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5.1 IL LAVORO NELLA STORIA DELLA CITTÀ

Diverse ricerche sembrano dimostrare il ruolo fondamentale svolto dall’organizzazione del lavoro nel plasmare lo spazio sociale della città industriale. È interessante capire se questa correlazione abbia una continuità storica o dipenda dal tipo di sviluppo produttivo. Molto spesso le città vengono progettate in base all’organizzazione del lavoro.

Che il lavoro plasmi l’identità dei luoghi è osservabile nell’Antica Roma, la prima megalopoli del mondo. Essa è la prima città che ha coniato la parola “otium” e che ha avuto nel proprio calendario 200 giorni di festa su 365. Nella sua epoca di massima espansione (circa il I sec a.C.) è una citta di circa un milione di abitanti, priva di attività produttive rilevanti, se non di matrice agricola. I commerci, fatta eccezione l’area del Foro, sono dislocati in maniera disordinata e non.

incidonoparticolarmente sulla forma della città, come avviene invece in altri grandi centri urbani dell'epoca, come Antiochia (Turchia), in cui il ruolo cruciale del mercato per l'economia cittadina ha portato allo sviluppo di portici su tutto il centro cittadino e alla creazione di un sistema di illuminazione pubblica. La megalopoli di Roma era priva di struttura economica, la maggior parte del lavoro manuale viene svolta dagli schiavi, che provvedevano ai servizi e tutte le risorse primarie erano ricavate dai bottini di guerra e dai prelievi delle colonie. Inoltre, essa era una fabbrica inesauribile di intrattenimento a basso costo, certe volte anche gratuito, la cui finalità era il controllo sociale. Il controllo imperiale intuisce con qualche millennio di anticipo che "panem et circense", cioè l'assicurazione di un approvvigionamento materiale minimo e l'erogazione di momenti di intrattenimento costanti, costituisce una strategia diconservazione dell'ordine sociale efficiente. Questo comporterà che l'organizzazione del lavoro egemone nel definire l'architettura della città sarà quella affine all'organizzazione degli eventi. Da qui hanno origine le straordinarie strutture erette per ospitare questa società dello spettacolo dei primordi: il teatro Marcello, il Colosseo, il Circo Massimo, l'acquedotto più lungo e antico del mondo antico, la più grande condotta fognaria mai costruita (la Cloaca Maxima). Per cui si può dire che questa forma di organizzazione della città rispecchiava quella del lavoro, il quale mirava a un intrattenimento continuo. Tutto ciò ebbe una fine, che coincide con le invasioni barbariche e la de-urbanizzazione. Nella città tardo medievale la continuità tra spazio urbano e organizzazione del lavoro trova conferma nella coincidenza tra spazio domestico e luogo della produzione. Non esiste

Unazonizzazione funzionale: le attività produttive sono svolte all'interno dell'abitazione dalla famiglia che vi abita. Tuttavia, questo elemento rende l'urbanistica medievale ugualmente dipendente dal lavoro e dalle sue articolazioni. La distribuzione spaziale spesso coincide con quella sociale. Le attività manifatturiere, perciò, si concentravano all'interno della città e le differenti articolazioni del lavoro erano tutte raggruppate nella stessa zona. Chi lavora il ferro e il rame abita vicino, chi lavora la pelle o il cuoio abita nella stessa zona. Solo in prossimità delle porte della città si addensano commerci e mercati, in questo luogo, quindi, si trovano anche taverne e osterie. Il lavoro produce l'identità dei luoghi. La città medievale quindi è, usando i termini di Lefebvre, l'espressione della pratica spaziale che plasma le rappresentazioni dello spazio. Il lavoro plasma la

città medievale perché la genera.

5.1.1 La città industriale

Come ricostruisce il sociologo Harvey, la città industriale è quella in cui l’organizzazione del lavoro viene declinata come strategia remunerativa del capitale, che costituisce l’elemento basilare di un’economia fondata sull’accumulazione e l’esigenza di reinvestire il surplus per evitare la svalutazione. La sua tesi è che l’urbanizzazione industriale esprimerebbe l’esigenza di evitare che le eccedenze del capitale non investito portino verso la disoccupazione di massa o verso crisi di sovrapproduzione. Egli dimostra come la trasformazione urbana delle città sia successiva a gravicrisi economiche, per farlo utilizza l’esempio della New York di Roosevelt, della Parigi di Haussmann. L’urbanizzazione sarebbe, quindi, insieme alla guerra, la strategia più importante per la stabilità economica dei paesi con sviluppo industriale.

