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CAPITOLO 2 – LA STAMPA QUOTIDIANA E PERIODICA NEL SECONDO

DOPOGUERRA

1960  Non si usava certificare né le tirature né le copie vendute di quotidiani e periodici. Il

primo accertamento artigianale è avvenuto tre anni più tardi. Si vendevano poco più di 5

milioni di copie al giorno e il 76% dei giornali era di proprietà della Chiesa.

2008  vendite in Italia 5.291.000 di copie di quotidiani. La Chiesa ha solo un quotidiano:

“L’avvenire”

Negli anni ottanta arriva la free press che si stima diffonda circa due milione di copie al

giorno. Audipress, l’istituto che certifica la lettura effettiva dei quotidiani, valuta, stima che

67% degli italiani di oltre 14 anni legge quotidiani.

La rete continua però ad avere crescite esponenziali.

La più grande cesura nel sistema dell’informazione in Italia avviene in pochi anni, tra il

1981 al 1989. Prima di allora in Italia, la stampa era bottega artigianale, per poi diventare

sistema industriale.

Durante la Seconda Guerra Mondiale i giornali vanno via come il pane. Escono su un solo

foglio e la carta è razionata. I numeri sono altissimi. Finita la guerra, era falsa l’idea

dell’epurazione dei giornalisti fascisti. Uno tra tutti il direttore del Corriere della Sera,

Ermanno Amicucci, condannato a morte nel 1945 per poi essere cambiata in ergastolo,

per poi ricevere l’amnistia. E un’altra beffa la mancata restituzione dei giornali ai loro

legittimi proprietari estromessi dal fascismo. Esempio la vicenda della famiglia Crespi, che

rimane proprietaria del Corriere, nonostante sia acclarato l’imbroglio fascista ai danni dei

fratelli Albertini.

L’Italia uscita dalla Resistenza, l’Italia repubblicana se ne infischia e il Corriere, rimane ai

proprietari scelti da Mussolini.

La proprietà e il corpo professionale del giornalismo italiano transitano sostanzialmente

indenni dal fascismo e dalla Repubblica. All’Assemblea Costituente è significativo il

dibattito tra Einaudi e Andreotti con il primo che vuole inserire nella Costituzione norme

che rendano verificabili e certe le fonti di finanziamento dei giornali e il secondo che schiva

l’ostacolo.

Nel 1953 lavorano in Italia 1500 giornalisti, la maggior parte dei quali è cresciuta

professionalmente sotto il fascismo. Le proprietà dei giornali sono divise tra industriali e la

Chiesa.

Verso gli anni 80, c’è stato un processo che alcuni hanno liquidato come collusione,

complotto tra alcune direzioni di testata. Scordando oggi che quasi tutte le testate

televisive erano consonanti nell’appoggio al pool di Mani Pulite. Le maggiori testate italiani

(Repubblica, Corriere della sera, La stampa, l’Unità) avrebbero stretto un patto d’azione

per appoggiare i magistrati milanesi. E’ assodato che tra le varie testate si passassero

informazioni. Una nuova generazione giornalistica prende atto non soltanto del suo potere,

ma delle sintonie diverse stabilite tra la stampa e l’opinione pubblica. Riuscivano a

stabilire un contatto diretto con l’opinione pubblica nel quale gli uni e l’altra si facevano

forte a vicenda.

il rotocalco aveva già avuto qualche fortuna sotto il fascismo, ma la Liberazione scatena

tutte quante le sue forze propulsive. Grande formato, grandi fotografie, didascalie che

raccontano piuttosto che descrivere grandi racconti.

“Oggi” di Rizzoli, nasce nel luglio del 1945, due mesi dopo esce “L’Europeo” di Benedetti.

Nel 1949 uscirà “il Mondo” di Pannunzio. Nel 1955 esce l’Espresso e nel 1962

“Panorama”.

I rotocalchi hanno avuto successo perché:

1) Nel primo dopoguerra aveva le immagini. In un Paese che aveva subito oltre vent’anni

di censura, vedere le cose era essenziale.

2) Godevano di una distribuzione nazionale, prerogativa preclusa ai quotidiani che non

godevano di alcun sistema di teletrasmissione e quindi arrivavano in ritardo sulle piazze.

3) I periodici avevano editori non eccessivamente coinvolti nel sistema di scambio di favori

con il governo o con i partiti di maggioranza.

4) L’estrema differenziazione dell’offerta di informazione tra periodici e rotocalchi: il

settimanale d’opinione, come “Il Mondo”,”L’Espresso”, “Panorama”; il settimanale popolare

“L’Europeo”; il rotocalco illustrato come “Life”, e i settimanali popolari tout court come

“Oggi” o “Gente”.

I settimanali sono stati in grado molto prima dei quotidiani di differenziare i loro pubblici in

virtù della diversificazione dell’offerta di contenuti, stili e formati.

E’ tra i settimanali dal 45 a metà anni Settanta la vera scuola dove cresce una nuova leva

di giornalisti. I periodici in quel periodo danno una proposta di giornalismo impegnato,

attento alle notizie e alle opinioni.

Tra il 1966 al 1967  acquisizione di cinque testate da parte del Gruppo Monti: Carlino,

Nazione, Stadio, Il Telegrafo e il Giornale di Italia.

Nino Rovelli realizza il monopolio in Sardegna.

I quotidiani sono stati a lungo merce di scambio tra l’economia e la politica. Economia che

finanziava quotidiani per dare e ricevere favori dalla politica. La quale, non aveva alcun

interesse a stabilire né una legge antitrust, né a garantire condizioni che potessero

garantire lo sviluppo di un’industria editoriale anche nel settore dei quotidiani com’era

invece accaduto con i periodici.

