Anteprima
Vedrai una selezione di 4 pagine su 13
Riassunto Sociologia della comunicazione, Prof. Mele, libro consigliato Sociologie della comunicazione, Abruzzese, Mancini Pag. 1 Riassunto Sociologia della comunicazione, Prof. Mele, libro consigliato Sociologie della comunicazione, Abruzzese, Mancini Pag. 2
Anteprima di 4 pagg. su 13.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto Sociologia della comunicazione, Prof. Mele, libro consigliato Sociologie della comunicazione, Abruzzese, Mancini Pag. 6
Anteprima di 4 pagg. su 13.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto Sociologia della comunicazione, Prof. Mele, libro consigliato Sociologie della comunicazione, Abruzzese, Mancini Pag. 11
1 su 13
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Gli archetipi sono “costellazioni di immagini” costanti, strutturate da un certo

isomorfismo di simboli convergenti. Gli archetipi, elementi invariabili nei miti da

cultura a cultura, si configurano così come “strutture” stabili e ripetitive da cultura a

cultura, modelli costanti che permetteranno allo stesso Durand di costruire

un’“archeotipologia generale”; le strutture a loro volta però, non sono l’ultimo

stadio della scala di generalità dello schema dell’immaginario in Durand, in quanto

queste possono essere a loro volta raggruppate all’interno di quelli che lo stesso

Durand chiama “regimi”. Egli distingue due diversi tipi di regimi, quello diurno e

quello notturno: il regime diurno comprende le immagini che derivano dalla

dominante posturale, il regime notturno comprende invece le immagini che derivano

dalla dominante digestiva e da quella copulativa.

Il racconto che sviluppa un complesso di schemi, archetipi e simboli viene chiamato

“mito”; questo assume la forma di racconto e ha una struttura dinamica che però,

implica una componente razionale. Il mito si modifica nella storia, in quanto insieme

dinamico attraverso il quale questa si riattualizza nelle opere dei creatori: il mito è il

nutrimento del quale la società stessa non può fare a meno. Il periodo di vita e di

capacità produttiva di un mito a livello sociale è il suo “bacino semantico”; la sua

struttura è composta da sei fasi, a cui Durand attribuisce un nome secondo una

metafora fluviale: ruscellamenti, divisione delle acque, confluenze, nome del fiume,

regolamentazione delle rive, esaurimento nei delta. La prima fase, quella dei

“ruscellamenti”, indica una serie di correnti che si delineano all’interno di un

ambiente culturale (correnti che possono essere ad esempio nuovi fermenti dovuti a

eventi storici, come guerre, eventi di grande importanza a livello storico-sociale ecc.).

La seconda fase, quella della “divisione delle acque”, segna il momento nel quale le

correnti si separano e iniziano a tracciare ognuno un proprio confine; è qui che

assistiamo a quelle che sono per Durand le dispute tra correnti, ove ossia si affrontano

i diversi “regimi” dell’immaginario, dove il mito si delinea. Inizia poi la terza fase,

quella delle “confluenze”; come il fiume ha bisogno di affluenti per essere

costantemente nutrito, così una corrente culturale ha bisogno di riconoscimenti tra le

autorità istituzionali. Il bacino semantico acquista poi un nome: nella quarta fase un

personaggio reale o fittizio dà il proprio nome e viene a caratterizzare il mito che si

sta mettendo in opera. Si succede poi la quinta fase, quella della “regolamentazione

delle rive”, nella quale teorici sistematizzano il bacino semantico. Tutto il percorso

sfocia infine, nel momento delle “derivazioni”: il fiume indebolito, si lascia

trascinare da altre correnti che lo sfaldano e lo dividono. Durante l’ultima fase spesso

sono già presenti le premesse per la risorgenza o la nascita di un altro bacino

semantico. Un mito ha così il suo periodo di latenza, corrispondente alle prime tre

fasi dell’evoluzione del bacino semantico, che è seguito dal momento manifesto,

ossia il momento dell’esplosione del mito e dell’apice del suo percorso (il periodo nel

quale il mito è di moda), in cui viene proclamato il suo nome e la sua identità

(periodo corrispondente alla quarta e quinta fase), e infine il suo periodo di caduta,

ossia la sesta fase. All’interno del maccanismo descritto, un mito, ossia una corrente,

può avere tre tipi di derivazioni finali: può essere riutilizzato il concetto di fondo di

tale mito per poi essere rielaborato però in un contesto differente, può essere

amplificato un solo elemento/tema di quel determinato mito, o può cadere nella

dimenticanza generale. Le ragioni di eclissi del mito possono essere attribuite a

molteplici motivi, quale ad esempio uno scisma all’interno dello stesso mito

conduttore. I sociologi Walter Benjamin, Adorno e Horkheimer (che più avanti

tratteremo più profondamente) hanno analizzato il rapporto che intercorre tra mito e

modernità: le società moderne secondo tali autori, hanno attraversato una fase di

“disincantamento”, ovvero una fase di costante progresso economico, scientifico e

sociale nella quale credenze, fedi religiose e miti vengono soppiantati dalla

razionalità, in quanto le risposte universali vengono ormai fornite solo da scienza e

dal calcolo razionale. Ma questa società moderna al contempo, dicono, è un

compromesso stesso tra razionalità, e quindi modernità, e irrazionalità, e quindi mito,

perché anch’essa produce miti, anche se moderni (come calciatori o rockstar).

