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IL MAESTRO DI CERIMONIA
Nel banchetto il maestro di cerimonia era responsabile sia del personale di servizio che
dell’aspetto della tavola: tovaglie bianche o colorate, stoviglie d’oro o d’argento, bicchieri da
vino e caraffe con effetti decorativi, saliere e ciotole con le spezie al centro del tavolo insieme
a fiori e trionfi di zucchero o marzapane. I cibi venivano presentati artisticamente sui piatti,
spesso in forma di persone o di piante, e a volte si cercava di ricomporre quadri viventi.
LO SCALCO
Lo scalco, per una tradizione dell’epoca di Carlo Magno, aveva il compito di tagliare e dividere
le carni e doveva essere un nobile. Questa carica era onoratissima e, oltre al taglio delle carni,
doveva sovrintendere agli approvvigionamenti sulle cucine e sulla tavola padronale.
IL COPPIERE
Il coppiere doveva essere giovane, garbato, né troppo bello né troppo brutto, allegro, discreto,
dalle mani bianche e delicate impreziosite con un vistoso anello. Il suo abito doveva essere
lungo e drappeggiato, in capo portava una berretta da prete, ai piedi aveva calze scarlatte e
scarpe di velluto nero. Con mano ferma doveva porgere la coppa coperta da una salvietta,
scoprirla, versare il vino, allungarlo con l’acqua e sistemare davanti al commensale un piatto
concavo dove si poteva appoggiare la coppa.
LO SPENDITORE
Addetto agli approvvigionamenti della casa, aveva requisiti di onestà, saper leggere e scrivere,
buoni gusti, pulizia estetica. Specificatamente doveva sapere: sceglierei fornitori, acquistare a
prezzi equi le merci, e controllare l'arrivo delle derrate badando che fossero consegnate in
canestri puliti e chiusi a chiave, perché gli sguatteri non potessero approfittarne.
Le buone maniere a tavola: etica ed etichetta
La tavola è il luogo della socialità per eccellenza e ogni società, in ogni tempo, si è data norme
comportamentali per regolare i rapporti dell’uomo con i suoi simili.
La caduta dell’Impero Romano ha cambiato profondamente lo stile del banchetto, mettendo i
commensali seduti intorno ad un tavolo. Con il passare dei secoli e con l’influenza della Chiesa,
il ceto guerriero-cavalleresco ha subito un costante incivilimento ed ammorbidimento dei
costumi.
Tali modelli di comportamento sono testimoniati a partire dal XII secolo nelle letteratura
detta «cortese». Nasce courtoisie (cortesia, da corte), collegata con urbanitas (urbanità) e
civilitas (civiltà). Al polo opposto, vilainie (villania, dal latino villa) e rusticitas rinviano alla
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campagna (in latino rus), al mondo contadino, visto come il luogo della rozzezza e
dell'incultura.
Il processo di incivilimento richiese un ampio arco di secoli, ad esempio la forchetta, giunta in
Occidente da Bisanzio nell'XI secolo e già in uso nelle città italiane del Trecento, agli inizi del
Seicento si trova fatta sia con materiali preziosi come oro e argento, sia con materiali umili,
come legno e stagno, a testimonianza del fatto che era diffusa anche negli strati sociali medi.
Nel resto dell’Europa, sempre agli inizi del Seicento, invece non era ben accetta.
Le buone maniere a tavola vennero codificate in diversi manuali cinquecenteschi, tra i più noti
quelli di Erasmo da Rotterdam e il Galateo di monsignor Giovanni Della Casa. Tra le norme di
giusto comportamento troviamo: lasciarsi servire, tenere bassi i gomiti, non essere ingordi,
non allungare le mani verso i piatti di portata, non sbattere la bocca e non aprirla
sgangheratamente, non parlare prima di averla svuotata, non frugarsi tra i denti col coltello,
non soffiarsi il naso nella tovaglia, non sputare nel piatto.
La cucina rinascimentale secondo i principali autori
BARTOLOMEO SACCHI detto PLATINA
Nel 1474 il letterato e umanista Bartolomeo Sacchi detto "Platina" (direttore della Biblioteca
Pontificia sotto Sisto IV) pubblicò “De honesta voluptate et valetudine”, manuale della vita e
della cucina italiana del Quattrocento. Grazie a questo libro si diede l'addio al Medioevo, non
c'era più bisogno di condire ogni piatto con dovizia di spezie pregiate per dimostrare quanto
fosse ricco e distinto il padrone di casa. Bisognava invece cucinare in un modo più naturale
alimenti reperibili con facilità.
CRISTOFORO da MESSISBUGO
Appartenendo al ceto elevato della società, occupò importanti incarichi diplomatici presso la
corte degli Estensi, meritando di esser nominato Conte Palatino dall’imperatore Carlo V.
Messisbugo scrisse “Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale” pubblicato nel
1549, è un vero e proprio trattato di costume e una miniera di notizie sul cibo con
rielaborazioni raffinate delle ricette popolari.
Egli perfezionò anche il taglio delle carni, si serviva di venticinque coltelli e forchette di vario
genere, riuscendo a spezzare gli arrosti senza toccarli con le mani. Seppe trasformare la
“trinciatura” in un’arte, e i suoi numerosi allievi divennero fra i Maestri di cerimonia più
ambiti delle corti europee.
