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NUOVO CINEMA NELL’URSS E NELL’EUROPA DELL’EST
Unione sovietica: dal cinema del disgelo ai nuovi autori
Al termine della 2° guerra mondiale il partito comunista riaffermò rapidamente il suo dominio sulle
arte il realismo socialista divenne ancor più restrittivo di quanto non fosse stato negli anni ‘30. La
campagna di Zdanov portò gli studi praticamente alla paralisi. Alcuni film subirono “correzioni”
durante la scrittura e le riprese, altri invece furono proibiti.
La maggior parte dei registi degli anni ‘20 fu costretta all’inattività.
Emerse quindi una nuova generazione di autori che aveva contribuito al realismo socialista, tra i
quali Ciaureli che portò la venerazione per Stalin al massimo, questo perchè i film magnificavano
le figure del leader per non incorrere in censure, ma ciò determinò la stagnazione della
produzione.
La morte di Stalin nel 1953 a cui fece seguito il periodo del cosidetto “disgelo”, determinò
notevoli cambiamenti anche nell’industria cinematografica che ampliò la produzione e i generi
cinematografici. 31
Il genere bellico cominciò ad essere affrontato in una luce nuova, raccontavano ad esempio le
relazioni sessuali tra una soldatessa e il suo priogniero.
Kalatozov ricorre allo stile convenzionale della profondità di campo ma sperimenta anche scene al
rallentatore.
A partire dagli anni ‘60 i film dell’URSS avevano ottenuto prestigio in tutto il mondo. Nel 1958 uscì
la seconda parte di “Ivan il terribile di Ejzenstejn”.
Nonostante il disgelo, nel 1961 Kruscev lanciò una nuova campagna di de-stalinizzazione
invocando apertura e maggior democrazia e ci fu la fioritura di una cultura sovietica più giovane.
Il più celebrato dei giovani registi fu Tarkovskji che si interessò al cinema d’arte europeo. Il suo
primo lungometraggio “L’infanzia di Ivan” vinse il Leone d’oro a Venezia e divenne uno dei film
sovietici più ammirati degli anni ‘60.
Ma il clima di libertà ebbe vita breve, nel 1964 Kruscev fu costretto a dimettersi e gli subentrò
Breznev che bloccò le riforme e strinse il controllo sulla cultura: i film furono nuovamente messi al
bando.
Nonostante le pressioni politiche, molti film dell’era Brezneviana affrontavano temi di particolare
interesse per i giovani e gli intellettuali.
L’industria e il Partito produssero il colossale “Guerra e Pace” di Bondarcuk, emblema ufficiale
del cinema sovietico. Il film fu ampliamente pubblicizzato ed ebbe enorme successo nei mercati
esteri.
Dal dopoguerra al nuovo cinema
Il cinema dell’europea orientale imitava inizialmente la struttura sovietica: produzione centralizzata,
sceneggiature approvate dal Partito che controllava produzione ed esercizio. I paesi dell’est,
seguendo sempre il modello sovietico, desidero grande importanza ad un’istruzione
cinematografica specializzata: scuole avanzate furono aperte nelle principali città come Varsavia,
Belgrado, Praga.
Questa fase su presto superata quando i Paesi dell’europa dell’est abbracciarono il rigore del
realismo socialista sovietico di Zdanov.
Il disgelo portò in molti paesi dell’est europeo un nuovo clima culturale con riviste, gruppi
artistici, stili sperimentali. i giovani appena usciti dalle scuole di cinema potevano così approfittare
di quest’atmosfera aperta.
Il giovane cinema polacco
Negli anni ‘50 la “scuola polacca” produsse il cinema più importante dell’europa dell’est,
conquistando riconoscimenti in tutt’europa.
Tra i registi più influenti:
● Munk, divenne famoso con il film “L’uomo sulle rotaie”, storia di un vecchio americano travolto
da un treno, condotta attraverso una serie di flashback.
● Wajda, con il film “I dannati di Varsavia” suscitò molte controversie e vinse un importante premio
a Venezia
La critica ha rilevato il contrasto fra: la celebrazione romantica degli eroi tragici di Wajda con
l’atteggiamento più ironico di Munk.
Entrambi usarono il genere bellico per mettere in discussione la versione ufficiale della storia.
Altri registi da ricordare:
● Polanski (montaggio ortodosso e inquadratura con profondità di campo che rispetta il teso
antagonismo dei personaggi)
● Skolimowski (il regista polcco più vicini come stile e temi alla Nouvelle Vague parigina)
Il nuovo cinema cecoslovacco: la Novà VLNA
La cecoslovacchia presentava un sistema di produzione decentralizzato che poneva alla testa di
ciascuna unità una coppia regista-sceneggiatore con il sostegno finanziario dello stato.
Gli autori più giovani conoscevano il neorealismo, la scuola polacca e la Nouvelle Vague parigina.
Ma ad accomunare i vari autori erano le condizioni di lavoro, le preoccupazioni tematiche e il
bisogno di allontanarsi dalle formule del realismo socialista.
Con il processo di normalizzazione dopo l’invasione della cecoslovacchia deciso dall’URSS, i
funzionari bandirono qualsiasi film che richiamasse lo spirito di critica sociale tipico della primavera
di Praga.
Il nuovo cinema iugoslavo
La iugoslavia fin dal 1948 aveva una legge che affidava discreta libertà in ambito cinematografico.
