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FONDAZIONE DELLA SCREEN WRITERS GUILD ALLA LISTA NERA

Nel settembre del 1947, la Commissione della Camera sulle attività antiamericane

convocò a Washington 43 testimoni al fine di appurare se a Hollywood fossero reperibili

tracce di “infiltrazione comunista”. Dieci “testimoni ostili”, subito battezzati i “DIECI DI

HOLLYWOOD”, rifiutarono di rispondere alla domanda fatidica se fossero membri del

partito comunista, e nessuno rispose perché se avessero detto di no sarebbero stati

accusati di falsa testimonianza. Nel giugno 1950 i Dieci andarono in prigione. Ben 7 dei

dieci erano sceneggiatori: Alvah Bessie, Lester Cole, Albert Maltz, Samuel Ornitz, Dalton

Trumbo… dei tre restanti, due avevano pratica anche sceneggiatura: Herbert Biberman

era regista e sceneggiatore, Adrian Scott produttore e sceneggiatore. Il solo regista puro

del gruppo, Edward Dmytryk, una volta scontata la pena fece ammenda per essere stato

comunista, denunciò gli ex compagni e potè riprendere a lavorare.

Per quanto riguarda la combattività degli sceneggiatori hollywoodiani si spiega in buona

parte con il fatto che, rispetto agli attori e ai registi, essi erano la categoria peggio retribuita

e più maltrattata dai produttori. Nel corso degli anni ’30, gli sceneggiatori condussero una

battaglia con gli studios per ottenere il riconoscimento della Screen Writers Guild, fondata

nel 1933.

Nonostante il Wagner Act del 1935, la legislazione messa a punto dall’amministrazione

Roosevelt per favorire e difendere la formazione di sindacati nell’industria, i produttori

cinematografici resistettero a lungo prima di riconoscere la SWG quale rappresentante

degli sceneggiatori, e continuarono a trattare solo con l’academy, << la cui sezione scrittori

comprendeva ormai solo 38 membri>>. Nel 1936, l’ala destra dell’organizzazione diede

vita allo Screen Playwrights, un sindacato giallo che i produttori riconobbero prontamente.

La SWG accusò il colpo e subì una forte emorragia di tesserati.

Parallelamente alla mobilitazione sindacale, nel corso degli anni Trenta cresceva anche la

militanza politica degli sceneggiatori. Un momento chiave fu la campagna di Upton Sinclair

per diventare governatore della california, nel 1934. Sinclair era un socialista che aveva

conquistato la nomination del Partito democratico. Il suo slogan era “End Poverty in

California” che riassumeva una piattaforma che si collocava a sinistra del New Deal,

comprendente anche l’istituzione di fattorie collettive.

L’industria del cinema giocò un ruolo di primo piano nello sforzo per fermare Sinclair. Louis

B. Mayer era uno dei dirigenti del Partito repubblicano della California e la maggior parte

degli altri produttori erano impazienti di unirsi a lui nella crociata antiboscelvica. Le Majors

produssero falsi cinegiornali in cui si presentavano i sostenitori di Sinclair come immigrati

dalle idee sovversive, e costrinsero registi, scrittori e attori a contribuire finanziariamente

allo Stop Sinclair Fund. Sinclair venne sconfitto, ma molti a Hollywood lo avevano

sostenuto.

Gli sceneggiatori erano la maggioranza degli iscritti alla locale sezione del Partito

Comunista. In America si sviluppò un forte filone di cinema sociale, da “IO SONO UN

EVASO”1948, passando per “LEGIONE NERA”1937 e “FURORE”. Erano film che, nelle

forme dello spettacolo hollywoodiano, affrontavano con serietà i temi della disoccupazione

e del razzismo.

Gli sceneggiatori si impegnarono a tutto campo per sostenere il New Deal, e all’estero la

lotta al fascismo. L’unita tra liberal e comunisti, saldatasi durante il New Deal e la guerra di

Spagna, si ruppe improvvisamente nell’estate del 1939 con il patto Ribbentrop-Molotov,

seguito dall’aggressione russa alla Finlandia. I comunisti di Hollywood difesero le scelte

dell’Unione Sovietica.

Le majors collaborarono con entusiasmo allo sforzo bellico. Realizzarono lungometraggi a

contenuto patriottico. Fecero film di istruzione per i soldati. Molti registi andarono a

lavorare nelle unità cinematografiche delle forze armate. Jhon Ford filmò la battaglia delle

Midway e lo sbarco in Normandia. I divi come James Stewart entrarono in aviazione e

fecero molte missioni.

In questo contesto, gli scrittori di sinistra, con il loro bagaglio di conoscenze storico-

politiche, si rivelarono particolarmente preziosi per gli studios. John Howard Lawson

scrisse “SAHARA” 1943, un film bellico attento a illustrare il significato ideologico del

conflitto. Ring Lardner collaborò a “LA CROCE DI LORENA”1943, sulla Resistenza

francese.

Dopo la guerra, tutti gli sceneggiatori appena menzionati sarebbero finiti sulla lista nera,

con la sola eccezione di Bertolt Brecht, che venne convocato dalla Commissione insieme

ai Dieci di Hollywood, ma, non essendo cittadino americano e desiderando tornare in

Germania, decise di rispondere alle domande e partì per l’Europa.

Nacquero le liste nere, elenchi di centinaia di lavoratori dell’industria del cinema, iscritti al

Partito Comunista. In un primo tempo, una parte dei liberal tentò di sostenere i colleghi

comunisti, dando vita al Comitato per il primo emendamento, ma, alla lunga, le

intimidazioni maccartiste risultarono troppo forti, e quando i Dieci uscirono di prigione, a

metà del 1951, ogni resistenza organizzata era ormai scomparsa. Per gli sceneggiatori,

sopravvivere alla lista nera era più semplice perché potevano lavorare sotto falso nome.

