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3. I GENERI: STORIE DI SAMURAI, EROINE E CAVALIERI ERRANTI

Cinema giapponese per eccellenza, il jidaigeki (dramma storico) ha segnato per più di sessant'anni

la storia del cinema. Nel corso della sua storia ha conosciuto tante anime, dalla dimensione epica a

quella nichilista, da quella quotidiana e minimalista a quella crepuscolare, da quella anti-feudale a

quella segnata dalla riletture del Nuovo Cinema degli anni Sessanta, sino ad assumere,

recentemente, una dimensione postmderna. Esso ha fatto la fortuna di diversi registi di primo piano

della storia del cinema del suo paese, sia prima della guerra (Itò, Yamanaka, Itami, Makino), sia

negli anni ad essa successivi (Inagaki, Mizoguchi, Kurosawa, Kabayashi, Gosha, Okamoto, Misuri).

Il jidaigeki non è però riuscito a sopravvivere alla generale crisi del cinema giapponese degli anni

Settanta, così come all'inevitabile mutamento dei gusti del pubblici, spinto da nuove sollecitazioni.

Di fatto viene soppiantato dai film yakuza, che ne rappresentano un ideale proseguimento in un

contesto più adatto al Giappone dell'epoca. Vistisi ridotti i suoi sbocchi sul mercato

cinematografico, il jidaigeki emigra sul piccolo schermo dove continua a sopravvivere, anche con

un discreto successo.

Il jidaigeki è un genere forte come il western, ed è definibile innanzitutto sulla base di ben precise

coordinate spaziali e temporali: jidaigeki sono infatti considerati i film ambientati in Giappone

prima del 1868, anno della fine dell'epoca Togugawa e del suo shogunato, del ritorno del potere

imperiale e dell'apertura del paese all'Occidente.

Due però sono le sue poche privilegiate:

− l'era Sengoku (1478-1603): il cosiddetto periodo degli Stati in guerra, segnato da perpetui

conflitti militari fra i diversi clan feudali, da rivolte contadine, banditismo, fame e miseria;

− l'epoca Tokugawa (1603-1968): quella del paese unificato e governato dallo shogun: quasi

tre secoli di assoluto isolamento, di pace imposta attraverso un vero e proprio stato di

polizia, tramite il quale il potere centrale teneva a bada i diversi feudi periferici, per

prevenire ogni tentativo di cospirazione o rivolta. Proprio in questi secoli venne elaborato il

cosiddetto bushidò, ovvero quell'insieme di principi che definiscono l'immagine ideale del

guerriero e che porranno le basi della figura del samurai così come essa sarà rappresentata

nel jidaigeki classico e, ovviamente, nella corrispondente narrativa letteraria. Sono questi

principi a elevare a uno statuto mitico una figura storica che, nella realtà, presentava

presumibilmente caratteri ben diversi.

1961: La sfida dei Samurai di Kurosawa

(ambientato alla fine dell'epoca Tokugawa)

Tale film apre un nuovo capitolo nella storia del jidaigeki sia per una più esplicita rappresentazione

della violenza e delle sue conseguenze, sia per la natura di Sangurò, un ronin i cui modi hanno ben

poco a che vedere con gli ideali del bushidò (il kimono sudicio, i capelli scarmigliati, il volto non

rasato lo identificano subito come un guerriero piuttosto lontano dall'eroe tradizionale del jidaigeki).

Il samurai funziona come un surrogato del regista, organizza e manipola gli eventi come se stesse

strutturando una sceneggiatura e organizzando un racconto.

Kurosawa accentua la centralità dello sguardo di Sangurò ricorrendo ad effetti di quadro nel quadro

attraverso l'uso di finestre da cui il samurai spia quel che accade nel villaggio e questo fa s' che

Sangurò sembri incarnare anche il ruolo di uno spettatore.

film di Sergio Leone “Per un pugno di dollari” altro non è che un remake di questo film.

Il

1964: Harakiri di Kobayashi

(ambientato in epoca Tokugawa)

Il samurai protagonista non rinuncia allo statuto eroico della figura del guerriero, alla sua forza

d'animo, all'integrità morale e alla compostezza del comportamento, ma sferra un attacco al bushidò

e in particolare al mito del seppuku (suicidio rituale), inteso ormai come codice privo di senso in un

periodo di pace. Il film è strutturato attraverso un intreccio di flashback.

Nella lunga battaglia finale assistiamo ad un rovesciamento di fronti: Hanshirò, il protagonista, che

sin qui aveva attaccato il bushidò muore da autentico samurai con la propria spada mentre il clan

degli Ivy che di tale codice si era fatto scudo lo disattende uccidendo un samurai con delle armi da

fuoco.

1969: L'oro dello Shogun di Goho

(ambientato alla fine dell'epoca Tokugawa)

Il film narra le vicende del clan dei Sobai, un casato periferico che lontano dal cuore del paese è

visto con una certa diffidenza da parte dello shogunato che lo costringe a versare annualmente

ingenti tributi al fine di limitare quella prosperità che potrebbe accrescerne la potenza e la

pericolosità nei confronti dello shogunato.

Questo film condivide con quello precedente i toni cupi e drammatici: come Hanshirò anche

Mogobei è un samurai che della sua classe rappresenta da un lato certi valori ideali ma che dall'altra

finisce per rivoltarsi contro la sua stessa classe nella cui violenza non può più riconoscersi.

Tra i due però ci sono anche differenze:

− la condizione di ronin di Mogobei è frutto di una scelta ben precisa e non della dissoluzione

del proprio clan;

− egli si batte non contro un altro casato ma contro quello che è stato il proprio feudo finora;

− egli lo fa non per vendicarsi di un proprio caro ma per salvare la vita a degli umili pescatori.

