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Titolo originale: L'enfant et la vie familiale sous l’ancien
régime
Autore: Philippe Ariès
Edizione: Laterza 1991
Prima edizione originale: 1960
Prima edizione italiana: 1968
Genere: saggio
Lingua originale: francese
L'autore
Philippe Ariès fu uno storico e filosofo francese (nato a Blois, il 21
luglio 1914 e morto a Tolosa, l'8 febbraio 1984), importante
medievalista, nonché storico della famiglia e dei costumi sociali.
Fra le sue opere maggiori sull'argomento si ricordano L'uomo e la
morte del Medioevo a oggi (1980,1989), Il tempo della storia (1987),
la storia della Vita privata (1986-1988) raccolta in cinque volumi
curata con Georges Duby.
L'opera
Nella parte introduttiva il testo viene presentato come un'opera
incentrata sulla famiglia al tempo dell'“Ancien Régime”; famiglia che
nella concezione moderna nasce ed esiste grazie alla presenza di un
membro in particolare: il bambino.
Attraverso ampi quadri di vita quotidiana, rifacendosi alla letteratura
e all'iconografia, all'abbigliamento ed ai giochi, alle istituzioni
scolastiche e al costume dei diversi periodi storici, Ariès illustra
l'evoluzione che hanno avuto la considerazione del bambino e della
sua educazione dal Medioevo sino all'Ancien Régime.
La sua opera è suddivisa in tre parti principali: la prima dedicata alla
scoperta di un sentimento dell'infanzia, la seconda incentrata sulla
vita scolastica ed infine l'ultima riguardante la famiglia.
Parte prima: Il sentimento dell'infanzia
Nella società medievale il sentimento dell'infanzia inteso da Ariès
ancora non esisteva; il bambino, appena poteva vivere senza le cure
costanti della madre (o della nutrice) entrava direttamente nel mondo
degli adulti e non si distingueva da essi.
La tendenza nel Medioevo era quella di vedere i bambini come degli
“adulti in miniatura”, ciò si può notare nella consuetudine degli artisti
medievali di raffigurare i fanciulli in ugual modo degli adulti, solo in
scala ridotta, senza alcun'altra differenza.
La parola bambino non conosceva il significato ristretto ad una data
età che oggi noi le attribuiamo, ma al tempo indicava un periodo di
vita più ampio che comprendeva anche il ragazzo più maturo. La
causa si può ritrovare sicuramente in un disinteresse per l'età
cronologica: molte persone non conoscevano neanche la loro età o
almeno non se ne curavano, perciò la distinzione tra un bambino o un
giovane, o un adulto ed un anziano era sostenuta principalmente sulla
base di caratteristiche fisiche ed abitudini personali.
Il fatto che la prima infanzia non fosse pensata come un periodo
degno di molta considerazione deriva in gran parte dall'alto tasso di
mortalità infantile che conviveva con la gente del tempo e ne faceva
la normalità; la grande fragilità esistenziale del bambino molto piccolo
ed il non poter prevedere se questi sarebbe sopravvissuto a quella
fase critica della vita faceva si che i genitori vivessero tale momento
con distacco per non affezionarsi ad un figlio che poi magari sarebbe
venuto a mancare.
Perciò, i piccoli che riuscivano a superare il periodo “critico” venivano
assorbiti subito dal mondo degli adulti ed identificati come tali.
Al contrario, dal '300 in poi, una diminuzione del tasso di mortalità
portò di conseguenza ad una tendenza inversa, i genitori iniziarono a
manifestare interesse ed affetto ai piccoli fanciulli, questo si può
notare, dal punto di vista artistico ed iconografico, in un aumento dei
ritratti di famiglia ma anche di bambini defunti, ciò ci fa capire che, in
primo luogo, la mortalità infantile è ormai sempre più un'eccezione e,
in secondo luogo, il bambino aveva acquistato un'importanza tale da
essere compianto alla morte dai suoi familiari.
Nel '500 e nel '600 si giunge a creare per il fanciullo, soprattutto negli
strati più alti della società, un abbigliamento speciale che lo
distingueva dagli adulti (prima di allora i bambini indossavano abiti
che erano l'esatta copia di ciò che veniva indossato dagli adulti del
tempo) in particolare per i maschietti. Era più che altro un passaggio
di mano di abiti e di mode dai grandi ai piccoli, ciò che non era più di
moda tra gli adulti passava ai fanciulli, lo stesso discorso valeva per i
giochi, ciò che prima divertiva entrambi fu poi abbandonato dai
grandi e lasciato ad esclusivo uso dei bambini.
Questi piccoli passi verso il mondo infantile portarono alla nascita di
un nuovo sentimento dell'infanzia: il bambino, con la sua ingenuità, la
sua gentilezza, i suoi lati buffi, diventa una fonte di svago e di
distensione per l'adulto, tanto da far nascere verso la fine del '500, in
contrapposizione ad esso, anche un sentimento inverso che vedeva in
tutta questa attenzione verso i bambini qualcosa di insopportabile agli
occhi di altri.
