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OLTRE LA PAURA (A.CERETTI, R.CORNELLI)
CAPITOLO 1: Criminalità e insicurezza.
La banalità di una narrazione criminologica.
1.
“La criminalità segna la vita di ogni cittadino” è una delle frasi più ricorrenti e sentite negli ultimi
anni. Frasi come questa sono diventate talmente familiari che spesso non ci chiediamo più quale
messaggio contengano, quale visione della società sottendano.
L’aumento del numero di reati e l’efferatezza con cui vengono commessi inquietano e spaventano i
cittadini e, per questo motivo, occorrono risposte energiche, più severe ed emergenziali da parte
dello Stato. Sull’apparente evidenza di questa considerazione si sono costruite gran parte delle
politiche penali adottate fino ad oggi da entrambe le fazioni politiche (destra e sinistra) della nostra
società.
La suddetta frase fu pronunciata per la prima volta nel 1966 dall’allora presidente degli Stati Uniti,
Johnson. È la prima volta che il termine “paura della criminalità”appare in un discorso presidenziale
e dal quel momento in poi sarà utilizzato costantemente nei discorsi ufficiali di ogni presidente,
costituendo l’asse fondamentale delle successive campagne elettorali statunitensi.
Così, si è assistito, nel corso degli ultimi decenni, non solo alla proclamazione degli Stati Uniti
come la più grande democrazia penale del mondo, ma anche al passaggio da un modello di governo
nato con il New Deal ad una forma di governace in cui centrale sono la criminalità e la giustizia
penale.
La paura si impone così nei rapporti tra istituzioni, fino a diventarne una vera e propria caratteristica
fondante (es. se non si descrive il proprio territorio come insicuro e caratterizzato da allarme
sociale, non si riescono ad ottenere finanziamenti per riqualificarlo e ristrutturarlo).
Quanta paura nelle città.
2.
La paura della criminalità è uno dei temi più studiati nella letteratura criminologica internazionale.
Partiamo da alcuni dati relativi alla quantità di paura della criminalità nelle città.
L’indagine internazionale di vittimizzazione sin dal 1992 misura il senso di insicurezza delle
persone a livello internazionale. Dall’ultima indagine svolta nel 2004-2005 in 30 paesi e 33 grandi
città, emerge che, in media, più di un quarto della popolazione considerata si sente poco o per nulla
sicura a camminare da sola la sera nella zona in cui vive. La percentuale è più alta tra gli abitanti
delle grandi città. Hong Kong e le capitali nordeuropeee sono considerate le più sicure.
In ambito europeo solo in Bulgaria gli abitanti che dichiarano di essere insicuri per strada sono più
della metà, mentre nel resto d’Europa e in Nord America lo scarto tra sicuri e insicuri rimane ampio.
1
È utile sottolineare come la percentuale di persone insicura non sia significativamente variata nel
corso degli anni. Questo vale per molti paesi, ma in particolare per l’Italia. Ciò viene confermato da
altre indagini italiane e insinua più di un dubbio rispetto all’insorgere di continui allarmi sociali che
si registrano negli ultimi 15 anni.
Visto che le indagini campionarie più serie non indicano una crescita della paura della criminalità,
vi è da chiedersi, innanzitutto, se sia vero, in un’ottica meramente quantitativa, che i reati sono in
aumento.
Quanta criminalità.
3.
Di fronte ai crimini che irrompono nella nostra vita quotidiana sorge l’inquietudine che questi
fenomeni non ci sia alcun argine e che possano riprodursi sempre e ovunque. Al tempo stesso si
pretendono, in tempo reale, risposte efficaci e immediate tanto quanto le emozioni che quei fatti
suscitano. Questo legame tra inquietudine e criminalità ha spesso effetti distorcenti anche sul piano
cognitivo: ne deriva che ogni forma di criminalità viene avvertita come sempre più diffusa e
violenta.
L’analisi delle tendenze della criminalità nel ‘900 indica che l’Italia, a partire dagli anni ’70, si è
caratterizzata come società ad alto tasso di criminalità, però, negli anni duemila, si registra una
diminuzione del tasso di alcuni reati considerati indicatori della criminalità violenta e di quella
contro la proprietà (omicidio e furto).
Un’analoga tendenza si riscontra anche in altri paesi occidentali.
Negli ultimi anni, il numero dei reati registrati dalla polizia, sia negli Stati Uniti che nell’Unione
Europea, è diminuito costantemente. A partire dal 2002, infatti, nella maggior parte dei paesi UE, i
livelli di criminalità sono in calo costante, anche se nel periodo 2006-2009 questa tendenza ha
mostrato segni di rallentamento, soprattutto per reati come il furto in abitazione e il traffico di
droga. Il reato che ha mostrato la diminuzione più consistente è il furto di veicoli a motore.
In sintesi, i passaggi fondamentali della storia della criminalità italiana registrata negli ultimi
settant’anni sono fondamentalmente due:
La svolta tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, in cui i delitti aumentano
a) vistosamente: in particolare, i furti quasi quadruplicano nel giro di pochi anni; a loro volta,
gli omicidi, dopo un lungo periodi di diminuzione, iniziano a crescere;
La tendenziale diminuzione di omicidi e furti negli ultimi vent’anni.
b) Quale criminalità.
