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Le violenze collettive sono quindi concepite come forma estrema di risposta a una giustizia (percepita) di
carattere morale, sociale, economico, politico finalizzata alla ricostruzione dell’ordine violato; esse
esprimono la funzione di controllo sociale. (Vd. es. pestaggio del tassista). Già gli studi ecologici della Scuola
di Chicago mostrano la relazione tra ambiente e criminalità (città come mosaico sociale con divisioni in zone
dai confini permeabili ma che prevedono sbarramenti + concetto di segregazione di Park); le singole
comunità si definiscono in base alle norme adottate per risolvere i conflitti. Questo gruppo di norme
adottate cristallizza la separazione della comunità dalla restante società e indica i modelli di
comportamento adeguati per affrontare le situazioni critiche. In comunità turbolente, in cui la segregazioni
allontana i cittadini dalle istituzioni legittime, il modello comportamentale porta a reagire a un torto
prescindendo dal ricorso al sistema della giustizia ordinario, cioè ad applicare la propria legge al posto di
quella dello stato. Il double message della violenza (male estremo e controllo sociale) è evidente se ci
riferisce alle dinamiche di masse che appaiono spontanee, come le forme di rivolta urbana. (Vd. es racaille
in Francia e via Padova a Milano).
Questioni identitarie. Violenze e aggressioni non dipendono dalla psicopatologia di chi le attua ma in modo
più significativo da una serie di processi psicologici “normali” che caratterizzano il modo in cui i soggetti si
pongono attivamente e riflessivamente rispetto a certe credenze e situazioni in cui sono coinvolti. In molte
violenze collettive accade che, nel sostenere processi di esclusione di altri dal proprio universo morale,
assumono centralità l’appartenenza a gruppi ritenuti rilevanti, il bisogno di salvaguardare tali appartenenze
come costitutive della propria identità e le relazioni che intercorrono tra ingroup e outgroup. In pratica
l’esclusione degli altri dal proprio universo morale può essere letta in relazione a situazioni di conflitto tra
gruppi sociali, accompagnate dalla svalutazione e della presa di distanza nei confronti di altri gruppi.
Costellazioni di bisogni/motivazioni e forze situazionali possono ridurre o perfino eliminare la forza delle
norme sociali comuni (Vd. bande dei latinos). È l’atteggiamento di sopraffazione insito nella rivendicazione
di un’identità originaria a drammatizzare le relazioni all’interno del gruppo e tra gruppi rivali, scatenando
scontri violenti per il dominio. Appartenere a un gruppo ritenuto rilevante dai suoi componenti favorisce
immagini di sé e del mondo e schemi d’azione che tendono ad espellere tutti coloro che stanno fuori da
quell’universo morale. Queste retoriche gruppali improntate al machismo e alla lotta per il dominio, non
sopportano chi sa fuori o esce dal gruppo e promuovono azioni distruttive verso l’esterno e di
disciplinamento all’interno. Ciò comporta anche un’omologazione degli stili di vita nel segno della devianza.
Violenze oppositive. Ogni società democratica contiene soggettività profondamente ostili, che alimentano
conflitti accompagnati da linguaggi, simboli e codici culturali che arrivano a negare le basi della democrazia
stessa. In Italia molti atti di sopraffazione e aggressività commessi dai gruppi trovano sfogo nel tifo
calcistico.
Sofferenze urbane. Non è possibile racchiudere e far confluire diverse tipologie di violenze urbane,
individuali e collettivi, in un’unica forma rappresentativa. La marginalità sociale, cioè l’essere collocati al di
fuori dei mercati del lavoro o dai meccanismi di ridistribuzione dei beni e servizi, non è l’unico fattore di
esclusione sociale. L’”essere espulsi” fa emergere forme di vulnerabilità legate alle dinamiche di
impoverimento e precarietà. Inoltre, il venir meno di centralità strutturali e la conseguente comparsa di
una fase di mobilità culturale stravolgono l’ordine dei bisogni e la tradizionale percezione di sradicamento,
subalternità e passività, promuovendo come bisogni l’individuazione soggettiva e l’identità collettiva. È
sempre nella dimensione metropolitana però che le violenze trovano collocazione. Nasce la percezione
diffusa che ogni spazio urbano sia una zona di frontiera in cui tutti possono diventare nemici; l’angoscia si
struttura attorno alla presa d’atto che i conflitti possono scivolare verso dinamiche distruttive. Le ricadute
di questi processi consistono in sofferenze sociali diffuse che si riversano sulle persone fragili. Il paradigma
economicista del proprietario-consumatore e quello bio-psico-medico di politica sociale, concorrono a far
interpretare le sofferenze in chiave soggettiva, denominandole e frammentandole. Emerge la drammatica
assenza di un progetto di cittadinanza inclusiva e aperta capace di tenere insieme la moltitudine di individui
atomizzati e gruppi disomogenei.
3. Odio razziale
Le nostre terre. La difficoltà nel trovare una dimensione identitaria conduce a vivere, in assenza di contesti
capaci di restituire riflessività all’agire individuale o collettivo, sentimenti di insofferenza nei confronti di chi
abita le “nostre terre” e che percepiamo come distante. In questo clima, quindi, nascono in modo
apparentemente spontaneo, forme di violenza circoscritte; ma in questi episodi si può vedere una trama
che unisce questi fatti con visioni del mondo regressive, che generano mappe cognitive declinate
all’intolleranza e pratiche istituzionali che riducono la libertà e i diritti. (vd. fatti di Rosarno).
