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CAPITOLO IX
Lenin definiva la Russia imperiale come una “prigione di popoli”. La più neutra definizione
di impero è: “un esteso territorio comprendente un gruppo di nazioni, Stati o popoli sotto il
controllo o la dominazione di un singolo potere sovrano”. La tendenza del potere imperiale
a considerare un agglomerato di oltre cento gruppi etnici, di culture, confessioni, lingue
come una massa indifferenziata di sudditi si arrese alla realtà della diversità. Tuttavia la
ricerca dell’uniformità e dell’ordine giuridico-amministrativo e il principio per cui l’Impero
ero uno Stato unitario russo piuttosto che plurinazionale non vennero abbandonati. Dal
momento che, alla fine del XIX sec., i Grandi Russi divennero una minoranza, il sistema
imperiale che essi avevano creato e
dominavano, compensava il loro declino. La politica di integrazione e di uniformità
amministrativa era lontana da quella genocida del XX secolo e per molti aspetti fu
benefica nei confronti delle popolazioni soggette. Tuttavia restò spesso insensibile e, nelle
sue manifestazioni peggiori, repressiva e maldestra come nel caso della questione
ucraina.
L’antica Russia, o Russia di Kiev, non conosceva alcuna distinzione nella propria
popolazione di slavi orientali. Solo dopo che Kiev cadde in mano ai Mongoli nel 1240 e il
suo territorio diviso, sorsero le divisioni degli slavi orientali in Grandi russi, bielorussi e
ucraini. Questi ultimi, durante i 400 anni di separazione dai Grandi russi, svilupparono
particolarità di linguaggio, usanze, strutture socio-economiche. Kiev e l’Ucraina orientale
entrarono a far parte della Russia dopo che l’atamano cosacco Chmel’nickij si mise sotto
la protezione di Mosca. L’annessione dell’Ucraina occidentale fu completata durante il
regno di Caterina II. I cosacchi vennero integrati nell’esercito russo e i loro ufficiali
acquisirono lo status e i privilegi dei nobili russi, facendo diminuire in questo modo l’ostilità
dell’elite cosacca verso i nuovi padroni.
All’inizio non si pensava ad uno Stato ucraino indipendente. Prima del 1917 il separatismo
e il sogno di una grande Ucraina che comprendesse anche la Galizia austriaca, era
limitato a pochi estremisti. In Galizia, i polacchi e gli ucraini godevano di un certo
autogoverno e di un ampio grado di libertà civile, per cui divenne il centro del
nazionalismo ucraino. Con l’inizio di una depressione economica, il nazionalismo ucraino
si rianimò trasformando un pacifico movimento culturale in associazioni e attività politiche
illegali. La prima di queste fu il Partito rivoluzionario ucraino, che per via del suo
radicalismo si sciolse presto. Il Partito nazionale ucraino attirò invece l’ala destra del PRU,
secondo la quale il socialismo era dannoso per gli interessi dell’Ucraina. Si rivelarono nel
giusto quando l’estrema sinistra del PRU si unì ai socialdemocratici russi. Malgrado la loro
opposizione i partiti ucraini non acquisirono mai abbastanza forza per sopravvivere alla
repressione governativa, essendo privi di un seguito di massa, di alleati in Russia e di
unità all’interno. Alcuni nazionalisti infatti vedevano i russi come dei difensori contro i
polacchi, mentre altri guardavano all’Austria e alla Germania come alleati (sempre contro i
polacchi).
L’orientamento filo-tedesco venne rafforzato in tempo di guerra durante l’occupazione
della Galizia da parte dei russi che in quell’occasione furono spietati con gli ucraini.
Questo comportamento costituì il preludio all’indipendenza ottenuta nel 1918 - con
l’aiuto dell’esercito tedesco – e persa nel 1920 ad opera dei bolscevichi.
Al contrario degli ucraini, i polacchi ebbero per lungo tempo uno Stato potente, alla cui
esistenza la Russia aveva posto fine con la connivenza prussiana. Inoltre possedevano
una tradizione di cultura, lingua e religione intatta. I polacchi nutrivano un senso di
superiorità fondato sulla propria appartenenza al mondo feudale, aristocratico, latino e
cattolico dell’Europa medievale. La loro affinità con l’Occidente assunse forma di
nazionalismo liberale o romantico. Alessandro I accondiscese ad una parziale
restaurazione della Polonia in quanto Stato cuscinetto, arrivando addirittura a concedere
una Costituzione tra le più liberali d’Europa: concesse il diritto di voto a circa 100mila
persone; un esercito autonomo; un organo legislativo bicamerale; l’uso del polacco come
lingua ufficiale; la libertà individuale, di stampa e l’inviolabilità della proprietà. Lo zar aveva
invece pieno potere esecutivo, diritto esclusivo di iniziativa legislativa e diritto di veto.
Nominava il vicerè e il capo dell’esercito polacco. L’integrità dello Stato e della
costituzione vennero violate quando gli interessi russi lo richiesero. Per questo scoppiò
un’insurrezione che depose Nicola I dal trono polacco. L’esercito russo occupò la Polonia
e pose fine alla resistenza. La costituzione venne
abrogata, l’esercito venne sciolto e le cariche più alte vennero assegnate a russi. Dopo
un’altra insurrezione, ugualmente repressa, la Polonia entrò a far parte a tutti gli effetti
dell’Impero russo. I vantaggi economici dell’integrazione si avvertirono nell’ultimo terzo di
secolo. Lo sviluppo delle manifatture, dell’industria mineraria e del commercio nel regno
significava l’accettazione del governo straniero e l’impegno a realizzare la prosperità della
nazione. Questo però non significò una totale acquiescenza. Nel 1905, quando anche le
province polacche furono afflitte da scioperi e violenze, vennero avanzate delle richieste
che vennero in buona parte respinte, a parte alcune concessioni sull’uso del polacco nelle
scuole e sulla libertà religiosa.