In questo contesto, i capitali accumulati nelle banche trovano nello Stato un acquirente insaziabile. L'impatto per lo spazio fisico è notevole: città che prima contenevano poche migliaia di abitanti diventano in pochi anni delle metropoli. La produzione industriale pone le condizioni per un certo tipo di infrastrutture e per uno sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali, allo stesso modo essa va a influire sulle dinamiche di distribuzione socio-spaziale. La pianta della città, cioè il posizionamento di servizi, abitazioni, è correlato a quello della mobilità sociale. Questo viene dimostrato dalla teoria dei cerchi concentrici di Burgess. Questa teoria cerca di definire un modello di distribuzione sociale nello spazio fisico della città industriale. Burgess notò che la zonizzazione funzionale seguiva un andamento centrifugo che comportava una lotta per il controllo dello spazio. Al centro → istituzioni politiche e

finanziarie; nel primo cerchio» fabbriche e quartieri operai; nel secondo cerchio di transizione» bassifondi, quartieri migranti, nel terzo cerchio» classe media, neo aristocrazie urbane e servizi di lusso, nell'ultimo cerchio» campagna. Questo modello è criticabile perché fa di un caso storico particolare (la città di Chicago) un idealtipo. Burgess sottolineava come una economia politica fondata sulla diseguaglianza corrispondesse uno spazio sociale caratterizzato dalla segregazione. La teoria comprendeva l'esigenza non tanto di perdersi in una descrizione statica della pianta urbana, ma più che altro di chiarire l'impianto relazionale delle zone. Burgess inoltre nota come le zone tendono a evolversi e quindi a prendere lo spazio di quelle adiacenti. I quartieri operai sono progressivamente disabitati da una classe lavoratrice sempre più specializzata e retribuita, la quale tende a espandere verso il cerchio successivo,

quello della classe media. Al contempo le zone operaie vengo occupate da migranti, artisti, soggetti marginalizzati rispetto alle strutture sociali "ufficiali" della città, i quali ricreano i bassi fondi in base alle loro esigenze. La ricorrenza di queste dinamiche permette a Ruth Glass di avviare una riflessione, ancora in corso, sulla gentrification, parola derivante da "gentry", ovvero borghesia. È stata coniata dalla sociologa urbana Ruth Glass negli anni '60, per indicare un processo avvistato a Londra, per cui i quartieri occupati dalla classe operaia (la working class) venivano sempre più abitati dal ceto medio, quindi da imprenditori, commercianti e altre forme sociali con un reddito più elevato rispetto alla classe operaia. Questo passaggio di popolazione ha per conseguenza l'aumento delle rendite fondiarie ma anche il prezzo d'acquisto o l'affitto degli appartamenti. Si vede un vero e proprio cambiamento della

vita sociale, poiché la classe che tende a prevalere riproduce socialmente se stessa attraverso i suoi intrattenimenti, le sue necessità e i suoi modi di vita, provocando una selezione di ceto. Il quartiere San Salvario di Torino è un esempio di gentrificazione, ma anche l'Isola a Milano, i quartieri San Lorenzo, il Pigneto a Roma sono quartieri riqualificati. Il processo di gentrificazione è immanente alla struttura urbana occidentale inserita in un'economia di natura capitalistica.

5.1.3 La città delle reti

La città che oggi abitiamo nasce dalle ceneri di quella industriale: dalle sue logiche disciplinari, dalle sue esigenze di controllo sociale, dalla sua distribuzione degli spazi che rispecchia quella delle classi, dal suo modo di regolare i tempi di vita sulle lancette dell'agente collettivo economico, che scandivano la giornata dei lavoratori e li tenevano fissi a degli orari prestabiliti, senza che essi potessero appropriarsi

del loro tempo dovendo sottostare a degli orari. Le nuove tecnologie di comunicazione hanno abilitato nuove forme di produzione e di consumo, hanno inaugurato il mercato globale e accelerato la finanziarizzazione dell'economia. La città delle reti propone un nuovo modello, un nuovo modo di produrre che non implica più l'utilizzo delle fabbriche, propongono nuovi prodotti che non sono più standardizzati per tutta la popolazione, anzi, si tenta di creare dei prodotti più innovativi e creativi possibili che vadano a soddisfare le esigenze della popolazione. Le nuove tecnologie hanno spianato la strada all'offshoring (delocalizzazione, vale a dire che si esportano alcuni organi delle imprese all'estero, fondamentalmente per poter avere dei costi di produzione molto più bassi) e all'outsourcing (esternalizzazione, i lavori vengono dati in appalto a società esterne). Bisogna porre lo sguardo dove l'economia ritrova la sua

Direzione egemonica, ovvero nel panorama dell'informazionalismo e nella società delle reti. Castells descrive la città informazionale come un modello diverso da quello della Smart City. Lo stato evolutivo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nella città informazionale non è minimamente paragonabile a quello attuale. Inoltre, l'interiorizzazione di aspettative culturali derivanti dal paradigma ecologico non erano ancora state trasformate in pratiche sociali quotidiane, capaci di creare nuove identità. Tuttavia, i temi proposti da Castells sono molto attuali, soprattutto se si pensa a quelli attinenti l'organizzazione del lavoro e le sue ricadute sullo spazio urbano. La prima grande novità per il lavoro nella città informazionale è la sua organizzazione reticolare che produce centralità non geografiche, vicinanze urbanistiche e sociali intercontinentali e non più dipendenti dai luoghi.

Della produzione locale. Castells ha in mente l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per globalizzare il management (gestione) ed estendere il controllo a distanza ben oltre i limiti assicurati dai sistemi "panoptici" della fabbrica fordista.

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Publisher
A.A. 2019-2020
55 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher defendente di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia generale e dell'innovazione digitale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Valle d'Aosta o del prof Marciano Claudio.