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Dopo la metà degli anni 50 molti si facevano chiamare beatnik, con riferimento provocatorio allo sputnik.
Bruno Cartosio: l’arrivo della cultura afroamericana in Italia: nello stesso periodo in cui arriva in italia la cultura
underground, arrivano anche dagli stati uniti le vicende afroamericane. Si scopre che la “linea del colore” come
l’aveva definita DuBois continuava ad attraversare come una lama la vita quotidiana statunitense. Anche nel nord
dove erano più integrati i neri. La popolazione afroamericana aveva cominciato a ribellarsi contro la segregazione
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razziale, in modi poi divenuti famosi, con la mobilitazione delle comunità: la gente comune di città e paesi del sud
faceva affollate assemblee nelle chiese e lunghe marce di protesta, attuava boicottaggi dei trasporti pubblici e infine
dava vita a sit-in nei bar e ristoranti segregati. Più ancora dei pochi resoconti giornalistici, avevano grande forza le
foto. Mostravano bambini e adulti uccisi nelle chiese da attentati dinamitardi razzisti. Dal 1960 arrivarono anche le
foto delle loro proteste. I protagonisti di questa prima fase decennale del movimento nero erano religiosi, ma anche
persone comuni e studenti. Mentre i beatnik fornivano immagini di rifiuto individuale, i neri si proponevano come
fenomeno sociale e di massa. Affascinava moltissimo il movimento, ma di fatto non aveva nessuno dei caratteri di
politicità che tutti i movimenti di sinistra avevano in italia e in europa. Molti testi arrivati in Italia permisero di capire
l’America di quegli anni, testimoniano di come la preoccupazione però principale fosse di spiegare il funzionamento
della Grande macchina, invece di prendere contenuti e protagonisti della protesta nera per leggerne la struttura
dall’interno. Un punto di svolta durono i Quaderni Piacentini, il lungo dossier che Solmi confezionò per il n.25, uscito
a dicembre 65. Solmi descrisse benissimo gli sviluppi del movimento di liberazione dei negri del sud e i rapporti con i
movimenti di azione sociale. Solmi stimolà la ricerca diretta di documentazione, i tentativi di attivizzazione di amici,
parenti o corrispondenti che viaggiavano oltreoceano che nel grio di pochi anni avrebbe prodotto i suoi primi risultati
accademici. La seconda fase delle lotte afroamericane si aprì nella metà anni 70, quando il movimento dalla
campagna si estese ai ghetti metropolitani e passò dalla pratica della non-violenza alla sollevazione violenta di
massa. Disordini in molte città, assassinii, come quello di Malcom X nel 65, leader ideologico e portavoce
dell’esplosione del movimento nero nei ghetti, unito sotto lo slogan Black Power. Sotto questo slogan si riunirono
vecchie e nuove formazioni che diedero vita al Black Panther Party, mato nel 66 nel ghetto di Oakland, in California
su iniziativa di Newton e Seale. Nel frattempo l’interesse cresceva, ma anche l’informazione disponibile. Era
cambiato molto l’atteggiamento dell’editoria italiana che aveva scoperto contemporaneamente anche l’america dei
movimenti giovanili e studenteschi. Fu comunque la produzione culturale e politica afroamericana al centro di
questa fase editoriale. Si studiò il movimento, come nacque senza una formazione di sinistra alle spalle, con invece
una forte componente religiosa. Ma ormai questa era evidente che era stata abbandonata. In italia a metà anni 60
iniziano a circolare molte traduzioni, come l’Autobiografia di Malcolm X, ma anche testi di marxisti statunitensi. Si
diffuse presto una certa necessità eroicizzante che andava a supplire alla precedente mancanza di informazione. Solo
a partire dai primi anni 70 cominciò a prendere consistenza l’altra linea d’interpretazione della storia afroamericana
e dello stesso movimento nero, che guardava ai neri come lavoratori. Era stato l’avvicinamento alla storia della
classe operaia negli usa a farci scoprire che non c’era stata fase storico-economica in cui il lavoro dei neri non fosse
stato determinante e che la protesta nera aveva sempre avuto in sé anche i caratteri derivanti dalla collocazione
degli afroamericani, schiavi o liberi, contadini o operai nel processo produttivo. Intorno a queste tematiche, proprio
mentre la grande editoria, cominciava ormai ad abbandonare il campo, le riviste invece davano loro spazio.
