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Parliamo di media interactivity per riferirci alla componente strutturale di base che abilita
tutte le forme di scambio comunicativo/partecipativo tecnologicamente mediate (social).
- Trasmissional interactivity: l’utente ha la possibilità di scegliere da un flusso continuo
e unidirezionale di informazione predisposte dal producer (es. pay-per-view);
- Conversational interactivity: l’utente ha a disposizione un canale bidirezionale (IP
based) ed è abilitato a produrre e inviare un flusso di informazioni agli altri utenti in
modo sincrono e asincrono (es. sistemi di e-mailing).
- Consultational interactivity: l’utente ha la possibilità di scegliere tra una selezione di
informazioni resa disponibile da un producer attraverso un canale bidirezionale (es.
video on demand);
- Registrational interactivity: il sistema è progettato per rispondere a bisogni o azioni
dell’utente, sia esplicite che rilevate attraverso sensori e altri sistemi di monitoraggio
(es. home-shopping).
Le trasformazioni del contesto mediale negli ultimi dieci anni tuttavia suggeriscono di
introdurre altre variabili, che Jensen opportunamente individua:
- Nella distinzione tra mainstream media e social media;
- Nella partecipazione sempre più attiva degli utenti alla creazione e condivisione di
contenuti;
- Nel processo di shifting che investe modalità di accesso, creazione ed editing di
contenuti.
Nel nuovo panorama mediale la funzione di controllo e scelta è saldamente nelle mani del
consumatore: al posto del telespettatore si sta progressivamente insediando un utente,
abituato a manipolare interfacce e a gestire più schermi contemporaneamente. Il
protagonismo delle audience emerge come l’elemento di rottura sia perché è alla base
dell’ascesa dei social media sia perché ha orientato all’origine il processo di appropriazione e
condivisione dei contenuti, attraverso la mediazione di piattaforme di online video
aggregation, come Youtube, o le pratiche di sharing attraverso il peer-to-peer e le piattaforme
in streaming legali e non.
Dalla televisione come un flusso unidirezionale, coerente, controllato da una
programmazione centralizzata alla televisione come un’esperienza bi-direzionale,
frammentata, controllata dall’utente.
Si afferma così la pratica della Tv anywhere: consumo di contenuti video attraverso differenti
device (Pc, second screen, game console, connected/smart Tv) e in qualsiasi luogo (outdoor o
indoor). L’insieme dei processi di shifting (time, space, format) ridetermina radicalmente la
matrice dell’interattività assegnando alle pratiche espressive degli utenti un ruolo centrale nel
nuovo ecosistema mediale.
Alcune delle tante possibilità che offre la TV oggi:
- Visualizzare sullo schermo principale archivi conservati nei propri cloud;
- Personalizzare l’accesso e la fruizione dei contenuti on demand, passando quando lo
si ritiene opportuno da un dispositivo all’altro;
- Lanciare una funzione di search su un dispositivo tenuto in mano e visualizzare il
risultato che si voleva raggiungere su uno degli schermi di maggiori dimensioni
presenti in casa;
- Ottenere nella propria guida elettronica ai programmi suggerimenti che tengano conto
delle attività di gradimento social dei nostri amici o delle community di cui siamo
parte;
- Divertirsi con giochi di ruolo che usano lo schermo televisivo come supporto mentre i
presenti interagiscono attraverso i loro smartphone.
Il processo di successiva incorporazione dell’interattività nelle forme mediali contemporanee
altera radicalmente l’esperienza d’uso delle audience e impone alle aziende media di
ridefinire la propria presenza (la propria capacità di essere riconosciute e selezionate) in un
ambiente fortemente competitivo.
Dopo un avvio caratterizzato dalla sperimentazione (anche di tipo commerciale negli USA
degli anni Sessanta) dei prototipi di Picture-Phone, nel 1977 viene lanciato da Time-Warner il
primo servizio ITV (su cavo, con segnale analogico) che prende il nome di QUBE: ai 30
canali broadcast tradizionali, si aggiungevano 10 canali pay-per-view e 10 canali con servizi
interattivi originali; il sistema inoltre prevedeva un narrow-band upstream return channel,
impiegato per semplici servizi interattivi, come la partecipazione a sondaggi e a giochi,
attraverso alcuni tasti previsti nel telecomando.
Il successivo decennio si caratterizza per la sperimentazione della distribuzione di formati
editoriali (videotext) sullo schermo televisivo: tra i servizi interattivi compaiono i primi
sistemi di comunicazione tra utenti e i sondaggi in diretta durante la trasmissione di eventi.
Negli anni Novanta prosegue la sperimentazione di servizi ITV sui cable network che
puntano sulle medesime caratteristiche di base, distribuzione on demand, poche e semplici
funzionalità interattive, perché gli studi condotti insistevano sul fatto che “le persone
vogliono televisione e non computer” e rifiutano tutte quelle complesse operazioni richieste
dalla macchina PC.
