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Giocare fa bene per la soddisfazione che deriva dal fare, dall'agire, da consapevolezza della
propria esistenza nel mondo, la percezione del proprio corpo, delle proprie abilità e
competenze, la possibilità di intervenire sulla realtà.
Giocare fa bene perché consente di esprimere contenuti emotivi.
La dimensione affettiva del gioco, pg. 74
Il gioco nasce dall'inconscio e rappresenta la realtà interna del bambino.
Il gioco è una modalità di espressione e di elaborazione psichica.
Nel gioco l'angoscia si trasforma in piacere anche laddove rievoca un contenuto doloroso e
restituisce al bambino senso di padronanza e di controllo.
La rappresentazione attiva di un problema (come può essere quello della separazione dalla
madre, la gelosia verso un fratello) restituisce al bambino la padronanza di un contenuto
doloroso, il senso di poterlo gestire e non esserne sopraffatto.
Il valore terapeutico del gioco, pg. 75
Freud assegna al gioco simbolico un ruolo centrale nello sviluppo del bambino in quanto
consente al bambino di gestire in modo adeguato e autonomo un conflitto.
Ad esempio nel gioco del rocchetto che il bambino lancia via per poi ritirarlo a sé.
Attraverso questo gioco, ha, dunque, la possibilità di provocare, a suo piacere ed in modo
simbolico, la scomparsa e la ricomparsa della madre assente. Il gioco simbolico può,
dunque, liberare il bambino dall’ansia e dall’angoscia che si producono dall'allontanamento
e dalla scomparsa della madre.
Il gioco diventa una proiezione sulla realtà esterna di ansie, conflitti e frustrazioni.
Schiacciare, tagliare, costruire, sporcare e sporcarsi aiutano il bambino a liberarsi di
tensioni, restituendo al suo agire un significato positivo e creativo. L'atto aggressivo si
trasforma in un atto da mostrare. Egli impara a non aver paura delle proprie emozioni, a
viverle attraverso l'azione.
Esplorazione e creatività, pg. 83
Fondamentale è il gioco euristico, un'attività di esplorazione spontanea del bambino, che
rappresenta l'evoluzione del cestino dei tesori.
Il materiale per il gioco euristico è ciò che viene chiamato “materiale di recupero”, cioè
materiali e oggetti che fanno parte della quotidianità, che sono associabili tra loro e
consentono al bambino di fare scoperte.
Il bambino compirà azioni diverse sugli oggetti in relazione alla fase evolutiva.
Il gioco euristico consente al bambino di sperimentare le proprietà dei materiali, di scoprire
l'esito delle proprie azioni sugli oggetti.
Il bambino sviluppa intorno ai 2 anni la capacità simbolica, cioè la capacità di pensare,
rappresentare oggetti, persone ed eventi non presenti e conquista la capacità di interpretare
ruoli a lui familiari. Nell'assumere ruoli, nel fingere di essere, il bambino procede verso la
conoscenza del mondo reale e consolida le regole sociali.
L'educatore deve garantire al bambino uno spazio preciso, molto curato e ricco di oggetti,
più che giocattoli.
Il gioco delle bambole è solo per bambine? pg. 85
L'adulto fa una differenziazione sessuale proprio attraverso la scelta del gioco e del
giocattolo.
Questa differenziazione non passa soltanto attraverso la donazione di giocattoli al bambino e
alla bambina ma anche attraverso verbalizzazioni e giudizi (come “che sei una
femminuccia?” o “questo è un gioco da maschiaccio”).
Gioco e giocattolo rappresentano il mezzo attraverso il quale la società degli adulti trasmette
al bambino informazioni culturali, norme, regole, differenze sessuali, con l'obiettivo di
orientarlo e prepararlo all'assunzione di un ruolo.
Per l'adulto il giocattolo rappresenta uno strumento con cui trasmettere valori, norme
comportamentali, mentre per il bambino rappresenta solo lo strumento per esplorare,
conoscere, stabilire una relazione con l'altro.
Il giocattolo, infatti, può svolgere una funzione di mediazione sia nella relazione con il
coetaneo che con l'adulto. Spesso i primi scambi comunicativi nascono intorno ad un
giocattolo.
Solo giocattoli? E quali giocattoli al nido? pg. 87
Il primo mondo esplorato dal bambino è il proprio corpo e il corpo della madre.
Tutto lo sviluppo della conoscenza si basa, fin dai primi giorni di vita, sulla dimensione
corporea. Il corpo è il canale privilegiato per sperimentare e fare scoperte.
Ma non solo il corpo proprio e altrui è affascinante per il bambino, anche il mondo naturale:
l'acqua, la sabbia, la neve, le foglie ecc.
Ogni aspetto della realtà è per il bambino scoperta e può avere più valenze formative.
La classificazione che si tende a fare dei giochi e dei giocattoli in affettivi, cognitivi, motori
e linguistici corrisponde ad una necessità dell'adulto che gli consente di offrire al bambino
stimoli perché possa sperimentare diversi livelli di conoscenza.
Il ruolo dell'adulto, pg. 88
Al bambino non si deve insegnare a giocare, lo sa già fare, ha solo bisogno di un contesto
appropriato in cui farlo.
L'ambiente deve essere predisposto in modo che egli possa organizzare soggettivamente la
propria attività esplorativa in modo autonomo.
