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Cap. 4 – sulla cultura nazionale

Ogni generazione deve scoprire la sua missione, adempierla o tradirla. Nei paesi sottosviluppati le generazioni

precedenti hanno al tempo stesso resistito all’opera di erosione del colonialismo e preparato la maturazione delle

lotte attuali. Bisogna smetterla di condannare i padri: hanno combattuto come potevano, non bisogna cercare

l’eroismo. In questo capitolo si analizzerà il problema della legittimità della rivendicazione di una nazione. Il partito

che mobilita il popolo non riconosce granchè questo problema, parte dal reale vissuto e in nome di questo reale,

invita all’azione. Quello che gli interessa è che il popolo lo ascolti, e che capisca la necessità di partecipare al

combattimento se aspira semplicemente ad esistere. Nella prima fase di lotta nazionale, il colonialismo cerca di

disinnescare la rivendicazione nazionale facendo dell’economismo. Simula la comprensione dell’esigenza di uno

sforzo economico e sociale per far riprendere il territorio sottosviluppato. Lo stato colonialista tuttavia, si accorge

ben presto di non poter sostenere le spese necessarie e molti di questi stati preferiscono adottare la dottrina del

cartierismo. Il colonialismo è incapace di procurare al popolo colonizzato le condizioni materiali capaci di fargli

dimenticare la sua preoccupazione di dignità. Nei partiti poi appaiono uomini di cultura colonizzati. Per loro la

rivendicazione di una cultura nazionale rappresenta un campo di battaglia privilegiato. Mentre gli uomini politici

inscrivono la loro azione nel reale, gli uomini di cultura si situano nella storia. Tuttavia è da appurare il fatto che

questi uomini che professano l’esistenza di una cultura nazionale africana o altra, si rifugiano spesso dietro una

cultura francese o altra e non è contestata da nessuno. Nonostante ciò la loro ricerca è una ricerca importante,

perché si rendono conto che stanno perdendosi, cioè che si sono perduti per il loro popolo e si accaniscono a

riprendere contatto con la linfa più antica, più precoloniale del loro popolo. Probabilmente questo ardore nella

ricerca storica è dettato dalla volontà di un riscatto contemporaneo: la rivendicazione di una cultura nazionale

passata non riabilita soltanto, non si limita a giustificare una cultura nazionale futura, ma cerca di far ritrovare al

popolo il rapporto con il suo passato, alienato dal colonialismo. Quest’ultimo ha cercato di inculcare nelle teste degli

indigeni la convinzione che se i coloni se ne fossero andati, il popolo darebbe tornato in uno stato di barbarie e

animalizzazione. In questa situazione la rivendicazione dell’intellettuale colonizzato non è un lusso, ma coerente

esigenza programmatica. Per fare ciò l’intellettuale non dà battaglia al colonialismo nazionale, ma continentale,

valorizzando il passato. La cultura affermata non è quindi dell’Angola, ma una cultura africana. Il problema è stata la

cultura europea che ha portato una razzializzazione del pensiero, considerando tutti gli africani dei negri, non ha

perso tempo a negare l’una dopo l’altra le culture delle diverse nazioni. Stessa cosa vale anche per il mondo arabo,

sottoposto in gran parte al dominio coloniale. Qui la lotta di liberazione nazionale si è accompagnata ad un

fenomeno culturale conosciuto come il risveglio dell’Islam. I letterati arabi ci hanno messo un sacco di impegno a far

capire ai loro connazionali lo splendore della storia e della letteratura araba. A differenza del mondo africano, il

mondo arabo ha comunque conservato, anche sotto il dominio coloniale, una vivezza. Non si ritrova quella

comunione spontanea di ognuno con tutti. Ciascuno cerca di cantare le realizzazioni della sua nazione. Ma

quest’obbligo di razzializzare le loro rivendicazioni, di parlare di cultura africana o araba più che di cultura nazionale,

conduce gli uomini di cultura in un vicolo cieco. Il caso della Società Africana di Cultura è lampante. Lo scopo di

questa società era di affermare l’esistenza di una cultura africana, ma allo stesso tempo cercava di porsi al fianco

della Società Europea di Cultura, che minacciava di trasformarsi in Società Universale di Cultura. Per partecipare

all’appuntamento universale, la società africana si ridurrà a manifestazioni esibizionistiche della cultura africana. La

Società Africana diventerà la società culturale del mondo nero e sarà indotta ad includere la diaspora nera, quindi gli

afro-americani. Questi ultimi avevano bisogno di una matrice culturale a cui aggrapparsi, e la cercarono in questa

società che nel congresso di Parigi del 1956 assegnò uno stato civile ragionevole agli antichi schiavi. Ma i negri

americani non si ritrovavano nelle rivendicazioni africane. Tuttavia si accorsero comunque di avere in comune la

lotta contro la discriminazione razziale. Crearono così la Società Americana degli uomini di cultura neri. Gli uomini di

cultura si rendevano conto che parlare di cultura negra era riduttivo, la cultura negro-africana si divideva e ogni

cultura è anzitutto nazionale. Se l’impresa dell’intellettuale colonizzato è storicamente limitata, rimane il fatto che

essa contribuisce a sostenere e a legittimare l’azione degli uomini politici. Ed è anche vero che talvolta il modo di

procedere dell’intellettuale colonizzato assume gli aspetti di un culto di una religione. Ma questa fede proclamata

nell’esistenza di una cultura nazionale è necessaria per assicurare all’intellettuale un rifugio dalla cultura bianca. Il