4.
Già Enrico Ferri, allievo e amico di Lombroso, aveva ipotizzato che nel corso del novecento si
sarebbe verificato un passaggio epocale dalla criminalità medievale contro le persone alla
criminalità borghese contro la proprietà. 2
Certamente, le trasformazioni sociali vissute dall’Italia hanno non solo avviato processi di
ampliamento delle opportunità criminali, di allentamento dei controlli sociali e di incremento della
conflittualità che hanno avuto ricadute sulla diffusione della criminalità, ma anche innescato
processi di attribuzione di centralità alla proprietà, diventata perno del sistema sociale.
Seguendo questa linea interpretativa, quindi, l’aumento dei furti sarebbe dovuto all’evolvere di una
società del benessere e di un sistema proprietario che producono rischi, siano essi materiali o legati
a immaginari collettivi.
La crescita degli omicidi nel ventennio 1971-1992 trova alcuni parallelismi in gran parte dei paesi
europei e degli Usa. Per motivare questo fenomeno sono state avanzate alcune interpretazioni valide
anche per il caso italiano:
L’interruzione improvvisa del processo di civilizzazione;
- Il passaggio da un capitalismo aggiustato dal welfare ad un capitalismo liberista;
- La crisi economica degli anni ’70.
-
Ma, se omicidi e furti sono diminuiti negli ultimi vent’anni, quali reati contribuiscono a mantenere
stabile il numero di delitti denunciati nell’ultimo ventennio?
Va, in primo luogo, segnalato il rilevante incremento delle truffe, anche grazie allo
1) sfruttamento delle nuove tecnologie e alla progressiva sostituzione del denaro contante in
moneta virtuale, che ha comportato la diffusione di nuove forme di truffa.
Anche i reati in materia di sostanze stupefacenti sono in continua crescita.
2) La legislazione sull’immigrazione degli ultimi anni ha introdotto figure di reato che hanno
3) inciso sull’andamento complessivo della criminalità.
Un abbaglio di massa?
5.
La società italiana è meno insicura, dal punto di vista della criminalità, sia rispetto ad alcune altre
società europee, sia rispetto al passato.
Nel 1969 Popper, sosteneva che le società europee fossero di gran lunga le migliori mai realizzatesi
nel corso della storia umana, in quanto, grazie al welfare state si sono conquistati dei diritti e si sono
aboliti i principali malanni che affliggevano i cittadini (povertà, disoccupazione, malattie,
sofferenze). Tutto ciò, al giorno d’oggi, ci appare in via di disfacimento continuo ogni giorno.
Le società occidentali contemporanee sono riconosciute essere le più sicure mai esistite, ma in
queste società, nonostante le paure individuali registrate nelle indagini campionarie non siano
aumentate e siano comunque inferiori rispetto a quelle di altre aree geopolitiche, si è sviluppata una
sorta di ossessione per la questione securitaria, tale da segnare profondamente le esperienze sociali
e le politiche pubbliche.
Moral panic.
6. 3
Alcuni studiosi attenti ai processi culturali che accompagnano l’allarme sociale mettono in rilievo
come spesso il panico che colpisce svariate fette di popolazione sia il risultato di una strategia delle
classi dominanti che consente loro di aumentare il consenso e la supremazia.
La paura, infatti, può essere una valida risorsa per catalizzare il consenso pubblico. Numerose
carriere di politici si sono costruite proprio sull’agitazione di angosce collettive e sulla creazione di
situazioni di panico morale volte all’affermazione di una logica amico-nemico, protezione-
esclusione (es. Salvini con i migranti).
Il termine moral panic fu coniato da Cohen nel 1972, con riferimento al clima di allarme che
rapidamente si diffuse in alcune località balneari della Gran Bretagna intorno alla presenza di bande
giovanili denominate rockers e mods.
Secondo Cohen, la reazione di panico non avviene per via di una valutazione razionale
dell’incidenza di una particolare minaccia, ma è piuttosto l’esito di inquietudini non ben definite
che, alla fine, trovano un centro drammatico e semplificato di esplosione in un singolo incidente o
stereotipo. Questo centro è popolato spesso dai suitable enemies, ovvero categorie di persone spesso
incapaci di attivare difese all’interno della società, che diventano bersaglio privilegiato di rabbia,
indignazione e paure collettive (es. tossicodipendenti, zingari, homeless).
Il panico morale si costruisce intorno a dicerie che, alimentate dai mass media e dagli imprenditori
morali, costituiscono un sistema di credenze in grado di catalizzare gli umori collettivi e di orientare
le politiche. Il fenomeno delle dicerie non è un fenomeno di recente invenzione, ma trova le sue
radici, tra l’altro, nella civiltà dell’antico regime, dove venivano fatte circolare voci allarmistiche
riguardanti i briganti, le streghe e gli eretici.
Più recentemente, anche Alessandro Dal Lago, descrivendo analiticamente i processi che hanno
portato in Italia alla costruzione del fenomeno “emergenza immigrazione”, e sottolineando in
particolare il ruolo ricoperto dai mass media, politici e imprenditori morali, si muove nella stessa
direzione degli studi sul panico morale. Negli anni ’90, infatti, le forze politiche han