Alle case di produzione non dispiaceva commissionare i copioni ai blacklisted, perché

potevano pagarli di meno rispetto ai prezzi di mercato. Attori e registi dovevano andare

altrove come fece John Garfield, Chaplin, Losey, Dassin.

La lista nera cominciò ad essere smantellata nel 1960. I primi film che uscirono con il

nome di un blacklisted nei titoli di testa furono “SPARTACUS2 di Stanley Kubrick ed

“EXODUS”1960 di Otto Preminger, entrambi scritti da Dalton Trumbo. Il primissimo film a

uscire fu “RIFIFI”1955 girato da Dassin in Francia che però ebbe una distribuzione limitata

negli Stati Uniti.

2. CONVERSIONE DI UN IMPOLITICO

Ben Hecht viene considerato un liberal. Fetherling lo definisce un midwest radical.

Sicuramente Hecht non era un conservatore. A Chicago frequenta i “rossi”, a NY e

Hollywood stringe amicizia con scrittori della lista nera come Donald Stewart, Dorothy

Parker, Ring Lardner. Però è anche vero che aveva molti più amici dall’altro lato della

barricata. John Lee Mahin era un suo protetto.

In “A CHILD OF THE CENTURY” Hecht racconta di aver avuto due idoli nella giovinezza:

Theodore Roosevelt e H.L Mencken. Roosevelt era un repubblicano di orientamento

riformista in campo economico e sociale; Mencken, letterato e commentatore politico, è

una figura poco nota in Italia, ma popolare negli USA, era un illuminista che aborriva

l’America rurale, retrograda e razzista, ed esaltava quella moderna e multietnica.

Fino allo scoppio della II Guerra Mondiale, Hecht si dimostra totalmente scettico verso

qualunque forma di azione collettiva. In “VIVA VILLA!” racconta la rivoluzione messicana

come un’impresa destinata al fallimento a causa dell’inettitudine dei capi della rivolta.

Francisco Madero è una specie di santo repubblicano privo di senso pratico, e votato al

martirio per mano dei militari golpisti. Pancho Villa è una versione comica di Tony Camonte

di Scarface, un misto di infantilismo e ferocia, un bandito interessato alla causa del popolo,

ma incapace di portare a termine un compito storico più grande di lui.

Nel 1937 Hecht scrive un testo teatrale “TO QUITO AND BACK”, in cui ironizza sugli

scrittori impegnati e le nobili cause che essi abbracciano con fervore. La piece ha per

protagonista Alexander Sterns, un romanziere americano “venduto” al cinema, il quale ha

scritto un film intitolato Pancho Rides Again , con un’allusione a Viva Villa!. Sterns diventa

amico di Zamiano, il capo rivoluzionario ed è in fuga dalla moglie, arriva in Ecuador con

l’amante, e qui si unisce a una rivoluzione nel corso della quale le masse popolari

tradiscono il loro leader e passano dalla parte della controrivoluzione.

Per il Ben Hecht degli anni ’20 e ’30, ogni tentativo di trasformazione della realtà sociale è

destinato a fallire, la spinta al cambiamento non è mai un atto che possa avere traduzione

concreta all’interno dell’orizzonte storico.

Quando scrive “LE NOTTI DI CHICAGO” non solo non parla di sbirri che prendono

bustarelle ne dipolitici in combutta con il crimine, ma in realtà neppure parla di crimine

organizzato in senso stretto. Bull Weed e il suo rivale Buck Mulligan, più che moderni

gangster, sono dei “ moschettieri dai bassifondi”. Il film esce nel 1927, l’anno seguente

arriva sugli schermi “THE RACKET”, prodotto dalla Caddo e diretto da Milestone. In the

racket non si fa esplicitamente il nome della città dove si svolge la vicenda perché la

produzione sperava di evitare il bando della pellicola da Chicago e il film di Milestone non

potè essere proiettato nella Windy City. “SCARFACE” potrà uscire a Chicago solo nel

1940 e tra questi 2 film ci sono dei punti di contatto: entrambi prodotti da Howard Hughes;

il nome di Scarsi di the racket è una chiara allusione al nickname di Al Capone, Scarface,

per via di una cicatrice che gli segnava il volto. Ma per molti versi the racket è un’opera più

coraggiosa grazie al finale ambiguo in cui Scarsi viene ucciso non dalla polizia ma da uno

sgherro del procuratore distrettuale, che lo elimina per impedirgli di tradire i suoi ex

complici. Scarsi muore.

La libertà che interessa a Hecht è soprattutto quella intellettuale: il sacro diritto di non

piegarsi alle opinioni della maggioranza. Hecht è stato un “anarchico americano”, uno che

per principio va contro la moda del momento.

Con l’inizio della II guerra mondiale e dello sterminio ebraico, per la prima volta egli si

lancia a capofitto in una battaglia ideale. Nella produzione Hectiana precedente il 1940, i

personaggi o i temi ebraici giocano un ruolo assolutamente secondario, a eccezione di “A

JEW IN A LOVE”, pubblicato nel 1931, che però venne accusato di antisemitismo del

rabbinato statunitense.

A quasi 30 anni di distanza, in un saggio del 1959 Leslie Fiedler definisce il libro <<

un’opera ispirata dall’odio per se stessi: un ritratto dell’autore ebreo come il proprio

peggior nemico (ebreo)>>. In effetti, l’eroe di “a jew in a love”, Jo Boshere ha un rapporto

difficile con le proprie origini. Quello del desiderio bestial

Dettagli
A.A. 2015-2016
15 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eugeniabisceglie di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia ed estetica del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Farinotti Luisella.