fatto è che l’intellettuale colonizzato ha cercato per troppo tempo di far sua la cultura europea, ma nel momento in

cui i partiti nazionalisti mobilitano il popolo in nome dell’indipendenza nazionale, l’intellettuale sente l’esigenza di

cacciar via quelle cose acquisite che percepisce ora come alienanti. Ma è difficile questa operazione. Significa volersi

fare “negro” a tutti i costi e questo crea un grosso scandalo nella società coloniale. Questo suscitar scandalo

legittima comunque la sua missione e lo incoraggia a perseverare. Nelle opere degli scrittori colonizzati si

riconoscono tre fasi: la prima in cui l’intellettuale ha assimilato la cultura dell’occupante. La seconda dove viene

scosso e decide di tornare dal popolo, ma è ancora limitato. La terza dove torna definitivamente e scuote il popolo

con la sua letteratura di lotta. L’intellettuale comunque si renderà poi conto che non si legittima la propria nazione a

partire dalla cultura, ma la si manifesta nella lotta che il popolo conduce contro le forze d’occupazione. Non si piega

il colonialismo spiegando davanti al suo sguardo tesori culturali malnoti. In un paese sottosviluppato in fase di lotta

le tradizioni sono fondamentalmente instabili e solcate da correnti centrifughe. Nelle arti plastiche per esempio gli

artisti conoscono le arti moderne, anche dell’occupante, ma le rigettano. Tuttavia dimenticano che le tecniche

dell’occupante hanno riorganizzato dialetticamente il cervello del popolo e le costanti che erano ringhiere durante il

periodo coloniale stanno subendo mutamenti tremendamente radicali. Anche sul piano della poesia di possono fare

le stesse constatazioni. Non basta raggiungere il popolo con le proprie opere in questo passato che non c’è più, ma

bisogna raggiungerlo in quel movimento ribaltato che esso ha appena abbozzato, un luogo di squilibrio occulto,

perché è lì che si accende l’anima del popolo. Un esempio è la poesia di Keità Fodebà dove si da molta importanza a

quegli uomini negri e arabi che hanno combattuto per difendere la libertà della Francia o la civiltà britannica, gli

stessi uomini utilizzati poi dai servizi segreti per combattere gli indipendentisti. Le associazioni di ex combattenti

sono nelle colonie una delle forze più antinazionaliste che esistano. Non bisogna quindi accontentarsi di parlare del

passato del popolo per trovarvi elementi di coerenza di fronte alle imprese falsificatrici e denigratrici del

colonialismo. Occorre lavorare, lottare alla stessa cadenza del popolo per precisare l’avvenire, preparare il terreno in

cui già si levano germogli vigorosi. La cultura nazionale non è il folklore in cui un populismo astratto ha creduto di

scoprire la verità del popolo. La cultura nazionale è l’insieme degli sforzi fatti da un popolo sul piano del pensiero per

descrivere, giustificare e cantare l’azione attraverso cui il popolo si è costituito e mantenuto. Questa cultura

nazionale nei paesi sottosviluppati deve situarsi al centro stesso della lotta di liberazione.

4.1 fondamenti reciproci della cultura nazionale e delle lotte di liberazione

La cultura nazionale è, sotto il dominio, coloniale una cultura contestata e la cui distruzione viene perseguita in

modo sistematico. La messa al bando della propria cultura porta nel colonizzato a generare comportamenti

aggressivi. Ma questi atteggiamenti sono di tipo riflesso, inefficaci. La miseria, la carestia constringono sempre più il

colonizzato alla lotta aperta e le tensioni si moltiplicano. Queste si ripercuotono sul piano culturale. Abbiamo una

sovrapproduzione in letteratura, la produzione autoctona si differenzia da quella dell’oppressore. L’intellighenzia

scrive prima poesie e tragedie, poi romanzi, novelle e saggi. I temi sono rinnovati, il progresso della coscienza

nazionale del popolo modifica e precisa le manifestazioni letterarie dell’intellettuale colonizzato. Se prima lo

scrittore colonizzato scriveva guardando all’oppressore, lusingandolo, ora adotta l’abitudine di rivolgersi al suo

popolo. Soltanto a cominciare da questo momento si può parlare di letteratura nazionale. C’è una ripresa e

precisazione dei temi tipicamente nazionalisti. È la letteratura di battaglia propriamente detta, perché convoca tutto

un popolo alla lotta per l’esistenza nazionale. Anche la letteratura orale, i racconti, i canti popolari iniziano a

trasformarsi. C’è un tentativo di attualizzare i conflitti, di modernizzare le forme di lotta evocate, i nomi degli eroi, il

tipo di armi. L’esempio dell’Algeria è significativo. Dal 52-53 i narratori, stereotipati e noiosi da ascoltare,

sconvolgono da cima a fondo sia i metodi di esposizione sia il contenuto dei loro racconti. Il pubblico si fa folto. Il

contatto del popolo con le gesta nuova suscita un nuovi ritmo respiratorio, tensioni muscolari dimenticate e sviluppa

la fantasia. La commedia e la farsa spariscono e la drammatizzazione perde i suoi caratteri di disperazione e di

rivolta, e diventa retaggio comune del popolo. Sul piano artigianale le forme sedimentate da tempo iniziano anche

loro una trasformazione. Anima volti e corpi, prendendo come tema creativo un gruppo avvitato su uno stesso

zoc

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
13 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simosuxyeah di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e campi dell'antropologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Beneduce Roberto.