Sul piano della ricostruzione cronologica siamo ormai vicini all’apertura di una nuova e
decisiva fase per lo sviluppo dell’interattività nella televisione perché la transizione ai sistemi
digitale, lo sviluppo del web e la crescente disponibilità di connessioni Internet broadband,
consentono più agevolmente, anche nel contesto europeo, la convergenza di servizi di
televisione lineare e non lineare oltre alla sperimentazione di una grande varietà di sistemi
ibridi. Il time shifting rappresenta per un pubblico non necessariamente competente sulle
tecnologie, ma soprattutto per i bambini, la palestra in cui si sperimenta concretamente una
televisione più interattiva. Emerge così un nuovo sistema definito connected television.
Le interfacce a controllo gestuale, per esempio, sono comprese nelle gaming console che
ospitano contenuti televisivi (con la complicità del grande schermo televisivo del soggiorno)
e sono sempre più diffuse anche nelle smart TV, connesse a rete broadband. Allo stesso
tempo, sta diventando del tutto normale utilizzare un device personale, come lo smartphone e
il tablet, per interagire con lo schermo (per esempio lanciando contenuti video al monitor
televisivo), ricevere feedback relativi alla programmazione (contenuti correlati, anche di tipo
social) o partecipare alla conversazione.
L’interattività sta progressivamente diventando il perno dell’esperienza di tutto il consumo di
televisione, indipendentemente dalle piattaforme di distribuzione, dalle tipologie di schermo e
dagli specifici contesti d’uso (indoor o outdoor).
Da un lato, la televisione, in quanto medium, si rende dipendente dal dialogo che ogni singolo
utente attiva attraverso le interfacce, perché la fortissima differenziazione dell’offerta si
innesta sulla innovatività delle pratiche di visione e multi-screening sperimentate dalle
audience; dall’altro, la televisione si trova costretta a rinunciare, in quanto medium, ad una
configurazione formale potente e disciplinante (come la linearità della forma broadcast) e
diviene sempre più dipendente dall’engagement delle audience: una parte sempre più
rilevante del successo di un prodotto televisivo non è affidato alla potenza trasmissiva del
canale, ma alla capacità di suscitare identificazione e attivare percorsi interpretati e creativi
che possano rappresentare un elemento di comunicazione e scambio sociale.
In questo contesto la Social TV diviene “il prodotto della sinergia tra la natura
tradizionalmente sociale del contenuto televisivo (la produttività discorsiva delle audience,
connessa con la gestione identitaria e relazionale dei contenuti TV), l’emergere di ambienti
online per la gestione dei network relazionali (social media platform) e un particolare assetto
tecnologico, caratterizzato dalla diffusione di device mobili, dal superamento della
specializzazione dei singoli dispositivi a favore di una moltiplicazione di funzioni e della
contemporanea evoluzione delle pratiche di multitasking”.
Quindi: da un lato lo schermo televisivo diviene uno smart hub che si riempie di widget e
incorpora finestre che aggregano flussi di altro tipo (immagini, social, online video, musica),
collegamenti che possono essere continuamente attivati o disattivati con altri dispositivi
personali, contenuti di alta qualità distribuiti on demand o generati dallo stesso utente;
dall’altro lo schermo televisivo si infrange e l’esperienza di visione viene esportata e
frammentata su una serie di schermi personali (multiscreening) che integrano o si alternano
nella configurazione delle sempre differenti opportunità di visione: luoghi, tempi, formati si
ricompongono di volta in volta, senza soluzione di continuità. Allo stesso tempo: la
frammentazione dello schermo corrisponde a potenziale frammentazione dell’attenzione e la
maggior visibilità dell’interfaccia toglie spazio al contenuto.
Parliamo di networked media space: uno spazio che necessita di essere attualizzato di volta in
volta dal singolo utente e che assume configurazioni individualizzate ed effimere.
Il nuovo ecosistema televisivo (device, player, format, user experience) che sta ora
emergendo dopo decenni di relativa stabilità, assume un rilievo particolare in considerazione
della centralità che il medium ha sempre avuto rispetto ad altre industrie creative. Noi non
siamo del tutto consapevoli che questo decisivo empowerment, come utilizzatori quotidiani di
una pluralità di tecnologie digitali (che mette pienamente nelle nostre mani il controllo di
cosa, quando e dove vedere), porta necessariamente con sé un’estensione del regime di
sorveglianza delle nostre attività di consumo, che consentirà alle imprese mediali (vecchie e
nuove) un ulteriore passo in avanti sulla strada della mass customization.
Ora stiamo imparando a utilizzare una nuova televisione: più asincrona e personalizzata,
dipendente dal nostro controllo, condivisa sui social media e accessibile da una pluralità di
piattaforme e device collegati alla Rete. Non abbiamo più la necessità di qualificarla come
interattiva anche perché forse non la chiameremo più neppure televisione.
L’interattività videoludica (Luca Tremolada)
Con l’ingresso sul mercato delle console casalinghe il videogioco entra a far parte del salotto
di famiglia. I giochi dell’inizio degli anni Ottanta propongono sviluppi orizzontali classici;
nascono i primi platform (Super Mario), war game con visuali dall’alto e si sperimentano
prospettive in 3D (Asteroids): il giocatore è chiamato a muovere oggetti nello spazio,
misurare coordinazione e riflessi.
Anche con la terza generazione delle console (Nes e Game Boy) e con l’ingresso