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Riassunto esame Storia della lingua italiana, prof. Biasci, libro consigliato Storie di parole pugliesi Pag. 1
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Il rinforzo in A- di tutte le vocali di sillaba protonica iniziali assolute di

• parola, quando queste non cadono per aferesi.

Delle vocali di sillaba protonica si mantiene generalmente la A e la U

• ma solo in alcuni dialetti (come a Barletta, Andria, Alberobello); tutte

le altre si riducono in E.

Le vocali di sillaba postonica, finali o non, si riducono ad una vocale

• muta.

Per quanto riguarda il vocalismo tonico si ha:

la palatilizzazione della A (tonica o protonica) quando è preceduta o

– seguita da consonante nasale semplice o doppia: M, MM, NN o dal

digramma nasale GN. Nella zona di Molfetta e Monopoli ed in parte

pure ad Alberobello e Bisceglie.

La A tonica di sillaba aperta si velarizza sempre. Soprattutto nella

– zona di Ruvo.

La O si palatilizza in sillaba chiusa o sdrucciola, soprattutto nelle zone

– di: Trani ed Andria.

La U che si palatilizza e si frange contemporaneamente. Per esempio:

– “patrìune” cioè “padrone” ma anche esempi di U schietta come

“peccenunne” cioè “piccolo”. Caratteristica presente soprattutto a

Ruvo, Bisceglie, Castellana.

In linea generale le vocali toniche di sillaba aperta sono più soggette

– alla palatilizzazione o al frangimento rispetto alle vocali di sillaba

chiusa.

Il frangimentovocalico da solo o abbinato alla palatilizzazione dà origine ai

dittonghi che possono essere ascendenti o discendenti.

I dialetti altamurano, gioiese e barese, al contrario degli altri, presentano il

caso del dittongo [UO] ascendente. Per esempio: “jé bbuéne sckitte

dòppe muérte” cioè “è buono solamento dopo morto”. “a ppuéste de

sàule” cioè “al calar del sole”.

Al contrario, il dittongo [UO] discendente negli altri dialetti dà questi esiti:

“bùune” cioè “buono” (Bitonto), “fùeche” cioè “fuoco” (Grumo, Molfetta e

Minervino), “fùuche” cioè “fuoco” (Andria), “lùuche” cioè “luogo” (Ruvo).

Nei dittonghi discendenti, cioè quando l'accento cade sulla prima vocale, se

la seconda è una E muta, questa cade nel parlare spedito o in fonosintassi.

Esempio: “lùeche” cioè “luogo”.

Il dittongo -iè e -ié si riduce in -è e -é in parole come: “adénzie” (da adiénze)

cioè “udienza, ascolto”; “nevèere” (da nevièere) cioè “deposito di neve”.

Sempre riguardante il sistema vocalico abbiamo il fenomeno della U

propagginata è abbastanza diffuso in tutta l'area, anche se ultimamente sta

cadendo in disuso; consiste nella U che si ripete dalla sillaba precedente,

anche di una parola diversa, alla sillaba seguente. La condizione essenziale

è che la sillaba precedente contenga o abbia contenuto una vocale velare

(U oppure O). Esempio: “scecuè” cioè “giocare”, “teccuè” cioè “toccare”,

“quanèle” cioè “canale”, “u cuène” cioè “il cane” ma “chène” cioè “la

cagna”.

Per quanto riguarda il sistema consonantico abbiamo come caratteristiche:

L'occlusiva velare sonora [g] iniziale o interna (intervocalica) si

– trasforma, per influsso della vocale A, E, I in una J semivocale.

Per esempio: “la jamme” cioè “la gamba”, “rejalè” cioè “regalare”, “ci

peje” cioè “chi paga”.

Per influsso delle vocali velari O e U contigue, questa si trasforma in

U ( = w) semivocale. Per esempio: “awuste” cioè “agosto”, “wuste”

cioè “gusto”, “wurésse” cioè “grosso”.

La fricativa labiodentale sonora, se intervocalica preceduta o seguita da

vocale velare, passa sempre a U (= w) semivocale soprattutto nel dialetto

altamurano. Per esempio: “u winde” cioè “il vento” che però rimane

inalterata senza articolo: “vinde” cioè “vento”.

La vocale I di “filius” dapprima si semivocalizza e poi intacca la consonante

“L” che passa a diventare -GGHIJ per esempio: “figghje” cioè “figlio”, ma

“figli” diventa “fèile” dal latino “filii”.

Il nesso iniziale GR- perde la velare. Per esempio: “la ròtte” - “i rutte” cioè

“la grotta” - “le grotte” oppure “cusse puaìse jére ranne” cioè “questo

paese era grande”.

Si ha la chiusura della sillaba finale; alcune parole piane hanno la

consonante della sillaba finale raddoppiata, provocando la chiusura di tale

sillaba, come per esempio: “chettònne” cioè “cotone”, “lemònne” cioè

“limone”.

La presenza di D euforico, cioè un elemento che si interpone tra due vocali

di due parole contigue. Esempio: “pe – d – èune” cioè “ciascuno” o “pe – d

– àrie” cioè “per aria”.

In alcuni vocaboli, si rinviene una F anziché una V, come: “fèfe” cioè “fava”.

E, viceversa, da B (latina) si ha per lo più V, come: “vòrse” cioè “borsa”,

“varve” cioè “barba”. Pertanto la F probabilmente è d'origine italica, dovuta

alla forza del sostrato linguistico prelatino osco – umbro.

Pure l'assimilazione ND in “NN” come ad esempio: “chemanné” cioè

“comandare” o “quanne” cioè “quando” e di MB in “MM” come:

“tammurre” cioè “tamburo” o “gamme” cioè “gambe”; pare sia dovuto al

medesimo sostrato.

L'articolo maschile “U” provoca, talvolta, il raddoppiamento della

consonante seguente. Si distinguono due tipologie di categorie, la prima

che genera parole considerate neutre, come: “u ppène” cioè “il pane”, “u

mmìere” cioè “il vino”. In questo caso si ha il raddoppiamento perchè la -D

finale latina, cadendo nel passaggio all'italiano, ha provocato il

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Publisher
A.A. 2018-2019
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vale_13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università per stranieri di Siena o del prof Biasci Gianluca.