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INTERCULTURA

Il primo documento da analizzare è il CEFR, che ha subìto vari aggiustamenti dalla sua prima uscita

solo su Internet nel 1996 fino alle versione definitiva, data alle stampe nel 2001.

Le modifiche hanno riguardato sia aspetti formali (come titolo, disposizione dei capitoli ecc..) sia

sostanziali. Tra quest'ultimi c'è proprio la messa in primo piano di un approccio plurilingue e

interculturale, che è diventato l'asse portante del documento (uno dei capitoli , l'1.3, per esempio,

interamente dedicato all'esplicitazione dei concetti di plurilinguismo e multilinguismo, non era

presente nella prima versione del documento).

Già questo aspetto potrebbe essere sufficiente per insinuare il sospetto di una potenziale

incoerenza del documento, dovuta all'inserimento di parti che è difficile poi integrare con il resto

dell'impianto. Questa ipotesi non solo è reale ma è anche causata anche dal fatto che il

documento è stato redatto, oltre che in momenti successivi, anche da autori diversi, il cui diverso

approccio alle tematiche della diffusione delle lingue è testimoniato dalla relativa produzione

bibliografica.

2.1 Plurilinguismo e multilinguismo

Da subito nel CEFR vengono distinti i concetti di multilinguismo e plurilinguismo; dal numero delle

occorrenze nel testo notiamo anche che i termini legati al multilinguismo ricorrono

complessivamente in numero decisamente minore rispetto ai termini legati al plurilinguismo (5

occorrenze contro 55). Il termine multilinguism e i suoi derivati, infatti, vengono citati solo nelle

pagine iniziali dell'edizione del 2001 e vengono poi da subito abbandonati perché assumono una

accezione negativa, non adeguata a tenere conto dell'approccio che si intende adottare. Infatti,

secondo gli estensori del documento, il concetto di multilinguismo presuppone una visione statica

della compresenza e della convivenza delle lingue e del loro apprendimento. Secondo tale visione,

diverse lingue possono essere presenti in un territorio, in un'istituzione scolastica o nel repertorio

linguistico di ciascun individuo, ma in modo separato e impermeabile. La realizzazione di piani di

azione e strategie per diversificare e intensificare l'apprendimento linguistico, invece, deve mirare

al plurilinguismo, la cui promozione diventa uno degli scopi principali del CEFR.

L'approccio plurilinguistico del CEFR propone una visione dinamica della compresenza di lingue,

ponendo a proprio fondamento la compresenza tra L1/L2, nativo/non nativo, delineato come

spazio condiviso e non impermeabile. In questo senso la competenza linguistico-comunicativa di

un individuo in quanto nativo, possessore ed utente della propria lingua, è una risorsa necessaria

per la formazione di un apprendente di una lingua diversa dalla propria. Le esperienze di lingua si

integrano tutte e le competenze native e quelle di un apprendente non si possono paragonare ad

insiemi finiti e chiusi di strutture di lessico, usi ecc.. come lo sono nel caso di un approccio

multilingue. In quanto sistema aperto, il continuum si configura come un'area di compenetrazione,

sovrapposizione e confronto, caratterizzato da una forte dialettica, da una conversazione animata.

Non a caso, nel capitolo 1.3, in cui viene definito l'approccio plurilinguistico, che il CEFR introduce

il concetto di educazione linguistica, che si fonda sul concetto di plurilinguismo, in quanto

compresenza di sistemi semiotici. In questo senso linguaggi, lingue e culture sono sinonimi: una

lingua storico-naturale è solo uno dei codici a disposizione di un utente, e anche altri codici verbali

(le L2) e non verbali concorrono nella creazione di un senso. Infatti, sono molto frequenti

nell'interno documento i passaggi in cui i termini lingue e cultura ricorrono insieme.

Il CEFR quindi sembra proporre un approccio semiotica a fondamento della sua proposta.

Le specificazioni per ciò che riguarda le competenze plurilingue e le implicazioni applicative di

questo concetto, il CEFR rimanda ai capitoli 6 e 8. Nel capitolo 6 dedicato alla specificazione del

processo di apprendimento e insegnamento, si fa sempre riferimento allo sviluppo di una

competenza plurilingue e pluriculturale. Lo stesso concetto viene ripetuto anche nel capitolo 8,

dedicato alle applicazioni operative, all'inizio del quale si ribadisce l'annullamento della

differenziazione dei concetti di lingua/linguaggi/culture e quindi quella tra L1/L2. Nel corso del

capitolo si continua ad indicare il plurilinguismo come un valore, una risorsa da sfruttare questa

risorsa sono vaghe e talvolta anche contraddittorie. L'idea che si ricava da queste pagine è l'ipotesi

di un approccio plurilingue rimanga un concetto vuoto, una bandiera da sventolare in ogni

occasione. Infatti, nonostante si enfatizzi il ricorso a una prospettiva semiotica di analisi del

processo di apprendimento, le implicazioni operative derivanti dalle tematiche delle lingue in

contatto non vengano mai esplicitate. Una conferma di ci che si ottiene dall'analisi del concetto di

mediazione. Il CEFR fa del plurilinguismo una vera e propria bandiera teorica da utilizzare in modo

pressoché automatico ogniqualvolta si parla di apprendimento ed insegnamento linguistico.

