vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CAPITOLO V
Il disagio nella scuola dell'infanzia non fa rumore, in quanto è poco visibile a livello sociale. Questo
fenomeno, quindi, trova pochi studi in letteratura ma possiamo riferirci ai dati della ricerca-azione
chiamata "adAgio", organizzata dall'IPRASE del Trentino. Lo scopo di questo studio triennale era di
proporre buone pratiche per contrastare il disagio a scuola. Gli insegnanti coinvolti nel processo erano
chiamati a compilare una griglia indicando con valori numerici (da 0 a 5) il grado di disagio alla voce
corrispondente (la griglia in questione era detta "IMPORTANZA"). Sotto la voce "FATTIBILITà" gli
insegnanti erano chiamati a rispondere circa le loro capacità di rispondere al problema manifestato dal
bambino. La griglia aveva uno scopo pedagogico e non statistico (anche perchè il numero di bambini
preso come campione era troppo piccolo), e la ricerca voleva soprattutto indagare il disagio degli
insegnanti di fronte al disagio del bambino (disagio educativo). Gli insegnanti che presero parte al
progetto erano divisi in tre gruppi (due di scuola primaria ed uno di scuola dell'infanzia) e si riunivano
ciclicamente per incontri di aggiornamento e per decidere circa gli approcci metodologici da impiegare.
Scelta condivisa fu la teoria dei Contenitori Educativi e relative strategie. Tra le poposte scaturite da
adAgio vi è la prassi di interventi di psicomotricità per prevenire il disagio.
Dal gennaio 2004 alla rilevazione del giugno 2004, gli studi hanno dimostrato una diminuzione della
media di sintomi di disagio per bambino, e negli anni successivi il dato si attesta intorno ai 2 (subendo
un'altra caduta). Questa variazione si può spiegare considerando l'ingresso di nuovi bambini nella
scuola, che quindi inizialmente mostrano disagio ma poi si abituano e questi sintomi scompaiono. La
variazione della media potrebbe anche dipendere dall'approccio degli stessi insegnanti al problema e
alla psicomotricità, dimostrando che successivamente all'inizio del progetto gli insegnanti ne hanno
preso padronanza. Lo studio, comunque, conferma la scelta teorica dell'ipotesi semiotica. Essa postula
che il disagio del bambino nella scuola dell'infanzia prende senso mediante l'analisi delle modalità
relazionali, di attaccamento e contenimento del bambino rispetto all'adulto per lui importante. I numeri
registrati tra la prima e la seconda rilevazione confermano la validità operativa della pedagogia
dell'accoglienza.
Per gestire i dati registrati, è stata operata una classificazione basilare:
-bambino ideale, 0 sintomi (alla fine della sperimentazione ne risulteranno 1 su 3 bambini)
-bambino normale, 1-2 sintomi (possono essere considerati tali 2 bambini su 3)
-bambino con disagio, da 3 a 7 sintomi (alla fine della sperimentazione ne risulterà 1 bambino su 4)
-bambino con disagio profondo, 8 + sintomi di disagio (5-7% dei bambini)
Gli studi riportano anche una linea mediana, che si trova, in seguito alla normalizzazione istituzionale,
all'interno della casella (della griglia) con un sintomo.
Questi dati non possono essere presi come vere statistiche ma indicano il grado di fatica e impegno
richiesto al mondo dell'infanzia per fronteggiare i propri compiti educativi. Il mondo della scuola deve
sapersi attrezzare per accogliere professionalmente e istituzionalmente i segni di disagio dei bambini.
L'impegno e lo sforzo degli insegnanti deve essere adeguatamente supportato. La scuola dell'infanzia,
in sostanza, deve essere ben attrezzata istituzionalmente e ben preparata professionalmente per non
"entrare nel disagio" di fronte al disagio dei bambini.
Prendendo ad esame i Contenitori Educativi, i dati registrano maggiori disagi nei Contenitori Didattici
mentre gli insegnati, se interpellati, indicano i Contenitori Liberi; questo probabilmente perché in
questi ultimi i sintomi dei disagi sono più espressi e quindi visibili. Nei Contenitori Istituzionali, le
problematiche si rifanno specialmente ai momenti di ingresso-uscita.
Una riflessione pedagogica che si può trarre dallo studio dei dati della ricerca, è che più l'insegnante è
vicina al bambino e più la sua azione educativa risulta efficace.
Lo studio, comunque, mostra che nella scuola dell'infanzia le problematiche si concentrano nel campo
dell'autonomia; tuttavia quest'ultimo è anche il campo dove si registra un maggiore successo
dell'effetto istituzionale della scuola e professionale degli insegnanti.
Nella regolazione sono presenti delle problematiche più altalenanti rispetto che nell'autonomia. Qui, il
sintomo più comune è l'inibizione. Il contenimento emotivo non è padronanza dei bambini dell'infanzia
ma esso deve essere ottenuto tramite l'insegnante. I problemi di sviluppo sono legati a ritardi o
difficoltà di evoluzione di alcune funzioni dello sviluppo infantile (movimento,linguaggio, capacità di
attenzione e concentrazione). Spesso, però, si è visto come sintomi riconducibili a tali disturbi abbiano
invece un'origine emotiva (si pensi al mutacismo, cioè il mutismo selettivo).
I contrasti scuola/famiglia non sono univocamente individuabili, in quanto dipendono da situazioni
contingenti.