Tra il 1960 e il 1965 si registra un allargamento degli organici giornalistici, l’aumento della

foliazione dei quotidiani, l’espansione delle redazioni dell’Ansa e della Rai. Aumentano gli

stipendi. La recessione pesa sui bilanci delle aziende. Giornali in crisi, periodici che

rendono fino alla metà degli anni 70 e poi tra televisione e aumento del costo della carta

iniziano a calare. Nello stesso tempo però molto sta cambiando nella popolazione

giornalistica italiana. Nel 1968 iniziano a nascere testate della controinformazione.

Sono gli anni dei giornali comprati e venduti, ma sono anche gli anni in cui i giornalisti

prendono collettivamente coscienza di sé e del loro ruolo, arrivando a guidare il

movimento per la prima legge antitrust nel mondo italiano dei media, la stessa legge che

garantirà alle aziende editoriali il denaro pubblico indispensabile alla conversione

tecnologica e alla ripresa industriale.

“La Repubblica”, nasce il 14 Gennaio 1976. Il successo di Repubblica, supera quella del

Corriere sul finire degli anni 80. Per due motivi:

1) E’ il modo di costruire il giornale, che risente nella scrittura, nella scelta dei contenuti,

nella gerarchia delle notizie, nel modo di accorpare e tematizzare gli argomenti, nella

stessa costruzione delle pagine, nei formati e negli stili della grande lezione del

settimanale.

2) Alla notizia, sostituisce il tema. Le pagine monotematiche, la sezione di primo sfoglio, lo

sforzo quotidiano di costruire un’agenda che non fosse soltanto “all the news that’s fit to

print”, ma l’impalcatura di una lettura quotidiana del mondo che privilegia alcuni temi a

scapito degli altri.

Tutto ciò ha portato a una sua identità. Opera nella sinistra italiana, ma non è un giornale

di partito.

Questo provoca una reazione degli altri giornali che cercano di rinnovarsi. Negli anni

Ottanta, nessun giornale ha più avuto successo se non coltivando un rapporto identitario

con i suoi lettori. Come ad esempio selezionare alcune notizie su cui concentrare la

propria attenzione.

Tutto ciò è stato possibile grazie:

1) Legge 416 del 1981, che finanzia l’innovazione tecnologica e il risanamento dei bilanci

dei quotidiani con il denaro pubblico introducendo le norme antitrust;

2) Esplosione del mercato pubblicitario dei media, innescata dalla comparsa sulla

scena italiana di Publitalia, la concessionaria delle allora reti Fininvest, oggi Mediaset.

Fininvest, si impone sul mercato televisivo commerciale, sviluppando il mercato

pubblicitario dei media.

Sunto: pubblicità, nuovi formati e identità (più soldi pubblici)  Cambiano il sistema dei

media.

Negli anni Novanta, i settimanali sono in crisi, ma andranno con i quotidiani a pareggiare i

conti prima coi gadget poi con i prodotti collaterali. Le radio devono ancora conoscere la

crescita straordinaria. L’identità scoppia a dismisura dentro al crogiuolo di Mani Pulite.

I giornali e in buona parte le televisioni sono il vero e proprio mediatore tra l’azione del

pool giudiziario milanese e un’opinione pubblica che non s’era mai fatta sentire in quel

modo. Per alcuni mesi nel 1992, il supporto dei media all’azione della magistratura non

conosce divisioni politiche. La televisione diventa il luogo sostituivo delle sedi fisiche e

istituzionali della politica, distrutta nelle sue forme e nei suoi spazi dall’azione devastante

della magistratura.

La rivoluzione digitale, il nuovo secolo multimediale (1996-2009)

La televisione diventa il primo spazio della politica grazie a Giuliano Ferrara, ma anche

grazie all’anomalia istituzionale del suo punto di riferimento politico e della distorsione

sistematica dell’uso delle televisioni.

I giornali oggi in Italia, vendono poco più di 5 milioni di copie al giorno. Il calo, è inferiore a

quello di altre nazioni europee e americane. La bolla della new economy e i riflessi sulle

aziende editoriali che negli stessi anni si erano quotate in borsa, si è sgonfiata nel tempo.

La frequenza degli utenti web ai siti di informazioni è certamente indirizzata anche a blog,

Facebook, e altri social network, ma privilegia i contenuti dei siti di testati che abbiano

fama solida e credibilità nel mondo della carta.

La televisione generalista perde sempre più punti nei confronti dei canali satellitari. Le

migliori performance multimediali vengono dai gruppi che prima di altri hanno scelto la

strada dell’integrazione. Oggi la stampa italiana è molto più libera politicamente di fronte

ad una televisione generalista ancora nelle mani dei politici.

I canali di diffusione dell’informazione giornalista si stanno moltiplicando e differenziando.

Cambiano i mezzi, cambiano le tecnologie, ma resta il bisogno sociale dell’informazione.

CAPITOLO 3 – IL PAESE MANCATO

La sociologia dei media impiega oltre vent’anni dai suoi inizi per occupare un posto saldo

negli strumenti di conoscenza della realtà sociale, economica, politica e culturale dell’Italia.

Guido Crainz ha intitolato il suo studio sull’Italia: “Il Paese mancato”.  tra l’estate del

1963 e quella del 1964, si consuma la prima mancanza dell’Italia repubblicana. Tra il

miracolo economico e la prima congiuntura sf

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A.A. 2015-2016
23 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cratti1 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Berni Ivan.