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Il rinforzo in A- di tutte le vocali di sillaba protonica iniziali assolute di
• parola, quando queste non cadono per aferesi.
Delle vocali di sillaba protonica si mantiene generalmente la A e la U
• ma solo in alcuni dialetti (come a Barletta, Andria, Alberobello); tutte
le altre si riducono in E.
Le vocali di sillaba postonica, finali o non, si riducono ad una vocale
• muta.
Per quanto riguarda il vocalismo tonico si ha:
la palatilizzazione della A (tonica o protonica) quando è preceduta o
– seguita da consonante nasale semplice o doppia: M, MM, NN o dal
digramma nasale GN. Nella zona di Molfetta e Monopoli ed in parte
pure ad Alberobello e Bisceglie.
La A tonica di sillaba aperta si velarizza sempre. Soprattutto nella
– zona di Ruvo.
La O si palatilizza in sillaba chiusa o sdrucciola, soprattutto nelle zone
– di: Trani ed Andria.
La U che si palatilizza e si frange contemporaneamente. Per esempio:
– “patrìune” cioè “padrone” ma anche esempi di U schietta come
“peccenunne” cioè “piccolo”. Caratteristica presente soprattutto a
Ruvo, Bisceglie, Castellana.
In linea generale le vocali toniche di sillaba aperta sono più soggette
– alla palatilizzazione o al frangimento rispetto alle vocali di sillaba
chiusa.
Il frangimentovocalico da solo o abbinato alla palatilizzazione dà origine ai
dittonghi che possono essere ascendenti o discendenti.
I dialetti altamurano, gioiese e barese, al contrario degli altri, presentano il
caso del dittongo [UO] ascendente. Per esempio: “jé bbuéne sckitte
dòppe muérte” cioè “è buono solamento dopo morto”. “a ppuéste de
sàule” cioè “al calar del sole”.
Al contrario, il dittongo [UO] discendente negli altri dialetti dà questi esiti:
“bùune” cioè “buono” (Bitonto), “fùeche” cioè “fuoco” (Grumo, Molfetta e
Minervino), “fùuche” cioè “fuoco” (Andria), “lùuche” cioè “luogo” (Ruvo).
Nei dittonghi discendenti, cioè quando l'accento cade sulla prima vocale, se
la seconda è una E muta, questa cade nel parlare spedito o in fonosintassi.
Esempio: “lùeche” cioè “luogo”.
Il dittongo -iè e -ié si riduce in -è e -é in parole come: “adénzie” (da adiénze)
cioè “udienza, ascolto”; “nevèere” (da nevièere) cioè “deposito di neve”.
Sempre riguardante il sistema vocalico abbiamo il fenomeno della U
propagginata è abbastanza diffuso in tutta l'area, anche se ultimamente sta
cadendo in disuso; consiste nella U che si ripete dalla sillaba precedente,
anche di una parola diversa, alla sillaba seguente. La condizione essenziale
è che la sillaba precedente contenga o abbia contenuto una vocale velare
(U oppure O). Esempio: “scecuè” cioè “giocare”, “teccuè” cioè “toccare”,
“quanèle” cioè “canale”, “u cuène” cioè “il cane” ma “chène” cioè “la
cagna”.
Per quanto riguarda il sistema consonantico abbiamo come caratteristiche:
L'occlusiva velare sonora [g] iniziale o interna (intervocalica) si
– trasforma, per influsso della vocale A, E, I in una J semivocale.
Per esempio: “la jamme” cioè “la gamba”, “rejalè” cioè “regalare”, “ci
peje” cioè “chi paga”.
Per influsso delle vocali velari O e U contigue, questa si trasforma in
U ( = w) semivocale. Per esempio: “awuste” cioè “agosto”, “wuste”
cioè “gusto”, “wurésse” cioè “grosso”.
La fricativa labiodentale sonora, se intervocalica preceduta o seguita da
vocale velare, passa sempre a U (= w) semivocale soprattutto nel dialetto
altamurano. Per esempio: “u winde” cioè “il vento” che però rimane
inalterata senza articolo: “vinde” cioè “vento”.
La vocale I di “filius” dapprima si semivocalizza e poi intacca la consonante
“L” che passa a diventare -GGHIJ per esempio: “figghje” cioè “figlio”, ma
“figli” diventa “fèile” dal latino “filii”.
Il nesso iniziale GR- perde la velare. Per esempio: “la ròtte” - “i rutte” cioè
“la grotta” - “le grotte” oppure “cusse puaìse jére ranne” cioè “questo
paese era grande”.
Si ha la chiusura della sillaba finale; alcune parole piane hanno la
consonante della sillaba finale raddoppiata, provocando la chiusura di tale
sillaba, come per esempio: “chettònne” cioè “cotone”, “lemònne” cioè
“limone”.
La presenza di D euforico, cioè un elemento che si interpone tra due vocali
di due parole contigue. Esempio: “pe – d – èune” cioè “ciascuno” o “pe – d
– àrie” cioè “per aria”.
In alcuni vocaboli, si rinviene una F anziché una V, come: “fèfe” cioè “fava”.
E, viceversa, da B (latina) si ha per lo più V, come: “vòrse” cioè “borsa”,
“varve” cioè “barba”. Pertanto la F probabilmente è d'origine italica, dovuta
alla forza del sostrato linguistico prelatino osco – umbro.
Pure l'assimilazione ND in “NN” come ad esempio: “chemanné” cioè
“comandare” o “quanne” cioè “quando” e di MB in “MM” come:
“tammurre” cioè “tamburo” o “gamme” cioè “gambe”; pare sia dovuto al
medesimo sostrato.
L'articolo maschile “U” provoca, talvolta, il raddoppiamento della
consonante seguente. Si distinguono due tipologie di categorie, la prima
che genera parole considerate neutre, come: “u ppène” cioè “il pane”, “u
mmìere” cioè “il vino”. In questo caso si ha il raddoppiamento perchè la -D
finale latina, cadendo nel passaggio all'italiano, ha provocato il