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SAGGI

• NASCITA DI UNA NUOVA ARTE: RICCIOTTO CANUDO

Ricciotto Canudo è il primo ad aver considerato il cinema un’arte; il suo interesse è dato dalle

novità che introduce il cinema ma non da un punto di vista economico-sociale, quanto da quello

estetico. Italiano trasferitosi a Parigi, anni in cui il cinema si istituzionalizza diventando una forma

specifica (nascono le sale). Nel suo articolo Trionfo del cinematografo considera il cinema come la

settima arte, la somma di tutte le precedenti, ma anche qualcosa di diverso. Scrive ancora

nell’epoca del cinema muto, pur non essendolo in senso assoluto grazie agli accompagnamenti

musicali live. Assomiglia molto a una performance dal vivo, ogni spettacolo è diverso a seconda di

dove lo si guarda. La prima parte del testo riflette sulla sala cinematografica e i momenti

precedenti all’inizio del film: il cinema secondo Canudo è un tempio per una ritualità collettiva, che

concilia spettacolo (teatro) e contemplazione estetica (pittura). Il cinematografo è in grado di

mostrare il movimento, la velocità e l’azione. Fa una distinzione tra le arti che si estendono nello

spazio, cioè quelle plastiche e quelle che si sviluppano nel tempo (musica e poesia); il cinema è

una combinazione che lo definisce arte plastica in movimento: è in grado di combinare tempo e

spazio creando emozioni più intense.

La modernità del fenomeno cinematografico per Canudo si manifesta in due aspetti:

A. REALE: riguarda la capacità di raffigurare l’umanità, la vita umana nella sua interezza e verità;

B. SIMBOLICO: riguarda la velocità della rappresentazione e la rapidità dei movimenti + la

distruzione delle distanze, la possibilità di vedere e conoscere paesi lontani e abitudini diverse.

Cinema come arte in cui l’immagine è qualcosa che riconosco perché è uguale al mondo ma è

anche qualcosa di diverso rispetto al mondo che rappresenta. In un quadro riconosco subito che si

tratta di rappresentazione, ma è completamente diverso nonostante sia mimetico rispetto a quello

che rappresenta. L’immagine fotografica e cinematografica sembra la pelle del mondo, ritagliata,

ricostruita: per questo posso dire che è una rappresentazione artistica, un doppio. Ciò che non fa

considerare ai teorici il cinema come un’arte all’inizio è il fatto che sia fatto tramite una macchina:

non si vede il gesto dell’artista. Bisogna aspettare gli anni ’20 per rendersene conto.

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• ESSENZA DEL CINEMA E FOTOGENIA: JEAN EPSTEIN

Jean Epstein è conosciuto come uno degli esponenti più rappresentativi dell’impressionismo

francese. Il suo film più noto e La chute de la maison Usher (1928) in cui tramite il ralenti crea

atmosfere inquietanti. Epstein sperimenta il tempo cinematografico come fenomeno psicologico;

affronta la variazione temporale del cinema (ralenti e accelerazione) nel suo scritto Bonjour

cinéma. La macchina da presa viene concepita come una sorta di essere pensante con capacità

analitiche che permettono una visione del mondo rivoluzionaria, che sovverte la razionalità del

pensiero registrando quello che l’uomo non può vedere. L’essenziale del cinema è la fotogenia:

(non il venire bene nelle immagini) ma una proprietà visiva delle immagini, l’aspetto dell’oggetto

fotografato segreto che può essere rivelato soltanto dall’obiettivo, che rende l’oggetto carico di

significato. Emerge dalla macchina da presa una qualità che non si riesce a percepire per via

naturale. Il cinema è una macchina che consente di vedere in modo nuovo. C’è una dimensione

magica consegnata alla macchina da presa, che diventa una rivelazione, questo consente di

parlare di cinema come arte, non come meccanismo. Si parla di sguardo elevato al quadrato

perché quando lo spettatore vede il film lo fa per la prima volta, ma il cinema l’ha già visto, per

questo secondo Epstein il cinema è psichico. Per Epstein è fondamentale il primo piano, che

definisce l’anima del cinema: è un’inquadratura che rende possibile l’apparire della fotogenia

pura, non immobile ma tramite il movimento e l’espressione del volto. Grazie all’impressione di

vicinanza il primo piano rafforza il dramma, crea intimità e costringe lo spettatore a stare attento e

ad emozionarsi. Descrive poi gli effetti prodotti sullo spettatore: ipnotizzato dallo schermo e

insensibile al resto grazie a un procedimento emotivo ottico. Stare così a ridosso del volto lo

può fare solo il cinema, consente di rendere percepibile l’invisibile: il pensiero. La conclusione

rimanda al cinema come arte spiritica: registra il pensiero tramite i corpi, amplifica le idee e le

emozioni, costringendo lo spettatore a credere alla loro esistenza. Scrive un testo che si chiama