La Finlandia dichiarò la propria indipendenza nel 1917. I finlandesi godevano di un grado
di libertà e autogoverno superiore ad ogni altra provincia dell’Impero. C’erano leggi
separate, un’amministrazione autonoma guidata da finlandesi, un’assemblea legislativa
elettiva, un piccolo esercito, ferrovie e dogane separate; sistemi postale, monetario e
scolastico autonomi. Tutto ciò procurò ai finlandesi una coscienza nazionale altamente
sviluppata, sostenuta dai loro privilegi e dal loro progresso economico. Negli anni ‘90
dell’Ottocento si opposero alla richiesta russa di controllo più stretto sugli affari finlandesi.
Tali richiese erano motivate dalla paura di un attacco svedese o tedesco attraverso la
Finlandia; dalla avversione verso il separatismo burocratico; dal desiderio di conformare le
leggi a quelle dell’Impero; dal risentimento per lo scarso contributo in uomini e denaro per
la difesa. Nel 1900 e 1901 vennero promulgate la legge sulla lingua che rendeva il russo
la lingua ufficiale, e la legge sull’arruolamento che aveva lo scopo di portare l’esercito
finlandese sotto il controllo russo e rendere ogni finlandese soggetto al servizio di leva.
Dimostrazioni e rifiuti alla legge sull’arruolamento condussero a provvedimenti ancora più
drastici e alla sospensione dei rimanenti diritti della Finlandia. La combattività dei
finlandesi e la loro collaborazione con i liberali e i socialisti portò ad ammorbidire i
provvedimenti. I poteri del governatore generale e la legge sull’arruolamento vennero
revocati, acconsentendo anche alla riforma della Dieta. Non appena il governo centrale
recuperò le proprie energie dopo la rivoluzione del 1905, fu deciso che la condizione della
Finlandia era incompatibile col nuovo ordine costituzionale. Si sostenne che le Leggi
fondamentali del 1906 erano applicabili in tutto l’impero e che in base ad esse il Consiglio
di Stato e la Duma, e non la Dieta, dovessero essere considerati fonte di tutte le leggi
riguardanti le imposte, le dogane, il servizio militare, i tribunali, le scuole, le ferrovie, le
poste, la valuta.
Le province baltiche d’Estonia, Livonia e Curlandia erano state annesse alla Russia nel
XVIII sec. Gli zar permisero ai nobili e ai cittadini tedeschi di mantenere i loro diritti
corporativi e le loro istituzioni, le loro chiese, la loro lingua, le loro scuole e tribunali. I
nobili tedeschi ripagarono con lealtà i favori degli zar. Diversamente, i dubbi dei
nazionalisti sulla loro lealtà aumentarono con la crescita della potenza prussiana. I lettoni
e gli estoni colti si opponevano al dominio culturale tedesco, mentre i russi accusavano i
propri dirigenti di aver abbandonato un’intera regione a padroni stranieri. I tentativi di
rafforzamento della presenza russa iniziarono con l’istituzione di un vescovato ortodosso
a Riga. Gli zar però si opposero a qualsiasi movimento, filorusso o antitedesco che fosse,
in cui protesta sociale e desideri nazionali erano strettamente intrecciati.
Vennero così intensificati gli sforzi per le conversioni all’ortodossia, venne introdotto il
sistema giudiziario russo e l’uso della lingua russa. I risultati furono modesti perché né la
conversione né la russificazione potevano soddisfare i bisogni economici dei lavoratori o
le richieste di diritti politici. Per ironia furono proprio le università russe a mettere in
contatto i giovani estoni e lettoni con le
idee radicali. L’industrializzazione della regione creò un’intelligencija e una classe
operaia native che svolsero un ruolo attivo nella rivoluzione del 1905. Di conseguenza,
le autorità russe abbandonarono il progetto di russificazione e rinsaldarono il loro
rapporto con i tedeschi baltici. Questo non impedì la persistenza di un nazionalismo
che, dopo la caduta dello zar, si riaffermò contro il governo provvisorio. Nel 1918
vennero proclamate le repubbliche di Estonia, Lettonia e Lituania. Successivamente
vennero tutte annesse all’Urss.
In Transcaucasia, i georgiani e gli armeni avevano un senso di identità nazionale
altamente sviluppato, rafforzato dalla rispettive Chiese ortodosse, dalle loro lingue e
letterature e dalle glorie passate. Tuttavia avevano accettato di buon grado la protezione
dello zar come protezione dalle potenze musulmane. Le tensioni etniche, esacerbate dal
disprezzo russo verso il sentimento nazionale e religioso, resero la Transcaucasia un
fronte di combattimento contro l’autocrazia che fornì al movimento rivoluzionario alcuni dei
suoi membri principali, come Stalin. Il patriottismo georgiano era subordinato al socialismo
populista o marxista. Organizzato nel 1901 come sezione del Partito operaio
socialdemocratico russo, il marxismo georgiano rinnegava gli obiettivi puramente
nazionali, sostenendo che fosse necessaria una rivoluzione socialista che avrebbe portato
alla liberazio