La responsabilità dell'adulto inizia prima del rapporto diretto con il bambino, nel momento
della costruzione dell'ambiente e del clima emotivo, attraverso la scelta di materiali adeguati
all'età del bambino.
Non si gioca perché si deve giocare con il bambino ma si gioca per il piacere di stare con lui
e di fare insieme.
Il ruolo dell'adulto e la sua presenza cambiano a seconda dell'età del bambino. Sguardi,
parole e suoni accompagnano i gesti e le attività del bambino.
L'adulto svolgerà anche una funzione di modeling, cioè di esempio, guidando il bambino.
Quanto più il bambino è piccolo tanto più ricercherà, anche con lo sguardo, l'approvazione e
l'incoraggiamento dell'adulto. Questa ricerca non deve essere interpretata come una richiesta
di aiuto diretto ma quanto espressione del bisogno di conferma di sé, dei propri movimenti.
Quando l'adulto non è presente il bambino molto piccolo perde la sua concentrazione,
l'interesse dell'adulto è alla base della motivazione infantile.
La contraddizione dell'adulto, pg. 91
Se da una parte si è divenuti più consapevoli del significato del gioco spontaneo, dall'altra le
esperienze di gioco libero concesso ai bambini appaiono sempre più ridotte e le attività
ludiche sono sempre più guidate.
Nell'immaginario degli adulti, inoltre, il gioco viene definito come svago, viene quindi
svuotato di ogni valore e assume un significato di disimpegno, come qualcosa di non serio.
Ulteriori riflessioni, pg. 92
La cacca e la cura fisica del bambino al nido hanno una significativa centralità, i gesti
intorno alla cacca del bambino rappresentano un momento di alta professionalità non
riconosciuto per esempio nella scuola dell'infanzia.
Fino a poco tempo fa se un bambino della scuola dell'infanzia si faceva cacca o pipì
addosso, questo evento era considerato un incidente non di competenza dell'insegnante.
Noi oggi sappiamo che la cacca e la pipì non rappresentano soltanto un evento fisico, anzi
per il bambino è un evento psicologico denso di significati.
Nelle routine di cambio non c'è solo cura fisica, ma accudimento e cura psicologica ed
emotiva e rappresentano momenti privilegiati di rapporto e di crescita, occasioni che
consentono all'adulto di rinforzare la sua relazione con il bambino.
Anche gli apprendimenti nel gioco infantile non sono mai separati, anzi in ogni gioco sono
in atto apprendimenti multipli: ad esempio dal gioco simbolico emergono competenze
diversificate, come lo sviluppo emotivo, affettivo, della competenza sociale, linguistico, del
ragionamento.
Attraverso il gioco il bambino sviluppa concetti, risolve problemi, esprime i propri bisogni,
gli stati emozionali, esprime tensioni e conflitti.
4. Pedagogia al nido, pg. 97
Il nido ha una sua specificità che lo distingue dalle altre strutture educative e ha un compito
che non consiste nell'insegnamento precoce di abilità e nozioni. Al nido si impara ma non in
modo scolastico, attraverso la scoperta e l'esplorazione.
Il bambino viene visto come persona nella sua totalità, in ogni aspetto della sua vita.
Il nido è un luogo di relazioni, i bambini incontrano altri bambini e altri adulti che hanno
funzioni simili a quella dei genitori.
Al nido si impara attraverso le relazioni e attraverso un ambiente di vita strutturato in modo
da offrire al bambino occasioni di socialità.
La pedagogia del nido è una pedagogia diversa, è:
Pedagogia della relazione, cioè una pedagogia centrata sulla relazione
• Pedagogia della cura
• Pedagogia dell'accoglienza
• Pedagogia dello spazio
•
La pedagogia della relazione, pg. 98
La pedagogia della relazione si articola a partire dal rapporto con il bambino fino alla rete
estesa di relazioni.
La relazione con il bambino, pg. 99
Il bambino ha bisogno di relazioni forti, di punti di riferimento stabili e coerenti.
In questa fase si pongono le basi per la futura personalità del bambino e le prime esperienze
relazionali lasceranno una traccia che influenzerà il bambino nelle relazioni future.
Determinate sarà per lo sviluppo del bambino la relazione che l'educatore stabilisce con lui.
La pedagogia della relazione col bambino si attualizza attraverso la progettazione di
strategie finalizzate all'avvicinamento, alla conoscenza reciproca, all'incontro, alla
costruzione di un legame.
Anche il gruppo dei coetanei svolge importanti funzioni evolutive, è una palestra
fondamentale, perché da un lato stimola le abilità sociali (solidarietà, capacità di risolvere i
conflitti, capacità di confrontarsi ecc), dall'altro rappresenta anche una palestra emotiva
perché da contenimento, rassicurazione, accettazione.
Nel gruppo e attraverso il gruppo il bambino sperimenta anche una fraternità negata dalla
contrazione sempre più accentuata del nucleo familiare (i bambini sono sempre più figli
unici).
L'educatore deve garantire la formazione di gruppi circoscritti perché il bambino piccolo nel
grande gruppo rischia di perdere la propria soggettività, di sentirsi confuso e prevaricato.
La relazione con il genitore, pg. 101
Accogliere un bambino al nido significa accogliere una famiglia, l'esperienza del bambino
non può essere separata da quella del genitore.
Se il genitore si sentirà compreso e accol