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DONNE MIGRANTI
La bio-medicina ha una parte mancante, cioè la via di mezzo tra sociale e biologico, si ha paura di entrare
nella sociologia perciò ci si concentra solo sulla parte individuale, sul sogg, senza occuparsi dei modi in cui si
costruiscono le conoscenze; così il sogg si appiattisce venendo curato con modi standard ignorando le diff
culturali o anche le differenze di genere, le donne infatti hanno diagnosi diverse statisticamente dagli
uomini (per es sono più legati a “dipendenze”). Bisogna dunque tener conto delle condiz sociali delle donne
emigrate nel loro paese di origine: le più libere sono quelle dove il potere è più equo e quindi meno
soggette a violenze, le quali quando si verificano creano travagli che sfociano in problemi in seguito al
trauma della migrazione. Ci si ribella all’autorità maschile, ma entrando in una società più libera si
producono altre lacerazioni: soffrono per aver messo in discussione le proprie tradizioni dopo ess entrate in
contatto con una cultura diversa, si sente una critica alla propria identità che causa problemi psicologici
perché la nozione di sé vacilla tra diversi valori e norme, aumentando il senso di isolamento. Difficile
aiutare le donne coi servizi sociali che non comprendono la dimensione culturale interiore; la maternità è
un’altra problematica che porta ulteriore pressione per la responsabilità che comporta avere un figlio per il
suo gruppo, inoltre non può eseguire quei riti impo che accompagno la nascita e ciò è causa di forte senso
di colpa diventando sempre più fragile sia in gravidanza che dopo il parto, prova solitudine per mancanza di
fig di riferimento.
Bisogna confrontare i 2 generi tenendo conto di come questo rapporto sia stato modificato dai
colonizzatori, per capire come le lacerazioni delle donne non riguardino solo il confronto tra la cultura
d’origine e la ospite ma anche il rapporto tra il suo ruolo visto nelle due culture. Nei vari casi clinici perciò
bisogna osservare il rapporto tra la paziente e i suoi familiari inseriti nel contesto d’origine, una relazione
che è basata sulla posizione sociale della donna nella sua cultura, che può portare a sobbarcarsi pesi
importanti o sfruttamenti che a contatto con un nuovo contesto contradditorio col suo, sviluppano
problemi comportamentali e psicologici.
- Un elem impo per la definizione dell’identità e quindi da saper affrontare per la terapia etnopsic è la
circoncisione femminile (infibulazione o escissione); bisogna capire la funzione politica e sociale di queste
pratiche superando la questione dei rischi fisici e psicologici.
Tipi di circoncisione femm: “escissione”= ablazione cappuccio clitorideo, |“sunna”= ablazione del cappuccio e anche di
un parte del clito,| “clitoridectomia”= escissione completa del clitoride e delle piccole labbra,| “infibulazione”
(“circoncisione faraonica”)= ablazione clit, grandi e piccole labbra e sutura.
Ci sono dei modelli interpretativi usati quando si parla di circoncisione: lo sdegno comune di questa pratica
è legata al “terrore della castrazione”, inoltre ciò porterebbe ad accuse razziste verso quelle culture che
eseguono tali pratiche, poi si collega l’escissione del clitoride alla volontà di reprimere il desiderio
femminile, così come si considera l’infibulazione faraonica piena di rischi (con conseguenti richieste di
abolizione) anche se era considerata come pratica di purificazione oltre che controllo della sessualità;
rischierebbe inoltre di danneggiare la fertilità per le infezioni che può causare, ma non interferirebbe col
godimento perciò non è solo una forma repressiva, infine la pratica si instaura in una visione cosmogonica
in cui la sessualità e la salute sono legate caratterizzando la cultura degli individui tanto che se non
dovessero ess fatte causerebbero conseguenze negative; sono dunque “traumatismi culturalmente
organizzati”(Nathan) in cui si attribuisce un significato e consente un’antropopoiesi (fabbricazione
dell’uomo/donna) per creare individui sociali, non solo dunque marcare il passaggio biologico della pubertà
o il sesso, ma una vera e propria “iniziazione”.
Dunque per affrontare qste pratiche bisogna “decolonizzare” il proprio pensiero così da analizzarne gli
aspetti simbolici, ricordare che il conc di diritto di integrità del corpo non è universale ma in soc in cui si
pratica l’infibulaz è centrale il gruppo per definire l’individuo. Bisogna vedere la pratica non come crimine
ma un modo per tutelare l’integrità culturale e identitaria del bambino .
Il trauma della pratica rimane anche dopo la de-infubulaz soprattutto in un ambiente diverso in cui si
critica, quindi bisogna creare un contesto che accolga queste esperienze senza discriminarle; bisogna capire
che le pratiche possono assumere valori diversi col tempo, non vanno trattate perciò come pratiche tribali
ma come “strategie sociali” complesse delle politiche del corpo.
BAMBINI IMMIGRATI
I bambini figli di immigrati ma nati nel paese ospite nn hanno problemi col contesto ma sentono
indirettamente il disagio della migrazione dei genitori, i quali sono l’unico collegamento col luogo d’origine,
un luogo conflittuale e timoroso per il bambino. I disturbi possono ess un riverbero delle difficoltà familiari
nel corso della migrazione o rappresentare l’eco di conflitti irrisolti nelle generazioni precedenti; l’inconscio
qui non va visto come sotto il cosciente ma è orizzontale, è un “altrove” (che si vuole conoscere in quanto
luogo di radici ma anche di conflitti da risolvere).