Durand applica poi tale schema del bacino semantico per quanto riguarda la corrente

culturale sull’immaginario. La fase iniziale è individuata nel periodo che va dal 1867

alla prima guerra mondiale: assistiamo qui ai primi ruscellamenti decadentisti e

simbolisti, in cui la nostalgia dell’immagine comincia a farsi sentire; il simbolismo e

il decadentismo si configurano infatti come veri e propri ruscelli, che iniziano a

configurare la nascita del mito culturale dell’immagine, in quanto si pongono in netto

contrasto con i canoni posti in precedenza dal realismo (si tende ad una descrizione

soggettiva di un evento o una sensazione, che predilige il lato misterioso e onirico

piuttosto che quello scientifico e reale, tipica di una descrizione oggettiva e realista).

La seconda fase si estende fino al 1939-1944, in cui avviene la divisione delle acque

del surrealismo e della rivoluzione delle scienze (grazie soprattutto alla teoria della

relatività di Einstein). Il momento del nome del fiume è senza alcun dubbio per

Durand, quello della nascita della psicanalisi di Freud. Dagli anni Cinquanta, si

presenta la fase della regolamentazione delle rive, durante la quale antropologi,

filosofi e sociologici restituiscono all’immagine all’immaginario le potenzialità che

avevano nel passato. Si può ipotizzare infine che, all’interno della corrente e mito

dell’immaginario, siano già presenti delle dissidenze che auspicano un futuro sesto

passaggio, quello delle derivazioni. Tale processo di analisi di nascita, sviluppo (ossia

la mitogenesi) e decadenza del mito, viene chiamato “mitoanalisi” e può essere

rappresentanti graficamente tramite il “mitogramma”.

Dopo tale regressione relativa alla mitoanalisi sull’immaginario di Durand, possiamo

citare quello che per secoli fu un vero e proprio scontro tra sostenitori dell’immagine,

ossia coloro che sostenevano iconofilia e l’uso di immagini sacre e religiose, e coloro

che invece erano avversi a tale pratica, e contrari quindi a qualsiasi forma di

venerazione di icone grafiche. L’iconoclastia fu un movimento religioso (e che poi

assunse anche caratteri politici) sviluppatosi nell’impero bizantino e la quale base

dottrinale sosteneva che la venerazione delle icone spesso sfociasse in una forma di

idolatria eccessiva; questa convinzione provocò non solo un duro confronto

dottrinario, ma anche la distruzione materiale di un gran numero di rappresentazioni

religiose, compresi veri e propri capolavori artistici. Per Durand, tale iconoclastia

endemica in buona parte della storia del pensiero occidentale fu da attribuire

essenzialmente a tre cause che più hanno influito sulla diffidenza nei confronti

dell’immagine: il monoteismo affermato dalla Bibbia e il suo dogmatismo clericale

(dal 700 al 900), la iconoclastia per eccesso tipica di un concettualismo aristotelico

e un’iconoclastia per difetto tipica di uno scientismo cartesiano (dal 1200 al 1800).

Per quanto riguarda il monoteismo contenuto all’interno della Bibbia, e che si

contrappone al politeismo invece aperto al ruolo e alle potenzialità delle immagini,

esso degrada l’immaginazione a portatrice di errore e falsità, in quanto viene

espressamente e ripetutamente vietata qualunque rappresentazione artistica da parte

dell’uomo dell'aspetto fisico di Dio, in quanto quest’ultimo dotato di trascendenza

che supera qualsiasi limite dell’essere umano. Per quanto riguarda l’iconoclastia del

concettualismo aristotelico, esso si contrappone all'idea platonica che conduce a un

senso trascendente supremo, riducendo l’immagine a nient'altro che a un concetto

privo di carica simbolica; nell'arte si contrappongono l'arte romanica, ricca di

evocazione simbolica, all'arte barocca (vedi Maffesoli) e gotica che perdono il loro

significato sacro e le quali diventano semplice realismo e vuoto ornamentalismo.

Infine, per quanto riguardo lo scientismo positivista cartesiano, la sua iconoclastia si

configura per difetto, in quanto l’immagine viene considerata come qualcosa di

irrazionale e irreale, mentre solo il metodo matematico e l’esplorazione scientifica

hanno diritto al titolo di conoscenza. La tradizione iconoclasta ha attraversato anche

la cultura Orientale: basti pensare all’interdizione della rappresentazione di Allah, del

Profeta e dell’uomo nell’Islam. In opposizione alla corrente iconoclasta che ha

attraversato tutto il pensiero Occidentale sin dalla sua nascita, si possono individuare

una serie di “resistenze” da parte di una certa corrente iconofila. Il primo sostenitore

dell’iconofilia fu Platone, che contrariamente ad Aristotele, ammetteva che fosse

possibile accedere alla conoscenza delle verità indimostrabili tramite il linguaggio del

mito. Anche nel corso della Chiesa cattolica si possono riscontrare alcuni

atteggiamenti in favore nei confronti dell’immagine: Assisi, permise la

rappresentazione della natura nei dipinti, favorendo così la produzione di altre

immagini, accanto a quelle di Cristo e dei santi, con valore simbolico (senza

dimenticarsi che i primi cristiani furono costretti in età pagana a utilizzare simboli ed

immagini segrete per riconoscersi tra di loro ed identificare la propria religione).

Un’altra resistenza che ha marcato lo sviluppo dell’iconofilia può essere anche

ravvisata nell’estetica preromantica e romantica, che si sono efficacemente opposte al

razionalismo del realismo e al positivismo scientifico (fede cieca nel progresso della

scienza), proclamando la potenza mistica dell’immaginazione. Il XX secolo

ripropone l’opposizione tra iconoclastia ed iconofilia; è proprio in questo periodo

infatti che assistiamo ad una vera e propria “rivoluzione” del Novecento, nella quale

una serie di indicatori fanno si che si riinizi ad acquistare fiducia nell’uso delle

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
13 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Federico19997 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Mele Vincenzo.