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Le nuove caratteristiche della competizione internazionale, come delocalizzazione, massimizzazione dei vantaggi di

un basso costo del lavoro ecc, nonché la deregolamentazione dei mercati borsistici internazionali negli anni 80,

hanno indotto queste economie africane a riposizionare se stesse nel contesto mondiale. Non si ammodernarono

come il sud-est asiatico, ma rimasero bloccate in un circolo di alleanze con multinazionali, burocrazia e circoli

affaristici locali. Di conseguenza queste economie non trassero vantaggio dalla delocalizzazione fornendo punti

vendita che fungessero da intermediari per le industrie produttrici di beni, favorendo investimenti nel settore dei

prodotti di alta tecnologia destinati all’esportazione o specializzandosi in attività finanziarie internazionali. Così non

si sono mai integrati nella nuova divisione internazionale del lavoro. Gli stati africani che comunque ci hanno provato

non sono stati in grado di cogliere la sfida, il loro prodotto interno lordo è crollato, e sebbene sia aumentata la

pressione fiscale la crisi finanziaria si è ulteriormente acuita. Le transazioni in nero sono aumentate. A livello sociale

e politico, visto che il cittadino non aveva diritti politici, qualora fosse caduto in povertà o a rischio di sopravvivenza

non spettava allo stato garantirgli una forma elementare di protezione, ma al suo parentado. I vincoli imposti alle

economie africane dai finanziamenti e dalla struttura di scambio con l’estero, l’evidente diffusione generalizzata

della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti hanno tutti un potenziale sufficiente ad ampliare le divisioni tra

le società africane. In occidente il conflitto per il lavoro, la produzione e l’appropriazione del profitto non aveva solo

carattere economico, ma anche una rappresentazione del mondo, della società e del potere politico. le

trasformazioni occidentali furono possibili, nonostante la violenza delle lotte sindacali, perché sia salariati che datori

condividevano un immaginario materiale comune: la produzione era infatti percepita da entrambe le fazioni come

un bene sociale. Ma la situazione in africa ha seguito un percorso differente. Le politiche di deregolamentazione

introdotte nel corso degli anni 80 diedero il via a un peggioramento delle condizioni delle masse , alla

disoccupazione. Oggi la regola che domina è il lavoro casuale, con una retribuzione a cottimo, non mensile. Ormai è

quindi radicata una profonda mancanza di certezze che investe ogni aspetto dell’esistenza. Le politiche di

deregolamentazione neoliberiste per affrontare la crisi hanno sconvolto quello che, almeno in alcuni paesi, si era

costruito nel periodo postcoloniale, ovvero di raggiungere compromessi più o meno dinamici coi sistemi indigeni di

coercizione e di finanziare il rapporto di subordinazione. Questa situazione si è aggravata ulteriormente con

l’intensificarsi delle migrazioni, il netto declino nei ricavi delle piantagioni agricole, l’entropia dei sistemi locali, la

comparsa di bande urbane ecc. la brusca deflazione del settore pubblico e semipubblico ha condotto alla

dissoluzione delle imprese di proprietà dello stato. la privatizzazione delle imprese pubbliche e il ridimensionamento

della burocrazia statale hanno prodotto enormi licenziamenti, arrestando il sistema di trasferimenti intracomunitari,

riaccendendo i conflitti sulla ridistribuzione della ricchezza e mettendo in discussione la moralità del sistema di

ineguaglianza e dominio creatosi dopo l’indipendenza. Oggi l’africa avrebbe la possibilità di gettarsi nel nuovo secolo

riuscendo a vincere la sfida della produttività. Nell’economia mondiale odierna questa sfida non può essere vinta

senza una crescita della produttività, vale a dire senza mettere in atto modi efficaci per creare nuovamente

ineguaglianza e organizzare l’esclusione sociale.

Cap. 2 – sul governo privato indiretto

La violenza dell’economia

Sono tre i processi di primaria importanza al centro di questa analisi: anzitutto il distacco dell’africa dai mercati

internazionali ufficiali; le forme della sua integrazione nei circuiti dell’economia internazionale parallela; infine la

frammentazione dell’autorità pubblica e la comparsa di molteplici forme di governo indiretto privato. Due idee

chiave percorrono questo capitolo. La prima è che grazie a queste forme di integrazione nel sistema internazionale e

alle concomitanti modalità di sfruttamento economico, in quasi tutto il continente stanno delineandosi tecnologie di

dominio inedite- queste nuove tecnologie di dominio sono ancora in fase di elaborazione, non hanno ancora

sostituito le esistenti, quindi a volte traggono ispirazione dalle forme passate o agiscono dietro la facciata di esse. La

seconda è che la coerenza delle società africane e la loro capacità di autogoverno e autodeterminazione sono messe

in discussione da due tipi di minaccia. Da un lato le minacce di una dissoluzione interna che nascono da pressioni

esterne che si manifestano sottoforma di debito e vincoli associati alla sua restituzione, ma anche sotto forma di

guerre interne. C’è infatti un alto rischio di perdita di controllo generale della violenza pubblica e privata: questa è

stimolata dalle ineguaglianze crescenti e dalla corruzione, assieme ai disaccordi su come condurre le lotte in corso

per la codifica di nuovi diritti e privilegi. Il mondo si sta trasformando e i cambiamenti stanno investendo numerose

nuove aree economiche dove stanno cambiando i modi in cui i redditi vengono prodotti e distribuiti, i problemi di

