Giovanni Giolitti (1812-1928).
Proprio Giolitti, qualche tempo prima, aveva affermato che lo stato
liberale non aveva nulla da temere dallo sviluppo delle
organizzazioni operaie e nulla da guadagnare da una repressione
indiscriminata delle loro attività, ma al contrario aveva tutto
l’interesse a consentire il libero svolgimento: di fatto si aprì una
nuova stagione nei rapporti tra lo Stato e i lavoratori, una stagione
però, fatta di luce e ombre.
Con l’inizio del ‘900 le riforme in campo sociale conobbero in tutta
Europa una nuova fase di espansione, e questo anche in Italia:
determinante fu l’incontro della vecchia classe dirigente liberale,
con i nuovi deputati socialisti eletti in Parlamento.
Il Ministero Zanardelli-Giolitti realizzò alcune importanti riforme: nel
1902 furono estese le norme varate nel 1866 da Depretis che
limitavano il lavoro minorile e femminile nell’industria, fu migliorata
la legislazione relativa alle assicurazioni volontarie per la vecchiaia
e a quelle obbligatorie per gli infortuni sul lavoro, nel 1902 fu
costruito un Consiglio superiore del lavoro, organo consultivo per la
legislazione sociale cui partecipavano anche rappresentanti delle
organizzazioni sindacali socialiste, infine fu realizzata una legge che
autorizzava i comuni all’esercizio diretto dei servizi pubblici come la
fornitura dell’elettricità, dell’acqua e del gas (municipalizzazione).
Per quanto riguarda la nuova legislazione sul lavoro minorile e delle
donne: venne fissata l’età minima per il lavoro di fabbrica a 12 anni,
13 anni invece (poi 14) per i lavori sotterranei in miniera da cui le
donne di qualsiasi età erano escluse, i lavori e i luoghi giudicati
insalubri non potevano essere svolti da maschi che avevano meno
di 15 anni o dalle donne minorenni. Vennero stabiliti ulteriori limiti
per il lavoro notturno, venne definita la durata delle pause e della
settimana lavorativa introducendo almeno una giornata di riposo,
alle lavoratrici donne fu vietato di tornare al lavoro prima di un
mese dal parto.
Nel 1903 venne approvato un disegno di legge sulle case popolari:
c’era la necessità di risolvere i problemi legati all’espansione
urbanistica delle città fornendo case a basso costo agli operai.
Tra il 1907 e il 1912 ci furono altri interventi legislativi che
confermarono e aggiustarono le precedenti deliberazioni: nel 1910
fu creata la Cassa di maternità che forniva una copertura
assicurativa alle lavoratrici in caso di parto.
Più importante delle singole riforme fu il nuovo atteggiamento del
governo in materia di conflitti del lavoro: Giolitti mantenne così una
linea di rigorosa neutralità nelle vertenze del settore privato (più
intransigente si dimostrò nel settore pubblico) purché le
manifestazioni non degenerassero nella violenza, il tentativo è
quello di integrare sempre più le classi subalterne nello stato
liberale. Tale processo fu senza dubbio fu favorito dallo sviluppo del
Partito socialista, nato a Genova ne 1892.
All’inizio del nuovo secolo il 68% delle sezioni e il 70% degli iscritti
erano concentrati al nord, in particolare nell’area del “triangolo
industriale”: nel partito confluiscono contadini delle zone agrarie
della Pianura Padana più politicizzate, operai delle fabbriche del
nord. Grazie ad una conduzione del partito di stampo “riformista”
uomini come Filippo Turati, che teorizzavano la necessità della
collaborazione con le forze progressiste della borghesia liberale,
fecero guadagnare al partito l’adesione persino di alcune fasce delle
classi urbane appartenenti alla nuova piccola e media borghesia.
Tra il 1897 e il 1900 il PSI triplicò i propri seggi in Parlamento
passando da 12 a 33: con l’inizio del nuovo secolo però inizia
l’opposizione massimalista interna al partito.
Le leghe rosse nel 1901 si riunirono nelle Federazione italiana dei
lavoratori della terra che contava già 200 mila iscritti, nel 1901
nacque anche la FIOM.
Anche il mondo dell’associazionismo cattolico iniziò a svilupparsi
alla fine dell’800: l’Opera dei congressi era nata nel 1874 proprio
per fare da contenitore a tutto l’associazionismo sul quale la Chiesa
intendeva mantenere un fermo controllo.
Le conseguenze del nuovo corso politico furono evidenti: le
organizzazioni sindacali, operaie e contadine si svilupparono
rapidamente, in molte città del centro-nord nacquero delle Camere
del Lavoro.
Un fenomeno tipicamente italiano fu lo sviluppo delle organizzazioni
dei lavoratori agricoli: i braccianti, soprattutto, presero ad
organizzarsi in unità sindacali chiamate “leghe” (rosse o bianche).
Si era sviluppata una corrente democratica cristiana che faceva
riferimento al sacerdote marchigiano Romolo Murri: tale corrente
aveva sviluppato organizzazioni sindacali molto spregiudicate e per
certi versi simili a quelle “rosse”, era giunta ad ammettere in casi
eccezionali anche il diritto di sciopero, e nel 1902 gli iscritti alle due
federazioni di mestiere erano 250 mila.
Nel 1901 papa Leone XIII era intervenuto per arginare il fenomeno
con l’enciclica “Graves de communi” con la quale sottolineò di
nuovo l’importanza dell’impegno sociale dei cattolici, indispensabile
per arginare il dilagare del marxismo tra le masse e redimere dalla
miseria i diseredati, ma con altrettanta fermezza respinse ogni
ipotesi di organizzazione politica, come avrebbe voluto Murri.
Lo sviluppo delle organizzazioni sindacali portò quasi ovunque ad
un’impennata senza precedenti della conflittualità sociale e
all’aumento degli scioperi: solo nel 1901 furono 1000 gli scioperi e
200.000 gli operai coinvolti, più di 200.000 contadini invece
sciopereranno nelle campagne.
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