Un bambino prova tutte le contraddizioni di altri membri familiari, le lingue che imparerà creano una
negoziazione tra identità e ciò può portare a disturbi patologici; in terapia bisogna portare alla luce ogni
storia personale particolare, soprattutto se il bambino è autistico bisogna interpretare il silenzio come
insieme di questi conflitti.
C’è una differenza netta nell’educazione del bambino tra cultura d’origine (prima fisico e indipendenza) e
ospite (più dipendenza e attenzione al comportamento e conoscenza); inoltre ci sono diversi tipi di
famiglie: “gerarchiche” (bambino dipende dal ruolo familiare) e “simmetriche” (percepire il bambino in
rapporto alle qualità individuali). Ci sono anche diff religiose che intervengono.
Questi mod educativi diversi entrando in collisione tra loro creano al bambino disturbi psicosomatici e
difficoltà di relazione e apprendimento.
Si tende però a problematizzare meno le difficoltà di bambini immigrati perché si pensa che il bambino sia
solo vivace e disobbediente o perché si pensa che i genitori considerino meno i problemi; in realtà i
problemi vanno analizzati allo stesso modo per tutti ma tenendo in consideraz la situaz dello straniero.
Bisogna analizzare il ruolo dell’infanzia, come questa fase viene vista dalla cultura del bambino: il bambino
che arriva dal mondo degli antenati, il ruolo primario di un “genio” nella nascita e i riti per inserirlo nella
società. I disturbi comportamentali e le morti premature hanno delle definizioni e dei nomi precisi da
tenere in consideraz per capire come i genitori possono vedere certi disturbi del bambino (“bambino
cattivo”), tutti frutto di trasgressioni dei genitori e quindi di una vendetta dei geni o antenati. I problemi
dunque sarebbero frutto di conflitti familiari generando psicosi infantili ma anche eccessive cure, i timori,
possono portare a rafforzare certe attitudini generando un circolo vizioso (più timore=paura bambino).
I bambini con problemi (i nit ku bon) hanno troppe conoscenze e un potere ambiguo e un atteggiamento
sfrontato per la cultura dei genitori africani, perciò vanno limitati con rituali che vengono usati per
rafforzare la consapevolezza dei mezzi simbolici oltre che per mediare queste figure alla socialità.
Ciò è solo credenza o un valore strategico per le terapie?
C’è una disputa tra chi pensa che questi elementi culturali sui bambini problematici siano parte integrante
del sistema psicologico degli stranieri e perciò da analizzare per le terapie (Nathan), pur non definendo
sempre una persona in un determinato modo, e chi (come Barry) pensa che possono ess semplici metafore
che se prese sul serio tolgono le sfumature dell’infanzia ostacolando il lavoro psico clinico.
Ma ci sono casi che mostrano come non siano solo credenze ma vere e proprie certezze culturali che
influenzano fortemente la concezione di “bambino” ed “emigrazione” dal paese di origine.
Entrando con la paziente nel suo mondo, nei ricordi dei luoghi d’origine e aiutandola a tirar fuori le paure di
stregonerie di invidiosi, si riesce a farle acquisire fiducia in sé perché si riesce anche ad agire sui pensieri che
la tormentano; quindi è utile esplorare quei ricordi che compongono le loro credenze per capire le relazioni
tra esse ed altre vicende (conflitti, migrazioni), perché queste credenze possono coincidere con le
rappresentazioni culturali e quindi influenzare il pensiero dei sogg che si trovano in un altro luogo, perché ci
credono in quanto parte della loro identità, sono metafore vive (gli spiriti sono elem del linguaggio).
In caso di genitori di culture diverse c’è il problema di quale lingua adottare col figlio e questa indecisione
porta alla luce gli interrogativi riguardanti l’identità culturale. La scuola è il luogo in cui compaiono maggiori
contraddizioni al bambino bilingue perché si trasmette solo la cultura ospite e si tiene poco conto della
provenienza del bambino, perciò la lingua ospite accantona quella d’origine causando dissonanze.
Apprendere una seconda lingua dunque crea una dissociazione trai 2 mondi di appartenenza rendendo
difficile la comprensione delle 2 lingue, perciò serve uno spazio intermedio per articolare i 2 mondi
culturali, uno scambio di info, un “gruppo di comunicazione e mediazione” in cui non c’è obbedienza ma
scambio, una sorta di “protesi psichica”. Il gruppo di supplenza consente di mediare luogo d’origine e soc
ospite rendendo presente il primo e più facile da apprendere il secondo.
Inoltre c’è il problema della funzione linguistica che prima era solo affettiva, poi è diventata più cognitiva.
Questa differenza di uso delle due lingue (affettiva e strumentale) porta a conflitti psico e a scarsa
padronanza di entrambe le lingue; anche gli adolescenti si trovano a dover parlare 2 lingue in famiglia:
quella materna coi genitori e quella ospite coi frat