Osservando i dati raccolti, l'insieme dei problemi relativi all'autonomia e alla regolazione, raccolgono
quasi interamente i segni del disagio infantile nella scuola dell'infanzia ( si parla di raggruppamento per
aree aggregate).
Come abbiamo detto in precedenza, nella griglia le insegnanti doveva indicare l'importanza dei sintomi
osservati da una scala da 0 a 5. Leggendo i dati, si osserva che vi è un abbassamento di intensità di
rilevazione dei sintomi tra la prima e la seconda rilevazione, coerentemente anche con la diminuzione
del numero di sintomi.
Gli insegnanti, a livello di fattiblità, registrano un incremento nelle varie rilevazioni, arrivando ad un
livello vicino al 5.
Concludendo, possiamo affermare che i dati riportati dallo studio adAgio mostra la presenza di un
disagio educativo, che va colmato con un'assistenza metodologica di sostegno alla professionalità degli
insegnanti, ma anche con un supporto istituzionale. Sono coinvolte in questo processo di ricezione e
risposto al disagio, anche gli enti di formazione degli insegnanti, perchè il tema del disagio educativo
non deve restare confinato nelle sezioni della scuola dell'infanzia o del nido. In particolare, nei contesti
accademici la dimensione corporea è stata sempre una presenza invisibile, quasi un fantasma. Quindi
bisogna che i corsi di laurea che formano gli insegnanti riempiano tale lacuna, affrontando il tema della
corporeità, del gioco, delle emozioni, del significato dell'esperienza nei processi di pensiero.
CAPITOLO VI
Il tema dell'autonomia e del controllo emotivo è particolarmente complesso e delicato, in quanto non
riguarda solo il bambino ma coinvolge l'adulto che opera nel processo educativo.
L'autonomia è l'obiettivo esplicitamente a cui si mira di più nelle istituzioni della prima infanzia.
L'autonomia, in ambito pedagogico, si rifà alle regola della convivenza sociale e alle competenze per
cui il bambino si prende cura del proprio corpo e accetta le regole che controllano le relazioni. Una
prima origine del sistema di regole si può ricercare in una chiara condivisione di senso tra tutti i
membri di un gruppo, dando luogo a comportamenti codificati (si pensi alle regole del codice della
strada). Questo sistema porta a discutere con i bambini circa le regole da impiegare per relazionarsi con
gli altri; per questo è importante la modalità della condivisione di senso. Una reale educazione
all'autonomia dovrebbe mirare a fare in modo che il bambino possa prendersi l'autonomia; un passo
verso questo scopo sarebbe anche un "no" secco detto dal bambino all'educatore. L'autonomia del
bambino è una capacità complessa perchè implica la maturazione di competenze pratiche (che sono il
risultato dell'integrazione di molte funzioni dello sviluppo infantile) e della sfera emotiva e psicologica
(ci si considera padroni delle competenze acquisite). Infatti il problema può porsi quando il bambino
pur avendo delle competenze adatte allo svolgimento di un compito, non riesce a sfruttarle. Secondo
l'ipotesi semiotica tale problema va collocato all'interno del rapporto del bambino con l'adulto. Se il
bambino chiede il supporto dell'adulto non per obiettiva mancanza di competenza ma per motivazioni
pricologico-emotive, l'adulto vive una difficoltà proprio sul piano relazionale (il bambino gli "ruba" le
energie senza che ve ne sia bisogno; tuttavia se cede, allora non insegue più lo scopo dell'autonomia del
bambino, se si rifiuta di aiutarlo produrrà nel bambino l'idea di un abbandono nel diventare grande).
Le generazioni cambiano, e cambia quindi anche il clima che si vive in ambito scolastico. Fino a circa
cinquanta anni fa, gli insegnanti si dovevano occupare solo dell'apprendimento dei ragazzi mentre oggi
si registra una certa difficoltà nel rispetto delle regole e nella disciplina. Questa situazione può spiegarsi
con la sindrome del "figlio perfetto", ovvero le famiglie sono sempre meno numerose oppure con una
conformazione "atipica" che fa appire al bambino della prima infanzia la figura dell'adulto come
fragile. I genitori, comunque, spesso tendono a riflettere sui figli mire narcisistiche (vogliono che i
figli eccellano per sentirsi bravi genitori) e quindi caricano il bambino di ansia e stress che lo porterà a
vivere sensi di colpa e a non sentirsi sicuro di sè. Il "figlio perfetto" vive una profonda solitudine
emotiva.
In casi delicati, nel processo di sviluppo dell'autostima può essere utile ricorrere alla strategia "Faccio
io per te", metodo che nei casi lievi e normali sarebbe da sconsigliare. La chiave di comprensione del
processo dell'autonomia, infatti, si ha nel rapporto del bambino con l'adulto (cioè la sua vicinanza o
assenza); quindi l'adulto può agire efficacemente in questo ambito nella gestione operativa della sua
presenza nei confronti del bambino.
Nella classificazione dei sintomi di disagio secondo i principi sintomatici, vi è la difficoltà da parte del
bambino di controllare il proprio vissuto emotivo. Un intervento preventivo anche in questo caso si
attua in base alla vicinanza dell'adulto al bambino, una vicinanza sempre di carattere emotivo per
aiutarlo a vivere bene le emozioni attraverso l'organizzazione dei suoi giochi. La psicomotricità gioca
un ruolo chiave, giacchè i giochi per l'infanzia consentono, ai professionisti, di avere una presenza e
una vicinanza ideale