistici.
Ha dimostrato di saper fare cose, prossimità e vicinanza ai cittadini, reciprocità, colmare alcuni
buchi della modernità, ha guadagnato un’attenzione tale che l’ISTAT ha sentito la necessità di
monitorarlo, non da ultimo perché anche volume posti di lavoro che il 3 settore è in grado di
offrire non è irrilevante.
Definizione che adotta ISTAT su questo settore (non profit):
“Si definisce istituzione non profit un’unità giuridica-economica dotata o meno di personalità
giuridica, di natura privata, che produce beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e
che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non ha facoltà di distribuire, anche
indirettamente, profitti o altri guadagni, diversi dalla remunerazione del lavoro prestato, ai
soggetti che la hanno istituita o ai soci”
Internamente all’ambito no profit ci sono attori che non può avere nessun tipo di pagamento
come compenso (volontariato) ma un’associazione può avere segreteria organizzativa è c’è chi
percepisce uno stipendio. Con questa definizione hanno fatto un’analisi campionaria, più di 40
mila istituzioni non profit.
20 anni fa censimento fatto misurava presenza di 235 mila istituzioni non profit, un decennio
dopo aumentano del 28% per un ammontare di oltre 3 milioni di volontari che aumentano nel
2011. Un’ampia quota di istituzioni ha dei volontari, i dipendenti sono molti meno 1/6 circa.
Alcuni lavoratori sono esterni non fanno parte della cooperativa ma sono di tipo cocopro
quindi di tipo temporaneo.
Strumento più professionalizzante sono le cooperazioni sociali, quello più volontaristico sono
le associazioni. Fondazioni di soggetti che cumulano buon numero di dipendenti, fondazioni
bancarie, di impresa e di comunità, le più importanti per il volume che spostano sono quella
bancarie. 80% di unità attive fa ricorso a volontari. Entro il non profit è aumentata la dimensione
legata al lavoro retribuito, luoghi dove si può trovare occupazione.
Come mai negli ultimi 20 anni è aumentata fetta gestita da enti non profit? 1- perché si
risparmia, 2- si ritiene più appropriato che alcuni tipi di azioni siano fatte non da soggetti
pubblici o privati profit ma da soggetti non profit di solito molto radicati del territorio.
3 principali forme, ammontare prevalente che diminuisce un po’ dal 2011 al 2015 di quelle
riconosciute e non. Giochiamo con 3 grossi attori, associazionismo, cooperazione e fondazione,
vengono riproposte accostandole al settore di attività prevalente. Propone alcuni settori:
Sanità, istruzione ricerca, sviluppo economico qui abbiamo lavoratori, negli altri di fatto prevale
grandemente la presenza di volontari. Quella cosa che chiamiamo non profit è differenziata
internamente, differenziata per forma giuridica, per propensione, in settori di attività
prevalente.
.
LA REGOLAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI
Distribuzione territoriale, l’Italia ha una media di 55 istituzioni ogni 10 mila abitanti, ci consente
di vedere se c‘è diversità tra regione a regione. Vediamo che nord e centro-nord ci dice che c’è
sempre una frattura, centro-nord presenta più istituzioni non profit, dotazione di capitale
sociale è inferiore al sud e maggiore al nord anche come prossimità e sostegno, questo in
corrispondenza con istituzioni pubbliche ma la presenza di una densa rete di non profit è un
pungolo all’istituzione pubblica e se non c‘è si depotenzia la capacità di fare da “guardiano” di
chiedere e proporre in integrazione rispetto a quello che il pubblico fa o non fa, complessità
forte in una società che ha bisogno di associazioni non profit (?).
Differenza tra nord e sud ma se andiamo per settore prevalente, numerosità, numero
dipendenti e volontari, numero di affari gestiti, magari al sud sono meno numerose ma più
grosse e con maggiori gestioni socio sanitarie dai comuni (?). Ultimo dato va detto su un
aspetto che è quello che viene messo in luce al non profit sulla natura di tipo volontaristico
rispetto alla sua capacità di dare occupazione, mediamente ogni associazione non profit ha
130 dipendenti, abbiamo dati superiori alla media quanto più il verde si fa intenso, tipo il Lazio
che prima non c’era, c’è differenza centro-nord sud, una parte del centro se guardiamo il Lazio
nella prima immagine non c’era ma se guardiamo i dipendenti il Lazio si fa vedere ed è tra
quelle regioni che ha più dipendenti, così come è più colorata la parte del nord-ovest e nord-
est è più colorata. Se guardiamo ai volontari tende a scomparire il Lazio e Abruzzo e si
attenuano Piemonte, Lombardia e Emilia-Romagna media di 111 volontari che sono numerosi
in Umbria, Toscana e Sardegna, questo muta un po’, potremmo dire che nord ha maggior
propensione occupazionale come fenomeno non profit, se guardiamo ai volontari si attenua
vocazione del nord e invece troviamo altri luoghi che prima non apparivano come l’Umbria ad
essere sopra-media.
Abbiamo forme giuridiche diverse, una doppia anima e distribuzione diversa a livello
territoriale nazionale.
LA REGOLAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI: LA RECENTE NORMATIVA SUL TERZO
SETTORE:
Non profit definizione giuridica, notiamo aspetti che nell’arco del paio di anni legge 106 del 6
giugno 2016 ha compiuto un passaggio, la legge è “legge delega del governo per la riforma
del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”
(principali politiche del nostro paese, salita a rango di norma, esortazioni a fare esperienza
sono rivolte ai giovani).
Questa legge in quanto delega prevede che ci siano decreti attuativi, i principali sono stati
emanati in campo di fiscalità, attività economiche, sono 5 i principali decreti. Questa legge e i
suoi decreti sostituiscono la normativa precedente che era del 1991, un quarto di secolo,
tempo in cui è salita in superfice la questione terzo settore, succede quasi sempre che ci sia
un ritardo, fenomeno emerso prima, si arriva a doverne normare la questione.
Legge 106, che attraverso i diversi decreti attuat