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Oltre a costituire uno strumento di superamento dell’isolamento sociale dell’individuo, nella sua

duplice natura di fattore di omologazione e differenziazione (Simmel), la moda può essere oggi

considerata anche come un rilevante indicatore dei rapporti reali di interazione all’interno di un gruppo

sociale o tra gruppi diversi. La propensione della persona sociale a conformarsi alla norma è

direttamente proporzionale al livello di interiorizzazione del valore che la norma stessa tende a

realizzare. Come per ogni altro elemento costitutivo della cultura, c’è sempre un certo grado di

devianza tra il comportamento ideale e il comportamento reale. Come ha rilevato Parsons, le

prescrizioni delle norme interiorizzate tramite la socializzazione rimangono parte del nostro volere

soltanto finché risultano adeguate al conseguimento di determinati fini o fino al mutare della gerarchia

dei fini verso la quale l’individuo tende. Quando la norma inizia a diventare un fatto esterno

all’individuo, quest’ultimo comincia a contrapporre al comportamento ideale un modello latente di

comportamento ritenuto più adeguato alla realizzazione dell’obiettivo. In questo senso il mutamento

sociale non è altro che il risultato dell’interazione e contrapposizione tra il sistema normativo e il

sistema dei comportamenti reali. È utile far riferimento al concetto di habitus. Bourdieu definisce

l’habitus come una legge immanente deposta nell’animo dell’attore sin dalla sua prima formazione,

sulla cui base si sviluppano i processi di riproduzione dei significati. Si tratta di disposizioni durevoli

che sono venute formandosi nell’esperienza pratica della vita sociale e che si presentano, al tempo

stesso, come determinazioni strutturate, in quanto risultato dell’agire storico e delle interrelazioni dei

soggetti, e strutturanti, in quanto generano e organizzano le pratiche e le rappresentazioni individuali e

collettive, delimitando, nelle situazioni storico-sociali concrete, il campo delle effettive possibilità di

pensiero e di azione. L’habitus è un modo di porsi nei confronti del mondo, che il soggetto apprende

nel corso delle proprie esperienze e nei contesti in cui vive e che lo predispone ad agire in un certo

modo. Esso è, dunque, un atteggiamento che il soggetto sviluppa adeguandosi ai contesti in cui è

immerso. Può mutare nel tempo. Bourdieu lega il concetto di habitus a quello di pratica sociale. Le

pratiche sono manifestazioni di quello che Bourdieu definisce senso pratico, ovvero modi di fare a cui

è legata una certa comprensione della realtà, che includono conoscenze esplicite e implicite, collegate

a un certo habitus e relative al campo entro cui il soggetto si muove. Con il concetto di habitus l’autore

intende ripensare il rapporto tra il soggetto e la struttura sociale secondo una circolarità di effetti

reciproci tra le due dimensioni, senza che possa essere individuato un rapporto causa-effetto in

un’unica direzione. Poiché condizioni sociali diverse producono differenti habitus, questi ultimi

appaiono come configurazioni sistematiche di proprietà particolari, che rendono manifeste e, al tempo

stesso, contribuiscono a costruire le differenze oggettivamente iscritte nelle strutture di classe,

laddove per classe si intende un insieme di individui che occupano la stessa posizione nell’ambito del

processo di produzione di una società.

Un altro elemento essenziale della cultura di un contesto storico-sociale è rappresentato

dall’ideologia, intesa come progetto di società verso il quale orientare l’azione collettiva. Si è soliti

distinguere la visione marxista e quella non marxista dell’ideologia. La prima vede l’ideologia come

falsa coscienza, ovvero come deformazione della realtà, consistente nella prevalenza delle idee della

classe dominante. La visione non marxista la ritiene, invece, una tra le tante possibili concezioni del

mondo. Secondo Marx ed Engels, le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee

dominanti. In tal modo, quando una classe assume una posizione di dominio, essa presenterà i propri

interessi come gli interessi comuni a tutti i membri della società; la classe dominante deve dare alle

proprie idee una forma universale, e presentarle come le sole universalmente valide e razionali. Si

tratta di un’operazione che mira a deformare la realtà, mascherandone le contraddizioni e legittimando

così i rapporti sociali esistenti. In linea con la concezione marxiana, nota come materialismo storico, il

modo di produzione della vita materiale condiziona il processo spirituale della vita. Non è la coscienza

degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la

loro coscienza. Lenin conferirà all’ideologia una connotazione positiva ammettendo che ogni critica

dell’ideologia stessa deve provenire dagli interessi della classe dominata. In questo senso, l’ideologia

diventa il prodotto della coscienza politica delle classi. Gramsci specificherà il concetto, identificando

l’ideologia con una concezione del mondo che è implicitamente manifesta nell’arte, nel diritto,

nell’economia e in tutte le manifestazioni della vita individuale, rappresentando non soltanto un

sistema di idee ma il terreno su cui gli uomini si muovono e acquistano consapevolezza della propria

posizione. Sotto un diverso profilo, le interpretazioni non marxiste rappresentano l’ideologia, al di là

delle numerosissime varianti, come un insieme di idee e credenze, dotate di un certo grado di

