Il potere politico e il concetto di Stato
Per esempio: il padre di famiglia esercita il potere senza apparato amministrativo. Sul piano filosofico, le definizioni più comuni di potere politico sono quelle di Norberto Bobbio: "esso è sempre collegato all'uso della forza che si esercita su di un gruppo abbastanza numeroso di persone, per scopo di mantenere nel gruppo un minimo di ordine, tende ad essere esclusivo, cioè ad eliminare o subordinare tutte le altre situazioni di potere".
L'aporia logica cui hanno luogo le varie definizioni di potere politico è rappresentata dal problema storico e antropologico di società senza Stato, quali indubbiamente sono esistite nel passato e ancora in epoca contemporanea e quali forse potrebbero delinearsi con forme diverse nel futuro. Il problema, in ogni caso, rimane lo stesso: lo Stato come luogo privilegiato dell'azione politica costituisce anche il suo orizzonte ultimo? (la tesi della "fine dello Stato", correlata alla...
scomparsa della politica, parte qualificante della filosofia marxista, è oggi sostenuta sul piano empirico come effetto dei processi di globalizzazione della vita sociale ed economica). È difficile immaginare che la politica si risolve in un legame di costrizione in cui i detentori del potere tengono i cittadini sotto l'incubo permanente della galera: quando invece assai diffusa la percezione e l'esperienza della politica non solo come "demone" vendicativo ma anche come "arte del compromesso", della mediazione, della persuasione (Machiavelli). D'altra parte, le sanzioni punitive sono elementi di garanzia di moltissimi altri rapporti di potere non riconducibili al potere politico (ad esempio i rapporti fra genitori e figli nella famiglia). Le origini dello Stato vengono fatte risalire da molti autori, fra i quali Marx, ha un'autodi "violenza primitiva" che risolve una situazione di anarchia, o meglio di“sinarchia“ (diversi gruppi, politicamente forti, che si contendono il monopolio della violenza). Alcuni passi avanti verso una comprensione più ampia dei fenomeni politici sono compiuti da Robert Dhal, il quale corregge l’originaria definizione weberiana del potere politico in modo che questo appaia come “l’esclusivo regolatore di legittimità nell’uso della forza“, da Mario stoppino che parla di “monopolio di intenzione della violenza“, da Domenico Fisichella che ricorre alla dicotomia “amico-nemico“ per caratterizzare i rapporti politici in quanto basati sull’ambivalenza degli elementi di conflitto di consenso, di coercizione e di accordo. Tutti questi ulteriori approfondimenti accettano il presupposto di Easton secondo cui il concetto di Stato è “niente più che un’istituzione politica importante ma inadeguata a descrivere la vita politica“, la quale riguarda invece tutte
quelle attività diverse che influenzano rilevantemente il tipo di discorso politico imperativo adottato per una società e del modo in cui esso viene messo in pratica. Nella definizione di politica così concepita e si distinguono gli elementi essenziali dell'autorità, delle decisioni (imperative) e della collettività: l'autorità, in senso weberiano, come centro di produzione di decisioni che riguardano l'allocazione di beni scarsi destinati ai membri di una collettività, intesa a sua volta con un gruppo tenuto insieme da vincoli di solidarietà e di appartenenza. Ciò che risulta innovativo in questa impostazione è la concezione della politica come processo che produce decisioni "collettivizzate", potendosene rintracciare la presenza in collettività di diversa natura, complessità e cogenza. Questo viene inteso, di conseguenza, come potere di governo istituzionalizzato, dotato cioè di
un minimo di continuità e legittimazione, associato in ultima istanza al monopolio della forza fisica: condizioni che si realizzano compiutamente con lo Stato moderno ma potrebbero, in prospettiva, restringersi o allargarsi ad altri ordinamenti. In questo senso ci sono autori - specialmente di scuola "realista" - che ampliano molto la nozione di potere politico, accentuandone i profili individualistici e psicologici, come: "la possibilità di ottenere rispetto, tutela o garanzia dell'integrità e dell'uso di beni indispensabili alla propria esistenza" (Leoni). In particolare, Bruno Leoni sostiene la coestensività tra il concetto di potere politico e il concetto di Stato. Il potere politico è uno status fondato su relazioni di comando-obbedienza (come tutte le relazioni di potere), da cui è possibile inferire determinate aspettative diffuse di comportamento. Lo Stato (come scopo) è una situazione, un modo diEssere del potere politico in un determinato contesto storico, sostenuto da aspettative diffuse e di stabilità. Il potere assume una connotazione specificatamente politica quando instaura rapporti egemonici - zoppi, asimmetrici, ineguali - nonché "disproduttivi" in quanto gli attori "spendono", soltanto per mantenere o contrastare lo stato dei poteri esistenti della società. Combinando in chiave critica queste definizioni, Stoppino abbozza una teoria dell'azione politica come "ricerca di conformità stabilizzata e generalizzata". L'agire politico è dunque proteiforme in quanto molteplici e storicamente mutevoli sono le sue modalità di espressione e i suoi contenuti. Di fatto, come dice Webber, non c'è contenuto o obiettivo che il potere politico non si sia arrogato la pretesa di rappresentare o perseguire. È perciò difficile, se non impossibile, incastrarlo in un qualsiasi modello astratto.