Linciaggio e rituali retributivi. Il linciaggio è la forma di violenza collettiva più spontanea e meno
organizzata. La sua funzione è quella del controllo sociale che gli conferisce il gruppo dominante quando
qualcuno di diverso scatena conflitti considerati dannosi verso l’integrità morale della comunità; lo scopo è
quindi ristabilire l’ordine morale. In un contesto di tensione, acuiscono nell’ingroup l’incertezza e la
vulnerabilità connessa ai problemi economici e di immigrazione; la soluzione più veloce è quella di
individuare e delegittimare il “nemico” (spesso date in base all’etnocentrismo) attraverso la
categorizzazione che permette di differenziare chi sta fuori e di accusarlo pubblicamente per ogni
problema. Così l’outgroup si connota come malvagio e l’ingroup come sotto assedio. Il linciaggio in questo
clima si mostra come la soluzione alla necessità di riportare l’ordine e di ristabilire i confini ingroup-
outgroup. I linciaggi si manifestavano più di frequente tra XIX e XX secolo in un momento storico di
tensione nelle politiche razziali e di classe nel sud degli USA. È la vulnerabilità nei confronti del crimine e la
percezione di una minaccia al proprio status sociale e morale a sostenere questi atti di violenza contro chi
ha commesso (o accusato di) un crimine. Si connotavano come forme di repressione razziale organizzata e
alternativa alla giustizia ufficiale. Si trattava di un “rituale retributivo” volto a riaffermare un sistema di
controllo razziale fragile e instabile attraverso l’esecuzione in pubblico di neri che venivano accusati di
omicidio/violenza. Il sistema giudiziario era percepito come lento e non adeguato; questi “rei” erano
considerati meritevoli di una punizione pubblica ed esemplare. L’abuso pensale del linciaggio aveva come
obiettivo manifesto di degradare il colpevole, privandolo della dignità, collocare lui e la sua “razza” su un
piano inferiore e garantire così il ripristino dell’ordine volontario. (= fatti di Rosarno).
Mixofobia: paura di vivere l’uno di fianco all’altro in società multiculturali. Attualmente attraverso la
migrazioni diverse culture si trovano spesso a vivere una di fianco all’altra. Il multiculturalismo sarebbe la
risposta filosofico-politica più adeguata. Secondo tale prospettiva, di fronte alla pressione delle identità
culturali che chiedono riconoscimento, non occorrono fondazioni speciali o cambiamenti dei principi
fondanti dello stato; ma la tutela delle tradizioni deve servire solo al riconoscimento dei membri quanto
individui. Si dovrebbe sostenere l’edificazione di società in cui le differenze siano componibili in uno stesso
progetto di cittadinanza. Ma questo progetto può essere minacciato dai sentimenti di mixofobia: rischia di
trasformare il progetto multiculturale in multi comunitarismo, dove le differenze vengono usate come
difese per non mischiarsi alle altra culture, negando le basi per il pluralismo sociale.
L’altro diabolico. Paura, disgusto e odio sono sentimenti sociali che si accumulano e convergono su soggetti
(stranieri e immigrati) prescelti perché altri possano dotarsi di una legittimazione socio-politica. L’odio è
rivolto a ciò che si teme e il disgusto è alimentato sempre dalle istanze di pulizia e di ordine. Prospettiva di
De Monticelli: l’odio identifica l’altro come malevolo non occasionalmente ma come caratteristica della sua
personalità; l’odio sarebbe una reazione a qualcuno che ha iniziato a fare del male a noi. 3 possibili reazioni:
- Smarrimento di fronte a una malvagità apparentemente senza senso.
- Il male scaturisce da qualcuno fuori dal sé e si odia quindi l’altro perché è “diabolico”; si possono anche
strutturare forme di rancore che riportano l’odio su se stessi. odio.
- Negare l’accadimento orribile allontanando da sé gli effetti del gesto distruttivo.
L’odio scaturisce come reazione all’odio. Chi inizia a odiare invece ha un’interruzione del sentire l’umanità
di se stesso e di chi è il prossimo, annulla l’empatia e al suo posto ha un vuoto impersonale che si trasforma
in odio.
Disgusto e contaminazione. Dentro questa incapacità di partecipare emotivamente alle vite degli altri,
prima di sentire odio si può sentire disgusto che conduce al rifiuto dell’umanità altrui. L’idea centrale del
disgusto è la contaminazione dell’individuo, un’emozione viscerale che comporta reazioni fisiche di
repulsioni: questa emozione struttura molte abitudini, reazioni sociali e influenza anche la politica e il
diritto. La proiezione sociale del disgusto consiste nel tentativo di emarginare persone o gruppi associandoli
a un’immagine sporca; richiede atti di purificazione (es. Rom). Le politiche di sicurezza che promettono di
immunizzare i cittadini, talvolta usano misure neo-igieniste. La rimozione di parti di popolazione può
arrivare al confino in luoghi separati per proteggere i cittadin