coerenza interna e associate a una determinata situazione sociale che, riflettendo una particolare

valutazione sul genere umano, fornisce agli individui e ai gruppi uno strumento per adattarsi al mondo

o per modificarlo. Una celebre distinzione è quella che Mannheim traccia tra ideologia totale, ideologia

parziale e utopia. L’ideologia totale corrisponde ad una visione generale del mondo che cerca di

fornire una spiegazione onnicomprensiva della realtà. All’interno dell’ideologia totale si formano le

ideologie politiche come ideologie parziali, ovvero modi di guardare la società e la politica che, oltre a

rappresentare punti di vista alternativi su una stessa realtà, corrispondenti ai bisogni reali dei concreti

gruppi sociali, si traducono in progetti che orientano l’azione. L’utopia è invece una fuga creativa dalla

realtà, che non corrisponde a una possibilità effettiva di realizzazione ma rappresenta l’immagine di un

mondo ideale in cui tutte le esigenze degli individui potrebbero essere soddisfatte. In un’ottica

funzionalista, Parsons definisce l’ideologia come il sistema di credenze condiviso dai membri di una

società e come schema interpretativo utilizzato dai gruppi sociali per rendere intellegibile il mondo.

Geertz la identifica, invece, con uno dei sistemi simbolici culturali, che ricomprendono, oltre quello

ideologico, i sistemi religiosi, il sistema estetico e quello scientifico, attribuendole un ruolo

sostanzialmente neutrale.

Tra le funzioni dell’ideologia: fornire una chiave di interpretazione del passato e del presente, e uno

strumento di progettazione del futuro delle società; conferire identità agli attori individuali e collettivi;

creare il legame di gruppo, mobilitando l’azione attorno a valori condivisi; raccogliere e canalizzare il

consenso, fondando il rapporto di rappresentanza politica; sostenere il potere o legittimare

l’aspirazione ad esso; rappresentare, nella visione marxista, uno strumento di manipolazione della

realtà.

Le rappresentazioni sociali sono componenti della cultura “storiche nella loro essenza”, che

influenzano lo sviluppo dell’individuo dalla prima infanzia. La storicità di tali rappresentazioni era già

stata rilevata da Durkheim, che ne sottolineava soprattutto l’origine sociale, descrivendole come il

prodotto di un’immensa cooperazione che si estende non solo nello spazio, ma anche nel tempo.

Perché gli individui creano tali rappresentazioni? Lo scopo è quello di rendere qualcosa di inconsueto,

o l’ignoto stesso, familiare. Ciò che non è familiare attrae ma allarma, poiché si teme di perdere i punti

di riferimento consueti, che forniscono un senso di continuità e agevolano la reciproca comprensione.

In tal modo, l’atto di rappresentazione è un mezzo per trasferire ciò che ci disturba, ciò che minaccia il

nostro universo, dall’esterno all’interno, da un luogo lontano ad uno spazio prossimo. Secondo

Moscovici le rappresentazioni sociali presentano un carattere convenzionale e prescrittivo perché

convenzionalizzano gli oggetti, le persone e gli eventi che incontriamo nel nostro percorso, fornendo

loro una forma precisa, assegnandoli ad una data categoria e definendoli in maniera graduale quale

modello di un certo tipo, distinto e condiviso da un gruppo di persone e si impongono a noi con forza

irresistibile. Esse finiscono per costituire un ambiente reale.

Le classi dominanti e quelle dominate non condividono la stessa visione della realtà ma la valutano

secondo criteri e categorie specifiche.

L’espressione sociologia della conoscenza è stata introdotta da Scheler per intendere un’analisi dei

rapporti che sussistono tra i vari tipi di conoscenza e i fattori sociali che determinano la situazione

esistenziale degli uomini. I modi in cui conosciamo il mondo hanno origine sociale. Sviluppando in

maniera originale la posizione kantiana, secondo cui la conoscenza nasce dall’incontro dei dati

dell’esperienza con categorie dell’intelletto date a priori, ovvero innate e universali, Durkheim sostiene

come tali categorie abbiano, piuttosto, un’origine sociale. Esse si costituiscono, cioè, tramite le

interazioni tra gli individui e l’ambiente e vengono trasmesse attraverso la cultura. Al variare delle

società, inoltre, variano anche le forme del conoscere, che possono, quindi, mutare, anche se

piuttosto lentamente. Mentre Marx ritiene che i modi concreti di organizzazione sociale della

produzione siano il fattore determinante nella creazione delle strutture conoscitive, Durkheim

sottolinea al riguardo il ruolo cruciale dei meccanismi collettivi attraverso i quali si forma il pensiero

morale: “non è tanto nel produrre insieme dei beni economici, ma è nel dare insieme un senso e un

ordine al mondo, nel costruire collettivamente i modi in cui ci si rappresentano le cose e gli ideali

riguardo a come le cose dovrebbero essere fatte, che gli uomini sviluppano i propri linguaggi e le

proprie forme di conoscenza”. Uno dei maggiori contributi alla formulazione di una sociologia della

conoscenza è fornito da Mannheim, che focalizza l’attenzione sul problema del

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A.A. 2019-2020
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chiara_and di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof D'Andrea Fabio.