1966: Sword of Doom (il passo del grande Buddha) di Okomoto

(ambientato nel periodo Bakumatsu: 1860-1863)

Questo è uno dei film che con maggiore forza porta alla distruzione il mito del samurai, facendo del

suo protagonista una pura incarnazione del male, che fa emergere l'anima nascosta del samurai

come macchina di morte e nodo di pulsioni omicida, oltre che crudeltà sessuale.

Stilisticamente, oltre alla forte presenza di carrellate laterali con la macchina da presa posta

leggermente in alto e la presenza di elementi naturali, il momento più intenso del film e

rappresentato dal delirio finale di Ryunosuke che, come nel Riccardo III, si vede assalito dai

fantasmi delle proprie vittime; la scena eccelle nell'uso delle scenografie e delle luci.

Okamoto ricorre nel film anche a linguaggi alieni ai modelli classici come accade per il gioco di

entrate e uscite di campo dalla e verso la macchina da presa, il moltiplicarsi dei raccordi in avanti,

lo sguardo in macchina, il fermo fotogramma conclusivo che chiude la storia. Questo è infatti un

film imprescindibile delle trasformazioni del jidaigeki nel corso degli anni Sessanta.

Il cinema di arti marziali segna la storia del cinema cinese fin dai suoi albori. Esso è diviso in due

ambiti dai confini assai labili:

− il wuxiapian: i film si ambientano in un passato lontano, come quello dell'epoca Ming

(1368-1644), sono segnati da una dimensione fantastica, a partire dalle impossibili acrobazie

dei suoi protagonisti che sfidano le leggi di gravità, e i suoi combattimenti fanno ampio uso

della spada o di altre armi bianche;

− i gongfupian: i film si ambientano in un passato più recente quando non nella

contemporaneità, sono generalmente più realistici e i suoi combattimenti avvengono

perlopiù a mani nude.

Nel 1949 con l'avvento della Repubblica Popolare cinese i film di arti marziali vengono di fatto

proibiti perché legati a valori estranei agli ideali comunisti. Tocca alla colonia britannica di Hong

Kong mantenere in vita il cinema di arti marziali e un ruolo determinante nella nascita del nuovo

wxiapian fu giocato da Run Run Shaw, presidente della Shaw Brothers.

Nel 1970 Raymond Chow lascia la Shaw Brothers e fonda una nuova compagnia, la Golden

Harvest, che si gettò subito nella produzione di film di arti marziali firmando un contratto anche a

Bruce Lee che diede il via alla moda internazionale del cinema di arti marziali.

Il successo di questi film nei paesi del Sud-Est asiatico, ma anche in Occidente, fu dovuto alla loro

capacità di rivolgersi ai milioni di cinesi sparsi per il mondo.

1971: A touch of Zen di King Hu

(girato in parte a Taiwan e in parte a Hong Kong)

E' stato il primo film cinese e il primo wuxiapian a ottenere, a Cannes nel 1975, un importante

riconoscimento internazionale. Ambientato nell'epoca Ming, il film ha come protagonista uno

studioso, Ku, che si ritrova come vicina di casa la giovane Yang, la cui famiglia è stata condannata a

morte in seguito alla grave offesa del padre a un potente eunuco.

Le caratteristiche fondamentali di questo film sono la centralità del guerriero femminile e la sua

dimensione trascendentale. Yang prosegue la tradizione delle eroine guerriere già avviata con il film

Come Drink with me (che pone le premesse del nuovo wuxiapian).

La coesistenza e il succedersi delle diverse identità di Yang (guerriera-donna-monaca) e Ku

(studioso-stratega-padre) sono l'espressione di quel generale gioco d'identità che domina il film. I

ripetuti raccordi di sguardo del finale non sono che l'ultima manifestazione della centralità che

assume lo sguardo dei diversi personaggi quasi in una moderna metafora dello sguardo spettatoriale.

Chang Cheh rappresenta, a differenza di King Hu, l'anima poolare e violenta del wuxianpian,

testimoniata da un numero impressionate di film dove crea una propria poetica contrassegnata dai

miti della vendetta, dell'amicizia virile intesa come fratellanza, e del rispetto di un codice d'onore

fatto di leatà, pietà filiale, integrità morale e senso di giustizia.

Anche lo stile di Chang è diverso da quello elegante di King; più immediato, più rozzo, macho,

sporco come testimonia l'uso frequente dello zoom e dei movimenti di macchina a mano che

accompagnano i suoi eroi nell'azione.

The magnificient Trio (1965)

Questo film testimonia l'influenza del chanbara sul cinema di arti marziali hongkonghese in quanto

il film racconta la storia di tre uomini di spada che si battono con alcuni contadini per porre fine ai

soprusi di cui questi sono vittime.

Tema: amicizia virile e lotta di classe.

Mantieni l'odio per la tua vendetta (1967)

L'intreccio del film verte su un giovane uomo di spada che perde un braccio durante uno scontro

con la figlia del proprio maestro.

Tema: vendetta e necessità di riparare i torti subiti.

Golden Swallow (1968)

Se già il film precedente minava il personaggio dell'eroina guerriera attraverso l'immatura e

maldestra figlia del maestro di spade, questo film trasforma l'eroina in un personaggio di secondo

piano, che perde molte delle sue capacità guerriere, riducendolo al più tradizionale ruolo di oggetto

d'amor

Dettagli
A.A. 2018-2019
10 pagine
8 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro.lora-1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Tomasi Dario.