BARTOLOMEO SCAPPI
Cuoco personale di Pio V, nel 1570 scrisse il trattato “l’Opera” diviso in 6 volumi, nel quale
non si limita a semplici stufati e bolliti, ma applica tecniche più raffinate come la marinata,
torte salate farcite con carciofi, piselli o altre verdure, e dolci ripieni di ricotta o formaggio
tenero. Molti suoi piatti sono alla lombarda, alla toscana o alla bolognese, non disdegnando le
cucine straniere, come il “cuscus alla moresca” di provenienza araba.
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SPEZIE TRA VIRTU’ E MITO
I perché delle spezie
Le spezie hanno avuto un ruolo fondamentale in cucina dal XIV al XVI secolo, spingendo gli
europei alla conquista degli oceani e di altri continenti. Sono state proposte diverse teorie per
giustificare questo comportamento:
1° tesi: le spezie sarebbero servite per conservare le carni o per nascondere il cattivo
sapore di quelle che erano mal conservate. Tesi inammissibile perché per la
conservazione delle carni si usava il sale, l’aceto e l’olio e non le spezie. Inoltre i
regolamenti municipali vietavano la vendita di carne macellata da più di un giorno in
estate o da più di tre giorni in inverno.
2° tesi: alcuni storici hanno considerato la cucina speziata come uno strumento di
distinzione sociale. In parte è vero visto il costo elevato delle spezie, ma non è
sufficiente che un prodotto sia raro per essere ricercato e per procurare distinzione, è
necessario che venga considerato superiore a quelli simili.
3° tesi: gli occidentali avrebbero importato la cucina speziata dagli arabi, dei quali
avevano potuto ammirare la civiltà durante le crociate. In effetti, è nota la raffinatezza
della cultura araba e il suo prestigio presso gli occidentali, però l'uso delle spezie in
Occidente è assai anteriore alle crociate (XI-XIII secolo), così come alla costituzione
dell'impero arabo (VII-VIII secolo). La grande cucina romana descritta da Apicio, era
già una cucina speziata: l'80 per cento delle sue ricette contengono del pepe.
4° tesi: le spezie divennero importanti economicamente e socialmente perché avevano
molte virtù medicinali. Sembrerebbe essere questa l'ipotesi di base. La funzione
medica delle spezie è storicamente antecedente all'uso per condire il cibo: Laurioux ha
dimostrato che ogni spezia impiegata in cucina alla fine del Medioevo era stata
inizialmente importata come medicina. Infatti dal XIII secolo all'inizio del XVII i medici
raccomandavano le spezie nel condimento delle vivande per renderle più digeribili.
Origini del mito
Nel mondo greco e romano alle spezie si attribuiva un origine mitica, identificata nel giardino
delle delizie detto “Paradiso”. Poco ingombranti, con aromi e proprietà organolettiche di lunga
durata, nel ‘300 le spezie avevano un prezzo di vendita quaranta volte superiore a quello
pagato nei paesi d’origine.
Nei ricettari dell’epoca i piatti venivano classificati in funzione della presenza o dell’assenza di
spezie, utilizzate con dosaggi attenti e moderati. La situazione cambiò parzialmente a partire
dal XV sec. con l’esplorazione delle coste africane fatta da Enrico il Navigatore, e la successiva
scoperta del continente americano da parte di Colombo. Nel ‘600 e il ‘700 la concorrenza fra le
compagnie mercantili francesi e britanniche resero le spezie più “popolari” e meno ricercate.
L’eccesso di offerta portò progressivamente a far perdere alle spezie il loro segno di
distinzione sociale, favorendo contemporaneamente l’utilizzo delle “locali” erbe aromatiche.
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L’arte di manipolare le spezie
Nell’alto Medioevo la preparazione dei medicamenti era riservata ai monaci, il diffondersi del
commercio delle spezie conferì prestigio a coloro che le vendevano o le manipolavano. Nacque
cosi la professione dello speziale, organizzata su una gerarchia ristretta.
A queste figure era riconosciuto il diritto di manipolare i prodotti esotici per ricavare:
medicamenti o veleni;
profumi e trattamenti di bellezza;
preparati di pasticceria indispensabili ai cuochi, come mostarde, gelatine colorate,
canditi e marzapane;
colori per tingere panni o pelli;
inchiostri per decorare le miniature.
LA RIFORMA DI FEDERICO II
Fu Federico II di Svevia (1235 ca.) a fare la prima riforma sanitaria in base alla quale il
medico era chi faceva la diagnosi e prescriveva il rimedio di una malattia, lo speziale era chi
manipolava erbe e spezie per farci un medicamento.
Prima di questo editto le due professioni non erano distinte, e ancora nel XIII sec. esisteva a
Firenze una potentissima corporazione unica di medici e speziali (alla quale apparteneva il
sommo poeta Dante).
La storia di alcune spezie
IL PEPE
La pianta germogliava in luoghi inaccessibili all’uomo, tanto che si era diffusa la leggenda che
venisse raccolto dalle scimmie. Considerata una merce rara, spesso usata dai ricchi per pagare
tributi e riscatti.
Discoride, Galeno e altri medici riconoscevano al pepe proprietà curative come diuretico,
stimolante dell’appetito, digestivo, calmante dei dolori.
Alla fine del Medioevo quasi tutto il commercio del pepe in Europa passava per Venezia. Nel
XV sec. con la scoperta della “Vie delle Spezie” da parte di Enrico il Navigatore il mercato si
spostò a Lisbona. Da carteggi veneziani risulta che agli inizi del Cinquecento la differenza fra il
prezzo del pepe in India e a Lisbona era nel rapporto di 3 a 22, garantendo così un introito
smisurato ai portoghesi. In quell&r