2.2 Mediazione

La mediazione viene inizialmente vista come componente essenziale e irrinunciabile della

costruzione e negoziazione di senso e dunque nell'interazione semiotica: sono gli stessi parlanti

che nello scambio comunicativo, sia che avvenga tra parlanti di una stessa lingua sia nei processi di

contatto fra lingue diverse, diventano veri e propri mediatori. Quella del mediatore, quindi, non è

considerata dal CEFR come una categoria professionale, ma in condizione permanente del farsi

della semiosi. Come già detto, l'idea portante del capitolo 1.3 è quella di uno spazio linguistico

condiviso che dalla L1 si espande fino a comprendere quello delle L2 apprese. Tale premessa la

ritroviamo al capitolo 2.1.3 dove vengono elencate le attività linguistiche delle quali si compone la

competenza linguistico-comunicativa dell'utente/apprendente di una lingua. Un tale

riconoscimento rappresenta una novità di rilievo e sono numerosi i passaggi del documento in cui

questa idea ricorre e viene approfondita: così accade nel capitolo in cui vengono descritti i diversi

tipi di obiettivi che l'insegnamento delle lingue potrebbe, o dovrebbe, porsi. Tuttavia, l'accostare

la mediazione alle altre attività linguistiche, produttive e ricettive, specificando anche il suo essere

attività scritta, orale ed interattiva, equivale quasi al ribaltamento del fondamento teorico che nel

capitolo 1.3 era posto alla base del documento.

In questo modo, infatti, si va a legittimare il fatto che la mediazione non sia un elemento

intrinseco e "naturale" dello scambio semiotica, base anche delle attività di produzione e

ricezione, scritte ed orali, ma, al contrario, si va a sostenere che essa sia un'attività parallela ad

esse. L'attività di mediazione, che in teoria dovrebbe essere componente "normale" dello scambio

semiotico, in questo paragrafo viene addirittura attribuita ad una terza persona, responsabile del

passaggio dell'informazione tra due interlocutori e va a coincidere con la traduzione o

l'interpretariato, siano attività di parafrasi, riassunto, riformulazione ecc..

Questa visione trova conferma quando si vanno ad analizzare le sotto-attività che nel CEFR sono

elencate come componenti dell'attività di mediazione.

Si evidenzia, quindi, la terza parte, il mediatore, colui che entra in azione quando la comunicazione

diretta tra due persone che parlano lingue diverse è così difficoltosa da risultare addirittura

impossibile. Un'ulteriore profonda contraddizione è quella che rintracciamo nel capitolo 4, che ha

un'importanza fondamentale occupandosi di chiarire il concetto di Language use e di Language

user/leaner. Qui la mediazione è ancora descritta in termini di attività e sembrerebbe legarsi, e

anzi diventare prioritaria, per la costituzione una competenza plurilingue e interculturale. È facile

notare però che la mediazione perde il suo senso originario di caratteristica essenziale del

processo semiotico e al contrario veda rafforzarsi il suo essere attività altra della comunicazione,

accanto alla ricezione e alle produzioni scritte e orali, sempre più assimilabile alle attività di

traduzione e interpretariato.

In generale si può dire che nel capitolo 4, pur dedicando un ampio spazio al concetto di

mediazione, si abbandoni il senso che il termine aveva accolto il capitolo 1, quello cioè di

componente essenziale dello scambio semiotico, ed indirizzi sempre più il problema della

mediazione interlinguistica ed interculturale verso quello di un'attività indistinta dalla traduzione e

dall'interpretariato e latta al possesso di una competenza quasi nativa. Quando poi il CEFR opera

in termini espliciti una distinzione tra mediazione, traduzione e interpretariato, ecco che la

mediazione va a rappresentare la macrocategoria all'interno della quale si vanno a collocare le

altre due attività.

2.3 Intercultura

Il concetto di intercultura è basilare all'inizio del documento, dove si sostiene come sia solo

attraverso un approccio interculturale che l'educazione linguistica può considerarsi tale,

promuovendo non un isolato sviluppo delle sole competenze linguistiche ma coinvolgendo

l'apprendimento nel suo essere individuo biologicamente, culturalmente e socialmente connotato.

Nel capitolo 1.3 le esperienze interculturali risultano fondamentali all'interno del portfolio

linguistico di ciascun cittadino europeo; nel 2.1 la comunicazione interculturale è discussa in

quanto conoscenza di valori condivisi ed infine in un passo del capitolo 3 l'interculuralità si lega

esplicitamente al plurilinguismo ed è considerata come una caratteristica connaturata al processo

di apprendimento e anzi si sviluppa perché l'apprendimento non avviene per compartimenti stagni

o perché riguarda il solo livello linguistico, ma perché è processo complesso e globale in un si

acquisisce consapevolezza e si sviluppano abilità e know-how. È solo a partire dal capitolo 3 che il

CEFR insiste proprio sull'idea di consapevolezza interculturale e in parallelo quella dello sviluppo di

attività interculturali. Leggendo accuratamente però si nota come questo insistere rappresenta più

un accostamento artificioso di termini che un effettivo sviluppo delle idee proposte all'inizio del

documento in relazione al concetto di intercultura.

3. IL CEE (2003): UNA POLITICA ATTUATIVA PER LE SOLE LINGUE

EUROPEE

Il secondo documento oggetto di analisi è la comunicazione della Commissione Europe intitolata

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
6 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vale_13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria della mediazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università per stranieri di Siena o del prof Machetti Sabrina.