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Ad esempio nel 559 Prisco si appresta di nuovo a combattere l’esercito avaro e i due eserciti stabilirono il giorno
della battaglia. Anche nell’assedio di Costantinopoli furono inviati segnali ambivalenti: al khagan fu inviato del
bestiame dalla città e dopo il fallimento avaro questo mostrò la sua desolazione colpendosi il petto e i fianchi di
fronte alle mura della città. Nelle fonti vengono spesso raccontati stratagemmi come la lettera nella quale
l’imperatore diceva a prisco che era circondato dagli avari, che avrebbe mandato un attacco per liberarlo e questa
cadde nelle mani del khagan. Era un bluff. Qualche volta poi si discuteva anche per il riscatto dei prigionieri. Dopo il
fallito assedio di tessalonica da parte di avari e slavi nel 616 i barbari arrivarono fin davanti alle mura per vendere a
basso prezzo i loro prigionieri.
- Alcune conclusioni
Ne gli unni ne gli avati avevano come scopo la totale distruzione dell’impero, ai cui pagamenti dovevano la loro
esistenza. Le loro guerre non erano in alcun modo saccheggi disordinati; gli eserciti che vi partecipavano erano sotto
controllo e quando una pace veniva conclusa essi dovevano attenervisi. I sovrani unni e avari erano ben disposti alla
pace e dovevano anche temere l’anarchia di popoli, nella quale i loro guerrieri avrebbero potuto prendersi da soli ciò
che invece dovevano essere debitori al loro sovrano. Così fu per attila e anche per gli avari. L’alternanza di attacchi e
negoziani, richieste, minacce e accordi era chiaramente l’unica possibilità per salvaguardare un’eccezionale
concentrazione del potere, nelle mani dei re. Non era solo la logica del conflitto che legava i principi barbarici allo
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stato romano: senza il prestigio e le ricchezze dell’impero non avrebbero potuto ne aspirare alla loro posizione, ne
raggiungerla. E questi stessi principi, ognuno che pensava per se, furono spesso la causa della disgregazione dei regni
barbarici. La coesione interna durante i conflitti romano-barbarici veniva fornita solo temporaneamente. Le guerre
barbariche del 5 e 6 secolo sono caratterizzate per lo più da una breve durata, diverse dalle guerre romano-persiane
che si trascinavano per decenni. In compenso le guerre barbariche potevano riaccendersi in pochi mesi o pochi anni
dopo una pace. Questo alimentò anche lo stereotipo dell’immagine guerriera di questi regni. Chi era padrone di
entrambe le forme di comunicazione, guerra e pace, aveva grandi probabilità di successo e in circostanze favorevoli
riusciva ad ottenere una pacificazione del conflitto. All’arrivo delle popolazioni slave il rapporto amore-odio tra
romani e avari-unni cambiò. Gli slavi vivevano senza sistema romano tranquillamente. Se in passato i romani
cercarono di favorire l’ascesa di regni germanici, ora si ricredevano, soprattutto con le incursioni slave e soltanto nel
7 secolo le province balcaniche furono regolate da accordi. Gli slavi erano duri da gestire come dimostrato dalla
ribellione del 602 che portò alla caduta di Maurizio: il secolare gioco di alternanze tra conflitto e integrazione era
arrivato ai suoi limiti. Ma anche con gli slavi in qualche modo i romani riuscirono a sviluppare un ambito coflituale
che seguiva il vecchio modello che esigeva da entrambe le parti trattative, alleanze, promesse, minacce, guerre, gesi
di superiorità, sottomissione.
Capitolo 3 – la sfida attilana. Dinamica di un potere barbarico.
L’unica descrizione dettagliata di attila e del suo modo di fare politica è quella di prisco, nel suo rapporto sulla
famosa ambasciata bizantina alla corte del re unno nel 449. Attila ricevette gli ambasciatori romani di oriente e
occidente e venne a conoscenza della congiura sulla sua testa. Altro oggetto delle trattative fu la richiesta dei
disertori unni ai bizantini. Inoltre si parlò anche dell’estradizione di un orefice di roma. Un segretario romano alla
corte unna, poi crocefisso con l’accusa di tradimento, aveva ricevuto calici d’oro dal vescovo di Sirmio affinch lo
riscattasse dagli unni se fosse stato catturato. Quel segretario aveva venduto i calici alla banca di Silvano, l’orefice, a
roma. Attila volle che gli fosse consegnato silvano per aver commesso furto di oggetti di sua proprietà. Altra vicenda
trattata in quel colloquio fu la richiesta del re di trovare una ricca moglie romana per il suo segretario costanzo, ma la
donna voluta sposò un altro. E attila nuovamente si adirò. Sia gli storici contemporanei che quelli moderni hanno
spesso spiegato l’atteggiamento di attila sotto l’ordine psicologico. Ma il potere si basa soprattutto sulla
drammaticità dei gesti e delle parole e attila tendeva a dimostrare come gli imperatori di oriente e occidente gli
fossero sottomessi. Prisco scrive infatti che gli imperatori erano suoi schiavi ed esaudivano ogni suo ordine ed
esaudivano ogni sua richiesta. L’aggressività di attila ha rinforzato lo stereotipo del nemico che arriva dall’est. Ma il
punto è che gli unni non furono più crudeli o più feroci dei loro contemporanei. In quanto guerrieri specializzati,
come molti altri, non fecero la guerra in modo più disumano delle armate romane. La società unna di attila
rappresenta un modello di vita differente con valori, dispositivi e modi di produzione diversi da quelli del mondo
tardo antico. Gli unni e l’impero non sono due stati analoghi: gli unni appaiono piuttosto come un fattore di politica
