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Il possesso differisce dalla proprietà, in quanto esso è la situazione in cui sia ha il potere sulla cosa (anche
senza diritto). Il possesso si acquisiva corpore et animo: la cosa doveva essere appresa fisicamente e doveva
esistere la volontà di tenere per sé la cosa ad esclusione di chiunque altro. La differenza con la proprietà è
evidente nel caso dell’usucapione.
Il possesso poteva essere:
Non qualificato: qualora la cosa fosse stata rubata o presa con la forza
Giusto: qualora il possesso non fosse stato viziato nei confronti della controparte giudiziaria
In bonis esse o habere: proprietà pretoria
È bene tenere a mente che in caso di controversia sull’appartenenza della res, il magistrato avrebbe
tutelato il possesso giusto in ogni caso. Era quindi possibile per un ladro spossessato della refurtiva
ottenere tutela nei confronti della controparte. Sempre in questo filone, il possessore inizialmente
derubato non avrebbe potuto agire nei confronti del secondo ladro. Se il possessore originario fosse stato
anche legittimo proprietario avrebbe potuto invece agire erga omnes.
Diritti reali limitati
I diritti reali limitati, detti anche minori o iura in re aliena, erano diritti reali mancanti dell’assolutezza della
proprietà vera e propria. Cionondimeno essi sarebbero stati comunque esperibili erga omnes, erano
ristretti ai casi tutelati dallo ius civile e non sarebbero mani potuti essere oggetto di traditio; non avrebbero
mai dato luogo all’usucapione. I diritti reali limitati sono:
Servitù prediale: il criterio della centuriazione per la divisione del suolo, unito all’assolutezza della
proprietà, poteva causare delle situazioni controverse: il proprietario di un fondo intercluso non
avrebbe potuto avere accesso al fiume, o non avrebbe potuto pascolare le sue greggi poiché si
sarebbe introdotto nella proprietà altrui. Sicuramente inizialmente la situazione sarebbe stata
risolta dall’accordo fra privati; l’importanza della questione, specialmente in na società basata
sull’agricoltura e la pastorizia, trovò consistenza nel diritto attraverso la servitù prediale. Il fondo
intercluso, denominato dominante, avrebbe avuto la servitù di un altro fondo cosiddetto servente
per uno scopo definito. In altre parole il proprietario del fondo dominate avrebbe potuto utilizzare
il fondo servente per un preciso scopo (senza recare eccessivo disturbo), mentre il padrone del
fondo servente avrebbe avuto il solo obbligo di non interferire con l’esercizio di tale diritto. La
servitù insisteva sul fondo vero e proprio e non si sarebbe estinta con la morte di coloro che
l’avevano istituita. Inizialmente ci furono 4 tipi di servitù prediali, dette rustiche: via (sulla strada),
iter (a piedi o a cavallo), actus (conduzione di bestiame), aquaeductus (canale per l’irrigazione);
questi iura erano considerati res mancipi e nonostante la loro incorporalità potevano essere
oggetto di mancipatio. Il motivo si trova nella iniziale concezione di servitù: sul fondo servente, il
tratto di terreno usato in forza della servitù era soggetto al condominio di entrambi i proprietari e
la proprietà sul fondo era una res mancipi. In progresso di tempo, con l’invenzione del concetto di
iura, verranno istituite nuove forme di servitù dette personali e considerate res nec mancipi.
L’istituzione di una servitù prediale avveniva in tre modi: attraverso l’in iure cessio, la mancipatio o
tramite legato per vindicationem. Essendo inizialmente considerate res corporali, le servitù prediali
antiche erano usucapibili. La loro estinzione poteva avvenire sempre tramite un atto uguale ma
opposto o attraverso l’inutilizzo, altrimenti non si sarebbe mai avuta estinzione.
Usufrutto: poteva avere ad oggetto solo res corporali e inconsumabili. L’usufrutto è definibile come
il diritto di usare e di godere delle cose altrui nel rispetto della loro integrità. Esisteva quindi sempre
un proprietario, appellato come nudo in quanto spoglio del suo potere dominicale sulla cosa e un
usufruttuario, ovvero un qualcuno che pur godendo la cosa e i suoi frutti, non avrebbe potuto
disporne pienamente alienando o abusando la cosa. La nascita dell’usufrutto risale agli ultimi secoli
della Repubblica: venendo meno l’uso del matrimonio cum manu, la vedova sarebbe stata esclusa
dall’aspettativa successoria del marito; per converso, il pater di lei l’avrebbe verosimilmente
diseredata poiché già beneficata con la dote. Inoltre, anche nella rara ipotesi che essa fosse stata in
qualche misura erede del marito (situazione socialmente riprovevole) alla morte di lei i suoi beni
sarebbero usciti dalla famiglia andando all’adgnatus proximus, poiché la donna avrebbe incontrato
il veto del tutore (legittimamente lo stesso adgnatus) nel lasciare disposto testamento a favore dei
figli. Per sanare questa situazione senza la necessità di ricorrere a sotterfugi legali venne istituito
l’usufrutto: il marito avrebbe istituito per legato l’usufrutto su certi beni tali da garantire alla moglie
un sostentamento decoroso, nominata usufruttuaria. Istituendo nudi proprietari i figli, alla morte
della moglie essi sarebbero tornati pieni proprietari evitando la dispersione del patrimonio
generazionale. Da questa situazioni si può ricavare meglio il regime dell’usufrutto: esso si sarebbe
estinto solo con la morte dell’usufruttuario, non era trasferibile inter vivos; il godimento dei frutti
della cosa, come il canone di locazione, sarebbe eventualmente venuto meno automaticamente
con la fine dell’usufrutto. L’usufrutto si sarebbe potuto istituire tramite in iure cessio o, caso più
probabile, con legato testamentario.
o Quasi usufrutto: si giunse a permettere l’usufrutto avente come oggetto res consumabili
come il denaro, istituzionalizzando una situazione comune: era molto difficile che il legato
che istituiva l’usufrutto comprendesse solo cose inconsumabili. Il quasi usufrutto rendeva
quindi possibile lasciare una somma di denaro ad una persona, la quale avrebbe potuto
goderne pienamente con il solo limite di fornire idonea garanzia per la restituzione al nudo
proprietario.