cittadinanza e persino la natura stessa dello stato. ma in africa le conseguenze attuali e prevedibili di questa

trasformazione sono di ordine e di intensità differenti. Il continente si sta piegando su se stesso in modo

preoccupante. Questo ripiegamento è un fenomeno che coincide coi processi già verificatisi alla metà del 19 secolo,

quando un’economia fondata sul commercio degli schiavi cedette il passo a un’economia fondata sul commercio

cosiddetto legittimo; in seguito tali processi avrebbero condotto alla conquista e all’occupazione coloniale. Se ne

tratterà brevemente la storia. Sin dal 17 secolo gli stati schiavisti sfruttarono le popolazioni africane e si in

saturarono sulle coste dell’atlantico per continuare i loro saccheggi, cattura e vendita di schiavi. Altri stati invece

cercarono di assimilare i loro prigionieri, li costringevano a fornire servizi in natura e lavoro o imponevano alle

popolazioni sconfitte tasse e tributi. Alcuni leader locali riuscirono più volte con la forza a imporre il loro dominio

sulle elite locali, e anche dal lato musulmano, molti, come i kathumiti, sostenuti dai jallaba (mediatori commerciali

itineranti) militarizzarono il commercio specializzandosi nelle razzie per la cattura di schiavi e nello sfruttamento

dell’avorio. Quindi locali e non locali collaboravano insieme nella sottomissione delle popolazioni. Nel 19 secolo i

turbamenti condussero ad un riassetto culturale di vast respiro, caratterizzato dalla conversione di massa alle

religioni monoteistiche, dalla massiccia ricomparsa di fenomeni di stregoneria, dalla comparsa di molti riti di cura,

dalla trasformazione di comunità di rifugiati in mercenari e infine moltissime rivolte in nome dell’islam. Il crollo della

domanda di schiavi non favorì una diminuzione delle tensioni, piuttosto i gruppi etnici che erano riusciti a mantenere

i loro privilegi come mediatori commerciali si dotarono di armi. Guidati dai capi di bande di cacciatori di schiavi,

commercianti e avventurieri, vennero alla luce movimenti di predoni. Questi nuovi operatori, trafficanti per

precisione, servendosi della guerra, imposero sistemi di tassazione informali e assunsero il controllo dei principali

punti nodali commerciali. Dopo il salasso del commercio degli schiavi, l’africa fece il suo ingresso così nel sistema

economico internazionale. Ora la materia da commerciale era quella prima, non più l’uomo nero. Si trattava di

estrarre le sue risorse attraverso grandi imprese che godevano di privilegi commerciali e minerari, vantando anche

diritti sovrani che gli permettevano di tenere in piedi una forza armata. Così facendo istituzionalizzarono il lignaggio

e il clan, e un regime basato sull’omicidio. Protetto dall’apparato burocratico coloniale, il mercato iniziò a funzionare

come se fosse gestito da banditi. Tutto questo ebbe grosse conseguenze: una crescita nell’indebitamento dei governi

locali e delle elite commerciali registrata quasi ovunque causò nei sistemi politici africani una perdita di potere nei

confronti dell’esterno, esponendoli a serie minacce di dissoluzione interna. In secondo luogo, anche se non

raggiunsero mai i livelli dello schiavismo, la violenza e il saccheggio necessari alla nuova economia internazionale,

condussero alla militarizzazione del potere e del commercio, e all’intensificarsi dell’estorsione. Tutto questo portò

anche ad un ripensamento degli individui stessi, alla costruzione sociale e politica di diritti, doveri. Tutto questo non

deve farci concludere che l’africa stia tornando indietro, nonostante questo ripiegamento. Pur assumendo alcune

caratteristiche dei modelli della prima occupazione imperiale e della stagnazione che ha caratterizzato l’ultima parte

del 19 secolo, le nuove forme di svisceramento del continente non sono identiche alle antiche. In primo luogo

rispetto a quella del 19 secolo la trasformazione attuale si sta orientando in direzione opposta, ossia dell’economia

internazionale ufficiale verso i canali del sommerso i cui tentacoli hanno estensione planetaria (dalle deoghe al

traffico d’armi, al riciclaggio) in secondo luogo, durante il 19 secolo, la perdita di competitività non fu assoluta e la

regione continuò a mantenere importanti quote dei mercati internazionali, almeno per i prodotti tropicali. Oggi in

africa purtroppo si stanno creando dei sistemi di natura così particolare che l’esito dei processi non è soltanto il

debito, la distruzione di capitale produttivo e la guerra, ma anche la disintegrazione dello stato. Questa avverrà a

causa delle condizioni economiche legate alla concessione di prestiti a paesi africani da parte di istituzioni finanziarie

internazionali. Sin dagli anni 80 i paesi africani per fronteggiare la crisi a richiedere l’aiuto delle banche. Il governo

tutelare esercitato dalla Banca Mondiale dal Fondo monetario e da prestatori pubblici e privati non si limitò a

imporre il rispetto di generici principi ed equilibri macroeconomici; in pratica, la tutela dei creditori internazionali si

rafforzò moltissimo e oggi investe il controllo del credito, l’aumento delle privatizzazioni, la determinazione delle

politiche di importazione. Questo ha portato a tre grosse conseguenze: inaridimento delle istituzioni statali al

servigio delle banche; la stretta finanziaria e la crisi fiscale hanno co

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
18 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simosuxyeah di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e campi dell'antropologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Beneduce Roberto.