Anche educatori e moralisti del '600 si videro contrari alla nuova e
particolare attenzione data ai bambini, non tanto per l'attenzione in
se, ma piuttosto per il modo in cui essa veniva espressa: troppi
vezzeggiamenti e l'idea che i piccoli venissero per lo più trattati come
“fenomeni da baraccone” a cui si dava apprezzamento solo per trarne
divertimento e svago. Tendenza che riusciranno piano piano ad
eliminare verso la fine del '600 soprattutto fra le persone di
condizione elevata, mentre tenderà a permanere fra il popolo.
Grazie agli educatori e moralisti del tempo, un rinnovato interesse per
la psicologia e la preoccupazione di ordine morale verso l'infanzia
spostò l'attenzione verso i metodi adatti all'educazione del bambino,
qui si delineò per la prima volta un sentimento dell'infanzia serio ed
autentico, dove ci si proponeva di far diventare il fanciullo un uomo
ragionevole e cristiano cercando un metodo che conciliasse dolcezza
e ragione; questo sentimento penetrerà poi anche all'interno della
vita familiare.
Nel '700 si aggiunse una nuova componente che contribuì ad
accrescere le attenzioni e le cure dedicate alla vita infantile all'interno
della famiglia, l'igiene e la salute fisica non erano più oggetto di
attenzione esclusivamente verso persone malate e bisognose ma
riguardavano anche persone sane, nell'intento di preservarne la
forma; i genitori iniziarono a preoccuparsi dell'igiene dei figli e del
loro benessere; il bambino arrivò dunque gradualmente a conquistare
una posizione centrale all'interno dell'ambito familiare, non per chissà
quale scopo o caratteristica, ma semplicemente per il solo fatto di
esistere.
Parte seconda: la vita scolastica
Come descritto nella prima parte, grande influenza ebbero moralisti
ed educatori del '600 nel prolungare l'età infantile grazie al successo
delle istituzioni scolastiche: infatti, da quel momento i bambini di
cinque o sette anni non vennero più catapultati nel mondo adulto ma
vissero un periodo “intermedio” nel quale frequentarono la scuola.
Al principio, durante il Medioevo, essa non era interessata ad istruire
in particolare i fanciulli e non si curava di suddividere e distinguere gli
allievi per età, ma era essenzialmente rivolta all'istruzione dei chierici,
non importa di quale fascia d'età, accoglieva in ugual modo bambini,
giovani e adulti; mentalità che permarrà fino al '700 circa.
Inoltre, chi non aveva possibilità di frequentare una scuola o un
collegio, rimaneva nell'ambito di un'infanzia breve in quanto solo la
frequenza presso un'istituzione scolastica aveva il potere di
prolungare l'infanzia di un fanciullo e ciò, nel '600, era per lo più
un'esclusiva della popolazione maschile, le femmine ne erano invece
escluse e quindi costrette ad una crescita precoce (condizione che
impiegò un bel po' di tempo per giungere ad un effettivo
cambiamento).
Altro fatto importante da aggiungere è che la partecipazione alla
scuola non era necessariamente fondata sulla nascita, molti giovani
nobili non erano attratti dal collegio e preferivano invece unirsi alle
armate in guerra già in giovanissima età, tra gli 11 ed i 15 anni.
Nonostante ciò, l'aumento del numero di allievi ed insegnanti portò ad
un cambiamento, iniziò ad attuarsi una suddivisione in classi separate
e regolari. Questa pratica ha notevolmente contribuito a demarcare
l'infanzia come una fase distinta e costitutiva della vita ma è anche
diventata un mezzo per aumentare la sorveglianza ed il controllo
verso i piccoli studenti.
I giovani vennero divisi dai bambini in quanto quest'ultimi erano
considerati maggiormente bisognosi di supervisione e disciplina, i
maestri tesero a circondare gli scolari di un controllo sempre più
stretto e le famiglie, dal '600 in poi, vedevano in esso il metodo
migliore per una seria educazione.
Gli internati offrivano di sicuro maggiore controllo, ventiquattro ore su
ventiquattro, tanto da divenire l'istituzione ideale dell'800.
Fino al '700 si trattò comunque di una scuola unica, cioè al suo interno
non vi era distinzione di ceto sociale; non era strano notare, come
detto sopra, nobili che non andavano a scuola ed invece artigiani e
contadini istruiti; le ragazze di buona famiglia non erano sicuramente
più istruite di altre appartenenti a classi inferiori, anzi, quest' ultime
potevano esserlo anche di più in quanto non di rado accadeva che
qualche ragazza del popolo imparasse a scrivere per ricavarne un
mestiere.
Dunque le scuole popolari erano spesso piene di piccoli borghesi
come le classi inferiori dei collegi lo erano di piccoli artigiani o
contadini, la popolazione scolastica si distingueva invece più in base
alla funzione cui si destinava lo scolaro che per la sua condizione
sociale.
Questa caratteristica durò relativamente poco, dal '700 in poi si
introdusse una divisione di tipo sociale per cui il liceo o il collegio
furono esclusiva della borghesia divisi dalla scuola per il popolo che si
fermava ad un'istruzione primaria.
Parte terza: la famiglia
Fino al '500 è raro trovare testimonianze di scene domestiche e
familiari.
Al contrario, soggetto principale dell'iconografia del tempo fu senza
dubbio la folla, non nel senso odierno come calca di persone, ma il
ritrovo, nella casa o nei luoghi pubblici (ad esempio le chiese o il
mercato) di vicini, comari e bambini; vengono raffigurate scene di
strada, di