Cesare Bermani: Il Nuovo canzoniere italiano, il canto sociale e il “movimento”: dal luglio 60 si assiste a una ripresa
della tradizione di canto sociale, questa ripresa è determinata dal formarsi di piccoli gruppi organizzati, con intenti
politici e musicali. Il primo si chiama Cantacronache e nasce a torino nel 1958 che tenta di scrivere canxoni non
evasive, connesse a situazioni concrete di vita. gli autori dei testi sono diversi, come Eco, Calvino, Antonicelli. Questo
esempio indica la ripresa di conflittualità nel Paese. Ne 62 il gruppo Cantacronache si scioglie, ha scelto come
interlocutore privilegiato il PCI e gli ha offerto la gestione della propria casa discografica ITALIA-CANTA sperando di
potere in tal modo di usufruire di una rete commerciale e di una promozione pubblicitaria. Invece ci furono
spiacevoli episodi di censura partitica e arrivismo dei funzionari. Il loro lavoro comunque spinse Bosio e Leydi,
ricercatori del campo del canto sociale nelle Edizioni Avanti!, a pubblicare nel 1961 una rivista nella quale fare
confluire anche l’esperienza dei Cantacronache che chiameranno “il nuovo Canzoniere italiano”. Si forma nel giro d
qualche mese un gruppo di cantanti e un gruppo di ricercatori che fa decollare un vero e proprio movimento
culturale e a fianco alla rivista ci saranno anche tanti spettacoli, I Dischi del Sole. Le Edizioni Avanti permisero anche
il decollo di Quaderni Rossi, di cui stamparono e distribuirono i primi tre numeri. Gli spettacoli del nuovo canzoniere
nel periodo pre-68 si scontrano spesso con la diffidenza dei funzionari del PCI, del PSI e altri organismi di massa. Di
fatto permetteva con il canto sociale ai militanti e alle nuove generazioni di scambiare il Fronte, o il centrosinistra,
con il socialismo. Ci fu una grossa debacle dopo lo spettacolo Bella Ciao di Leydi e Crivelli al festival dei Due Mondi di
Spoleto che alimentò una polemica culturale di grande rilievo nazionale. Le Edizioni Avanti non riuscirono ad essere
la zona franca tra i partiti e la gente che si auguravano. Il Pci richiese di entrare nel consiglio di amministrazione e di
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poter controllare la produzione culturale di Edizioni Avanti, ma Bosio non accettò. La moda lanciata da Bella Ciao fu
determinante per il canto popolare e sociale italiano. Tra il 68 e il 69, dopo varie discussioni anche con artisti di
spicco come Fo, l’attività del NCI si riduce notevolmente. Riprenderà un po’ l’attività una volta legatosi all’Istituto
Ernesto de Martino, il più importante archivio orale del 68 sia francese sia italiano. Rivolgendosi verso la città, il NCI
riacquista vigore, ma di fatto chiude una fase attraverso cui si è cercato il modo di far saltare la città capitalistica. Il
canto sociale comunque dal 68 in poi era più vivo che mai proprio grazie al NCI. Moltre delle principali tematiche in
discussione in quegli anni erano già state cantate in precedenza dal NCI. Dopo il 68 infatti crebbero gli spettacoli di
canzoni perché si formarono moltissimi gruppi di canto, spesso regionali, ma anche tematici come il Circolo
anarchico Giuseppe Pinelli o il Canzoniere Femminista, espressione del Comitato per il salario al lavoro domestico di
Padova. Bandelli, un semplice carrellista alla Piaggio di Pontedera, diventerà canzoniere di Lotta Continua e scriverà
celeberrime canzoni come La Violenza o La Ballata della Fiat che si riferiva ai fatti di corso Traiano del 3 luglio 69.
Tuttavia molti autori legati al NCI alla fine lasciarono l’ampito politico per diventare cantautori, andando dietro alle
sollecitazioni di mercato, soprattutto di sinistra. In quegli anni, dal metò 70 in poi, divenne interessante per PCI e
ARCI l’organizzazione di megaconcerti che permettessero facili rientri economici. Dopo la fine del movimento del 77
e il dopo sconfitta Fiat le attività delle Edizioni vengono sempre meno e il NCI viene travolto dall’involuzione politica
della sinistra e della crisi discografica.
L’area della controcultura: le prime prove evidenti dell’esistenza di un movimento beat si verificano a Milano nel
1965. Un gruppo di capelloni stampa un ciclostile il “Mondo Beat” che cambierà spesso nome per sfuggire alle leggi
sulla stampa e all’obbligo del direttore responsabile. In questo giornale vi era una grande mescolanza culturale:
filosofie orientali, rivolta esistenziale, Malcolm X ecc. i beat non sono violenti, sono ragazzi della provincia in città, se
vengono fermati portano fiori alla polizia in segno di conciliazione, ma anche con marcata ironia. Il loro quartiere di
riferimento è Brera ma sentivano l’esigenza di qualcosa più genuino e comunitario, sul modello del movimento
hippie. Gli hippies raccolsero l’esperienza beat, radicalizzandola, ponendo al centro della loro pratica il problema
della comune, della vita di gruppo, dentro cui sperimentare non solo il livello politico del dissenso, ma anche quello
della dimensione quotidiana e interpersonale. A milano e in altre città i beat-hipies cercarono di dotarsi di propri
strumenti di informazione unificando le sigle sparse e l’elevata frammentazione in gruppi. Nel novembre 66 esce
Mondo Beat il primo giornale underground italiano che diventa rapidamente il foglio di collegamento e
comunicazione dei vari gruppi in italia, fra cui preminenze per spessore culturale e progettualità è Onda Verde
fondato da Andrea Valcaregni. Nel primo numero si da notizia della fusione operativa dei gruppi beat, ma dopo
alcuni numeri si verifica una spaccatura causata dalla decisione di alcuni redattori di far editare i giornale dalla
Feltrinelli. Muore così la testata Mondo Beat per essere sostituita da Urlo e Grido Beat mentre ormai in altre città di
si moltiplica la produzione di giornali alternativi. Naturalmente gli spazi liberati che i beat-hippies cercarono di
organizzare furono duramente osteggiati dalla stampa borghese, guardati con diffidenza e intolleranza dai
benpensanti, duramente repressi dalla polizia. I beat però non reagiscono con metodi violenti: offrono fiori ai
poliziotti, danzano nelle piazze, elaborano strumenti sempre più complessi di analisi contro culturale incrociandosi
con la nascente protesta studentesca, e radicalizzano la già profonda opposizione nei confronti del sistema dei
partiti, totalmente incapace di comprendere la loro rivolta esistenziale. La pratica degli spazi liberati continua
comunque a radicarsi nonostante la repressione.
Underground e opposizione: molte delle tematiche della cultura underground hanno profondamente influenzato e
contribuito a consolidare la pratica della critica alle istituzioni totali, l