Dovremmo dire, a questo proposito che seppure esso presenta uniformità empiriche che lo riconducono allo schema dell'agire razionale può trovarsi agevolmente anche nelle modalità dei comportamenti "affettivi" o "tradizionali", già che i sentimenti, l'emotività e tutta una larga gamma di pulsioni riflessi giocano una parte considerevole degli svolgimenti della vita politica. Per cogliere dunque la dimensione politica delle relazioni sociali occorre riferirsi ad una "logica della situazione", cioè ad un contesto di dati, vincoli, condizionamenti "oggettivi" al quale gli individui adottano i loro comportamenti secondo uno schema a mezzo-fine in questo senso razionale. Si parla così di una razionalità "limitata" (Boudon), poiché imperfetta, o anche "situata" (Simon), Nella misura in cui deve tener conto non solo della situazione ma anche nel.comportamento di altri individui. Sta di fatto che le situazioni politiche cambiano storicamente e l'unico aspetto che varia è la dicotomia fra governanti e governati (come l'aveva formulata Gaetano Mosca) le cui interazioni in vista dell'esercizio e del controllo delle scelte collettive costituiscono il nucleo duro della vita politica. L'ipotesi del contratto Il problema sociologico del potere politico (come è formulato da Weber e dalla scienza politica contemporanea) affonda le sue radici nella filosofia contrattualista del XVII secolo e in particolare nella formulazione hobbesiana del "pactum subiectionis": il conflitto "primordiale" nello stato di anarchia genera la paura, e la paura induce gli individui a rimettere nel leviatano, un'autorità superiore, la cura dell'ordine sociale, rinunciando alla propria libertà di autodeterminazione. Il leviatano è lo Stato, lo Stato è ilpotere politico. Il "contratto originario" che viene immaginato da Locke, sulla scorta del giusnaturalismo liberale, capovolge il senso di rapporti fra politica e società perché precede logicamente e storicamente lo Stato di diritto, il quale nasce a difesa dei diritti fondamentali di libertà posseduti dagli individui in quanto tali. Vi sono inoltre alcuni accenni illuministi nel contrattualismo, come per esempio con il mito del "buon selvaggio" di Rousseau. Bisogna infine considerare una diversa via di pensiero che si iscrive nell'interpretazione evoluzionistica del contrattualismo di matrice kantiana (la via di Hume, Smith, Mandeville) secondo la quale lo scambio e l'interazione è fondamentale fra individui razionali e interessati, e sulle conseguenze di questi rapporti si producono le istituzioni sociali e politiche, in modo spontaneo. Tutto ciò per dire che le teorie sociologiche del potere politico poggiano
risorse possedute. Lo stato di natura immaginato da Hobbes, nel quale il conflitto generalizzato, a molto a che vedere con questa situazione di adattamento spontaneo agli esiti di un'interazione anarchica. Ma in questa condizione i costi del conflitto rappresentano posizioni negative per la produzione dei beni così che i membri del gruppo troveranno di maggiore convenienza reciproca accordarsi per una qualche specie di limitazione delle risorse possedute.Rispettive sfere di azione che consenta loro di occuparsi con maggior profitto della produzione diretta di beni. Ma si può pensare ad una vera e propria fase di contratto sociale, inteso come un accordo costituzionale originario, solo quando i membri di un gruppo stabiliscono vincoli di rispetto reciproco sulle rispettive dotazioni di beni e di risorse, modificando secondo schemi di utilità generalmente condivisi una determinata "distribuzione naturale", cioè in sostanza garantendo un determinato numero di diritti proprietari la ridistribuzione delle utilità individuali ottenuta mediante scambi e accordi. Questa può essere considerata ancora una fase "pre-politica", di autonomia sociale, in quanto non emergono direttamente i profili di azione politica.
2.4 Il potere politico come decisione
Il problema più strettamente politico nasce invece con il problema stesso dell'applicazione dell'accordo "costituzionale".
quando l'osservanza delle regole da parte dei contraenti non può essere scontata e si tratta di garantirla con strumenti di enforcement. Ovvero sul come ottenere che le clausole contrattuali vengano rispettate.Scarica il documento per vederlo tutto.
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