interna, non tanto come un potere estraneo. Partecipano ad un gioco di potere per una porzione delle ricchezze
dell’impero romano. Ma come è possibile? Per capire bisogna ripercorrere la storia degli unni. La popolazione arrivà
in europa nel 375. Le possibilità di carriera nell’esercito romano attirarono migliaia di barbari. Nel 376 i goti e altri
barbari attraversarono il danubio e furono ricevuto dai romani. L’imperatore valente nel 378 e il suo esercito furono
distrutti ad Adrianopoli dagli stessi profughi goti, infuriati a causa della corruzione e dell’incompetenza
dell’amministrazione imperiale. Il suo successore, teodosio concluse nel 382 un trattato coi goti. Essi furono accolti
sotto il proprio re come federati romani, sul suolo romano, ma gli unni non vennero coinvolti in questo processo. I
loro regni nelle steppe asiatiche esistevano da tempo ed entrarono nell’impero all’ombra dei goti, e i romani non si
resero conto che erano una forza da prendere in considerazione. Ma come entrarono allora? Gli avari arrivarono nel
558. Vicini al caucaso il khagan mandò un’ambasceria a Costantinopoli per chiedere a giustiniano la conclusione di
un foedus, promettendo di annientare tutti i nemici dell’impero nelle steppe pontiche. Entrarono dunque sulla scena
come alleati dei bizantini. Gli unni del 4 secolo non tentarono di stabilire questo rapporto coi romani e non esisteva
ancora un organo stabile, una politica unitaria verso i romani. Alcuni unni si unirono quindi ai goti come mercenari
ed entrarono negli eserciti romani. Nel 394 si batterono per la vittoria finale del cristianesimo contro i pagani,
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quando teodosio vinse l’usurpatore eugenio. Prima del 400 si trovarono delle guardie del corpo dei rivali Rufino
(ministro di Arcadio) e Stilicone (generale ravennate) e dopo il 400 anche nell’esercito visigoto di ataulfo. Gli unni di
Uldin aiutarono roma nel 406 a respingere l’invasione ostrogota di radagaiso. Nello stesso periodo anche tutti gli altri
barbari iniziarono a invadere il sistema imperiale e ottennero tutti una collaborazione con l’amministrazione romana.
Spesso i generali romani ebbero un seguito personale di buccellarii barbari, spesso unni. Mentre alcuni unni erano
nell’impero intanto ad est si stava formando del tutto il regno unno di attila. Le fonti parlano di una diarchia nel
regno unno (attila e il fratello bleda), prima che attila facesse sopprimere il fratello e riunisse il regno. Nonostante il
loro carattere nomade sono stati proprio gli unni uno dei popoli delle steppe che seppero organizzare al meglio
potere e territori vasti. Sì, perché non si trattava non tanto di pastori nomadi impiegati nella difesa delle greggi, ma
di nuclei di guerrieri specializzati, molo flessibili nell’associarsi ad altri gruppi. Punto debole però era il loro voler
ricchezza: per un re come attila l’oro romano significava la possibilità di fare dei doni prestigiosi a nobili e guerrieri e
se un sovrano unno non riusciva a procurare ciò che desideravano i guerrieri, lo abbandonavano. Attila fu comunque
un abile re, aspettò infatti prima di attaccare i romani: sottomise gli altri popoli barbari. Stessa cosa fece Baian, re
avaro, al fine di rimanere il solo contraente barbaro dei bizantini su tutta la frontiera settentrionale. Un passo
decisivo degli unni in questa direzione fu il trattato di Margus: il re rua prima della sua morte aveva deciso di
sottomettere le tribù unniche dissidenti lungo il danubio. i nuovi re attila e bleda ottennero dai romani il raro
impegno di non concludere alleanze con nessuna tribù barbara che fosse in guerra con gli unni. Così successe che
attila partì alla volta della gallia dove sperava di distruggere il potere visigoto. Naturalmente l’altra concentrazione di
guerrieri portava sia diserzioni che dissidenze e attila diede ai suoi guerrieri la possibilità di predare e di prendere il
riscatto per i prigionieri romani. Conservare da una parte la motivazione nei propri guerrieri e dall’altra l’afflusso
d’oro con alternanza di minacce, invasioni, trattative e patti era la strategia vincente di attila. Ma perché attila non si
mosse verso roma? Nel 449 i romani erano preoccupati che attila potesse muoversi verso la persia e che dopo la sua
vittoria potesse esigere lo stesso grado degli imperatori. Ma ad attila non interessava l’oriente. Provò ad occidente, e
pensò forse anche all’italia ma è significativo come i consiglieri di attila gli avessero ricordato che la presa di roma
non avesse portato fortuna ad alarico. Dopo la conquista dei centri traspadani, un obiettivo ulteriore non sembrava
raggiungibile. L’immenso esercito era minacciato dalla fame e dalle epidemie, e i guerrieri barbari erano già tanto
carichi di bottino che diventavano incontrollabili. Gli unni quindi non sentivano assolutamente l’esigenza di occupare
il territorio romano. Preferirono romanizzarsi in parte e abbandonare le strutture tribali e dell’economia di
sussistenza. Questa politica di “alternativa unna” non fu sgradita a tutti i romani. Attila, flagellum deii, era come il
diavolo che sancisce il valore divino per i romani del periodo: egli conferma il mondo cristiano romano e la sua
superiorità. il fatto che ci siano stati due concili al tempo di attila (Efeso 431 e Calcedonia 451) conferma quanto si
fosse espanso il regno pagano barbaro e che esigesse un certo controllo. Poi l’alternativa unna si dissolve. E attila<