Alcol e Cinema: l’umanità con il cinema conquista una capacità di conoscere non più razionale,

ma simile a quella che si ha in piena ebrezza: abbandono del controllo per vedere qualcosa di più,

come se si fosse in uno stato di allucinazione; un’immagine meravigliosa in cui si vede uno spettro

del mondo, ma più dinamico. Negli anni ’20 Epstein dà un grande contributo cercando qualcosa di

diverso dall’apparenza seduttiva del divismo hollywoodiano. Cerca nel volto un segreto, rendere

leggibile un insieme di dimensioni psichiche legate alla storia raccontata: come se l’umanità si

rendesse leggibile non dichiarando quello che prova, ma rendendolo evidente tramite l’espressività

del volto, che non funziona semplicemente per collocare le cose. Il cinema è una potenza che

altera il tempo naturale delle cose e ne fa vedere la struttura, tutto è vivo e niente è immobile. Più

che registrare le cose del mondo, registra i movimenti inavvertiti delle cose (esempio di un progetto

per cui voleva riprendere una montagna per anni e proiettare il tutto velocemente per mostrarne i

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cambiamenti). Il cinema deve rompere l’abitudine, far vedere quello che abbiamo sotto gli occhi ma

in modo diverso. Epstain parla del cinema come lirosofia: unione di lirica + sapere, è il paradosso

di una macchina che produce sentimento e riesce a far pensare tramite gli occhi. Il cinema è

rivelazione, un iper-visione, fa vedere l’invisibile. Pagina 7 di 15

• IL MONTAGGIO COME PRINCIPIO GENERALE: SERGEJ EJZENSTEJN

Regista russo tra i più importanti ed originali. Figura eroica portatore di grande trasformazione, ha

avuto il coraggio (insieme a Vertov) di fare cose nuove, non assecondare il regime e nemmeno i

modi tradizionali di fare cinema.

La sua base teorica è legata all’avanguardia: convinto che l’arte in generale e il cinema provochi

nello spettatore un’esperienza emotiva che solleciti il pensiero; idea di arte come rottura e rischio

perfino della vita. Idea dell’artista che non conosce limiti e mette a repentaglio se stesso nell’opera.

Emerge già dal suo scritto Il montaggio delle attrazioni l’importanza che per lui ha il montaggio:

indica il processo di composizione di azioni singole che portano ad un insieme, l’effetto desiderato.

Risponde alla logica del conflitto: il montaggio non è l’insieme di frammenti da collegare, ma una

tecnica traumatica, un’idea di shock: si parla di cinepugno, che colpisce in termini emotivi lo

spettatore. Il cinema viene descritto come arte delle combinazioni, per lui il significato dell’arte

cinematografica risiede nel suo essere una forma di violenza (figura chiave dell’avanguardia) che

sollecita la psiche dello spettatore tramite la combinazione dei singoli elementi. Le immagini da

sole non hanno molto significato, mentre la loro associazione produce un significato.

Il concetto è il risultato dello scontro di due rappresentazioni.

La sua libertà di pensiero si avverte anche con la reazione dell’avvento sonoro, infatti nel 1928

scrive il Manifesto dell’asincronismo, dove secondo lui il sonoro non dev’essere utilizzato in

sincronia con quello che si vede, ma al contrario dev’essere asincrono per sviluppare un pensiero

nello spettatore.

In un altro scritto (Montaz) evidenzia la differenza tra rappresentazione e immagine, dove la

prima è il fenomeno mostrato nell’inquadratura, e la seconda è la sua trasformazione che ne coglie

l’essenza e conferisce un senso, sempre tramite al montaggio; processo di identificazione che

rivela il legame tra cinema e pensiero.

Il concetto di dinamicità dell’opera mette in risalto il movimento differenti registri espressivi del

film (spazio, sonoro, colore…) che creano l’estasi: un’uscita che determina continue trasformazioni

qualitative. Importante è anche il pathos dello spettatore, l’esperienza sensoriale ed emotiva che

sollecita il pensiero.

Ejzenstejn dice che bisogna spaccare i crani agli spettatori, costringerli in modo rivoluzionarlo alla

nuova visione. Il persuadere attraverso sollecitazioni emozionali passa tramite una dinamica

fortissima delle immagini. Non c’è combinazione lineare, mai un’immagine fissa, tutto si muove. Il

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cinema è un linguaggio visivo, capace di rendere evidente visivamente un concetto ma è sempre

una rappresentazione artistica del reale.

Ejzenstejn e i sovietici stanno sempre dalla parte della cornice (costruzione della visibilità del

mondo). Pagina 9 di 15

• CINEOCCHIO E RIVOLUZIONE: DZIGA VERTOV

Dziga Vertov ha una concezione teorica del cinema forte: sente il bisogno di rinnovare

profondamente il cinema perché legato a film di finzione e opere che derivano dalla drammaturgia

e altre forme d’arte. Il nuovo cinema dev’essere autonomo portando all’estremo le capacità della

macchina da presa, definita un cineocchio, capace di mostrare l’invisibile e tutto ciò che l’occhio

umano non riesce a vedere da solo. Altro aspetto fondamentale è la cinematizzazione delle

masse: fornire un’educazione ai contadini e operai dell’URSS. Tutto questo non vuol dire avere

una passività riproduttiva che somigli a un documentario, ma si punta a restituire la realtà nella sua

completezza, anche grazie al montaggio, che Vertov vede come l’organizzazione del mondo

visibile. La sua idea di montaggio è lontana dalla linearizzazione narrativa, opta più all’effetto

Kulesov: primo piano montato con diverse immagini che apparentemente non centrano nulla,

capace di stimolare lo spettatore che ne conferisce interpretazioni differenti. Da qui nascerà anche

il manifesto dei Cineocchi, gruppo che realizza film basandosi sui principi esposti in precedenza.

Dettagli
A.A. 2016-2017
15 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gianluca.disario di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia ed estetica del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Farinotti Luisella.