32
Più vicine alle sperimentazioni sgargianti dei cecoslovacchi sono le opere di Makavejev che fin dal
primo lungometraggio “L’uomo non è un uccello del 1965”, ridicolizza le pretese della politica con
un umorismo popolare.
Lui firmò anche il film “nero” più scandaloso del periodo: “W.R. I misteri dell’organismo”.
Nuovo cinema ungherese
Negli anni ‘50 in ungheria ci sono alcune personalità come Makk che dimostrò una sofisticata
attenzione al colore. Altra figura fu Fabri, regista teatrale passato al cinema dopo la guerra.
Con il liberalizzarsi della scena politica la produzione fu decentralizzata anche in ungheria.
Nel 1958 fu fondato lo studio Balasz che offriva la possibilità ai laureati della scuola di cinema di
realizzare corti e lungometraggi.
Uno dei più importanti registi fu Jancsò, un antirealistico.
La nuova generazione ungherese era composta in gran parte dai laureati dell’Accademia Teatrale
e cinematografica.
Il nuovo cinema giapponese
Fin dalle origini il cinema giapponese conobbe un notevole sviluppo al quale contribuirono le due
società principali: la Nikkatsu e la Shochiku.
I primi lungometraggi giapponesi attingenvano dalla drammaturgia nazionale dando vita a due
generi principali:
● il jidai-geki, detto anche “film storico”, ricco di lotte marziali acrobatiche e coraggiosi samurai
● il gendai-geki era il genere relativo alla vita contemporanea: amore, vita familiare
In ogni genere era comunque rispettata la convenzione del kabuki, ovvero far recitare i ruoli
femminili da attori di sesso maschile.
Le proiezioni fino agli anni ‘20 duravano anche diverse ore e i film erano accompagnati da un
commentatore chiamato katsuben il quale spiegava e commentava le vicende e recitava i dialoghi.
Per questo motivo il Giappone si convertì più tardi al sonoro.
A metà degli anni ‘30 si inserì nel panorama una terza importante casa di produzione: la Toho, che
mise sotto contratto autori molto importanti, riuscendo allo stesso tempo a bilanciare l’ingresso di
film americani.
In seguiti cominciarono ad emergere autori in grado di dare maggiore caratterizzazione psicologica
allo jidai-geki.
Il gendai-geki invece includeva molti generi: commedie su studenti e impiegati.
Dal 1939 il cinema fu impegnato nello sforzo bellico e l’industria si riconfigurò in rapporto alla
censura e alla propaganda nazionalistica, con documentari e film patriottici. Spesso in molti film di
guerra giapponesi, il nemico NON si vede: la guerra è vista come una prova della purezza dello
spirito nazionale e non una lotta tra uomini.
Dopo la 2° guerra mondiale, quando il Giappone divenne l’avamposto del capitalismo in Oriente,
venne incoraggiato un cinema attento a temi democratici e d’attualità.
Alle vecchie case di produzione che già conosciamo si aggiunsero di nuove come la Shintoho (o
“nuova Toho”) e la Toei.
Il governo aveva aperto il Giappone ai film americani, ma il bacino del pubblico era molto ricco
(oltre 19mln di spettatori settimanali, in media) e la produzione non ne risentiva, arrivando ad oltre
500 film annui nel 1960.
Venivano inoltre fatti investimenti nella Fujicolor e nel formato dello schermo panoramico, che
divenne presto lo standard.
La consacrazione sulla scena internazionale avenne con il film “Rashomon di Kurosawa” e con
altri autori come Ozu e Mizoguchi che contriburono a richiamare l’attenzione verso gli aspetto
esotici della cultura giapponese.
Verso la fine degli anni ‘50 gli studi giapponesi erano stati pronti a sfruttare il mercato giovanile: ai
ragazzi era dedicato il ritorno del “film di spada” mentre per le adolescenti si producevano
melodrammi romantici.
La casa di produzione Shochiku decise di favorire l’affermazione di una Nouvelle Vague nipponica:
nel 1959 il giovane aiuto-regista Oshima fu promosso alla regia e incoraggiato a dirigere
sceneggiature scritte da lui stesso. All’inizio i film del nuovo cinema giapponese furono ben accolti
dalla critica e dal pubblico giovanile, i film dei giovani registi erano spesso distribuiti dalle grandi
società, ma un ruolo centrale fu assunto dalla catena di sale specializzate “Art Theater Guild -
ATG” che nel 1964 iniziò a produrre e distribuire, diventando così il sostegno di tutta la
generazione del nuovo cinema. 33
Anche il nuovo cinema giapponese sferrò l’attacco alle tradizioni consolidate, rendendo di uso
comune complesse strutture come i flashback, uso del simbolismo, esperimenti nell’inquadratura
nel colore, montaggio e movimenti di macchina.
Anche i temi mutarono: furto, omicidio e stupro divennero argomenti comunissimi. Il regista
Oshima lamentava che la società giapponese soffocasse l’individuo in nome di un’armonia
superficiale, invocando un cinema personale del “soggetto attivo” in cui il regista esprimesse le sue
passioni ansie e ossessioni. Questa visione rappresentò un momento di svolta in una nazione
dominata dal senso del gruppo e della tradizione.
Lo stile di ogni film di Oshima e di questa sua “rivoluzione”, insisteva sul rapporto tra la soggettività
degli individui e la ridigità dell’autorità politica.
Più vicino alla prospettiva politica di Oshima è l’altro principale esponente del nuovo cinema
giapponese: Imamura, che dichiarò il suo in