Uso: da non confondere con l’usufrutto, l’uso permetteva il solo uso di una cosa altrui,
generalmente un fondo. Il godimento dei frutti della cosa, dove la res non fosse infruttifera, non
era completamente escluso, ma era limitato allo stretto sostentamento (l’uso di un orto
permetteva di coglierne una ragionevole porzione degli ortaggi coltivati, al fine del consumo
personale). Non sarebbe stato in alcun modo possibile per l’usuario dare in locazione la cosa o
comunque ricavare un reddito dall’esercizio di tale diritto.
Abitazione: diritto di abitare in un’altrui abitazione da soli o con la propria famiglia. Fermo restando
i limiti dell’uso, chi avesse il diritto di abitazione avrebbe potuto dare in locazione a terzi la casa. Si
discusse a lungo se l’abitazione dovesse essere inquadrata nell’usufrutto o nell’uso; si giunse ad
attribuirli una propria dignità in epoca tardo imperiale.
Estranei alla trattazione sia delle Istituzioni di Gaio e Giustiniano, esistevano altri 3 iura in re aliena:
Superficie: secondo il diritto naturale, il proprietario di un fondo avrebbe acquisito la proprietà
degli edifici ivi costruitivi anche se il costruttore avesse edificato a suo nome: si parlava
propriamente di accessione al suolo. Per ovviare a questo venne istituito il diritto di superficie,
ovvero di poter tenere la propria costruzione sul fondo altrui.
Enfiteusi: diritto di coltivare un fondo agricolo altrui senza limite di tempo ma solo dietro il
pagamento di un canone annuo. Come si evince dal nome è un istituto di matrice ellenica.
Pegno: il creditore il quale avesse ricevuto un pegno come garanzia dal debitore, avrebbe potuto
rivalersi vendendo la cosa o, in progresso di tempo, facendola sua completamente. Il godimento dei
frutti sarebbe stato escluso.
Anche se ovviamente l’esercizio dei diritti reali minori non portava mai all’usucapione della cosa su cui
esistevano, venne tutelata dal pretore la quasi possessio. Essa altro non era se non l’esercizio in fatto degli
iura in re aliena. Se ci fosse stato per un periodo prolungato l’esercizio del diritto di servitù senza averne
titolo, il pretore avrebbe potuto tutelare con appositi interdetti questa situazione. È impropriamente
possibile parlare di usucapione di diritto reale limitato.
4. Successione ereditaria
Data l’importanza della conservazione del patrimonio generazionale nella società romana, la successione
ereditaria è stata uno degli argomenti più trattati dai giuristi.
L’erede è considerabile come continuatore del de cuius, a cui subentra con responsabilità illimitata in tutti i
rapporti personali (come l’esercizio della potestas) e patrimoniali, anche se dannosi. È logico pensare che,
nella fase più arcaica, non ci potesse essere altro erede se non il suus heres (o i sui), senza possibilità per lui
di rifiutare o di scelta diversa per il pater. Addirittura, qualora la morte del pater avesse reso sui iuris più
figli, essi sarebbero stati costretti a mantenere integro il patrimonio comportandosi da condomini.
La Legge delle XII Tavole dispone l’aspettativa successoria in questo ordine:
Sui: figli e figlie in potestà, moglie conventa in manus
Adgnatus proximus: nel caso in cui manchino del tutto i sui, è erede universale l’adgnatus proximus
Gentiles: mancando anche questo, si sarebbe guardato alla famiglia gentilizia fino al sesto grado
Se fossero mancati anche i gentiles, i beni di cui il cespite ereditario sarebbe divenuti res nullius.
Qualora un pater non avesse figli o moglie e non volesse lasciare i suoi beni all’adgnatus proximus o qualora
ci fossero altre situazioni eccezionali, i limiti del sistema decemvirale si facevano evidenti. Nacquero quindi
le prime forme di testamento, con cui il pater poteva scegliere il suo successore in mancanza di sui
Inizialmente il testamento era un atto straordinario. I modi con cui poteva essere disposto erano:
Testamentum calatis comitiis: veniva reso con solenne dichiarazione orale di fronte ai comizi riuniti
Testamentum in procintu: veniva reso con solenne dichiarazione orale di fronte all’esercito pronto
alla battaglia
In entrambi i casi erano presenti tutti i cittadini maschi, che potevano fornire consiglio al pater in questa
sua gravosa scelta e cui spettava l’approvazione di tale scelta.
Questi due generi di testamento caddero presto in desuetudine, soppiantati dal cosiddetto testamento
librale. Esso consisteva in un atto privato in cui il pater effettuava una mancipatio fittizia del suo intero
patrimonio ad un fiduciario, con la pro