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La modella mostra al fotografo la schiena, le braccia e il seno destro, apparendo in tal modo al
contempo nuda e ornata. Quanto allo sfondo sul quale essa si staglia, esso non ospita nessun altro
corpo, nessun altro drappeggio. Non è nemmeno visibile un piedistallo, o un palco, o qualche
vestito sfatto o abbandonato dalla ragazza. Privo di qualsiasi figura riconducibile all'isotopia
tematica considerata, esso resta uno spazio rappresentato, il luogo in cui si situa la modella.
Il nudo e l'ornato sono modi del vestire e modi opposti di configurare il corpo socializzato. La loro
categoria può perciò essere considerata riducibile in ultima analisi a quella dei valori assiologici
collettivi: natura vs cultura, situata a livello delle strutture semio-narrative.
Lo studio del contenuto della fotografia di Boubat dovrebbe aver mostrato che il nudo è qui
concepito come un'istanza di mediazione tra il naturale e il culturale, e la sua significazione si
fonda, da questo punto di vista, su una struttura mitica, perlomeno se seguiamo le osservazioni di
Courtes sul ruolo del termine mediatore nei miti analizzati da Lévi-Strauss: “nella prospettiva dei
miti, il termine mediatore congiunge senza amalgama né confusione la natura e la cultura. Il medio
termine ha dunque una posizione privilegiata, poiché è allo stesso tempo il luogo di uno scarto tra
natura e cultura, e quello della loro unione”.
4. Dal contrasto al poetico
Per concludere, diremo che la fotografia di Boubat è poetica se si considera la sua funzione
semiotica, cioè la relazione tra la forma della sua espressione e la forma del suo contenuto; che essa
sviluppa un discorso mitico parlando di una posizione d'equilibrio tra quei contrari conciliati che
sono la natura e a cultura; e che tale discorso, enunciato poeticamente, implica, sul piano
dell'espressione, la realizzare di un contrasto. Il contrasto si configura come uno strumento
privilegiato dell'enunciazione poetica, nel senso che realizza una proiezione minimale del
paradigmatico sul sintagmatico e permette di riorganizzare in modo diverso il discorso del mondo,
scegliendo certe figure che rendano isotope alcune sue qualità sensibili, per sottoporle a una sovra-
segmentazione capace di dar vita a un discorso più profondo.
Capitolo terzo. Un nido confortevole di Benjamin Rabier.
Topologia semisimbolica e prospettiva manipolatrice.
Un nido confortevole si presenta come un breve racconto per immagini: una sola tavola, tre strisce,
sei vignette sono bastate per allestire la scena e mostrare come un uccello possa costruirsi un
comodo nido a spese di un ragazzino. In questa storia sembra che la scena sullo sfondo sia presente
solo per situare meglio i due protagonisti l'uno rispetto all'altro. Se è così, come non considerare
alcuni suoi elementi come dettagli superflui e gratuiti, ad esempio il ceppo e il tronco dell'albero
sotto la quale l'uccello sistema il suo nido? Il villaggio stesso forse non era indispensabile: una
composizione ancora più spoglia avrebbe mostrato più chiaramente le qualità spaziali del nido, che
ne garantiscono il comfort. Si ammetterà che questi diversi elementi figurativi, per la loro stessa
presenza, rendono in realtà lo spazio rappresentato più complesso e dunque semanticamente più
ricco, e per questo non si possono trascurare.
1. Componente semio-narrativa
Il racconto si svolge in due luoghi differenti: dapprima un pendio erboso, poi la parte superiore di
un albero. Nelle prime due strisce vediamo, un corvo e un bambino, nell'ultima il corvo e la sua
nidiata. L'ordine cronologico manifesta la successione logica, narrativa, delle due sequenze:
l'incontro polemico del bambino e dell'uccello precede la vita di famiglia dei volatili.
I due attori-oggetto (il cerchio e il cappello) serviranno alla costruzione del nido, e rispetto
all'economia generale del racconto, cerchio e cappello costituiscono l'oggetto di valore duale cui si
mira nel programma parziale, mentre il comfort costituisce l'oggetto del programma di base
(oggetto la cui definizione è essenzialmente timica).
Il programma narrativo parziale, che si tratti dell'acquisizione del cerchio o di quella del cappello,
può essere analizzato come un'appropriazione da parte del corvo (S1) correlativa a una
spoliazione per il bambino (S2). La prova è la correlazione di un fare riflessivo congiuntivo e di un
fare transitivo disgiuntivo: essa si oppone al dono, definito dalla correlazione di un fare riflessione
disgiuntivo e di un fare transitivo congiuntivo, che è al contempo rinuncia e attribuzione.
Il programma di base, l'utilizzazione del nido, si basa su una logica del tutto diversa: il corvo
beneficia del comfort del suo nido facendone beneficiare allo stesso tempo la sua progenie;
l'attribuzione è correlativa a una non rinuncia, c'è condivisione: si tratta di un fare congiuntivo sia
riflessivo che transitivo, riconducibile a una comunicazione partecipativa nella quale la
congiunzione dell'oggetto con uno dei soggetti non esclude la congiunzione del medesimo oggetto
con l'altro soggetto.
Il carattere polemico del racconto non è dovuto solo al fatto che il corvo e il bambino desiderano
entrambi i medesimi oggetti di valore, ma anche al fatto che tutti e due considerano il superfluo
desiderabile. Bambino e corvo si iscrivono in un solo e unico spazio ideologico.
Quanto all'attualizzazione dell'anti-soggetto, essa è il risultato della sua modalizzazione secondo il
sapere e il potere. Il sapere de corvo è quello dell'opportunista o del bricoleur, che sa approfittare
dell'occasione favorevole e impadronirsi degli oggetti in un ordine diverso da quello nel quale se ne
servirà. L'uccello potrà tanto meglio conservare la presa in quanto il bambino non salta né può
volare. È perciò in uno spazio mediatore tra lo spazio umano e lo spazio animale che si attualizzerà
il discorso polemico.
Avremo allora per i due soggetti la distribuzione seguente:
Uccello Bambino
Avventarsi (piombare) su Scendere correndo
Volar via …
… Posare, far girare, far cadere
Portar via (in aria) …
2. Topografia e codificazione semi-simbolica
Rifacendosi a Greimas, la semiotica organizza questo universo a partire dalla categoria astratta
natura/cultura. Consideriamo il ceppo d'albero: esso rappresenta l'intervento dell'uomo sulla natura
per cui non è più di conseguenza un elemento naturale ma non è nemmeno un oggetto culturale. Il
ceppo rappresenta infatti la posizione semantica /non naturale/. Il ceppo si oppone alla visione
visibile del tronco non tagliato in cima al pendio, ai piedi del quale passa il sentiero. Consideriamo
così il tronco come la figura topografia della /non cultura/.
Ceppo e tronco si oppongono così: alla forma irregolare del ceppo che ingloba la regolarità del
taglio corrisponde la forma regolare del tronco che ingloba l'irregolarità delle forme e della
disposizione delle macchie della corteccia. Lo spazio mediatore dell'incontro è costituito anche, e
sopratutto, dal pendio erboso attraversato dal sentiero: regolarità del pendio e irregolarità del
sentiero. Quindi: natura: irregolarità :: cultura: regolarità.
Ritroveremo questa stessa omologia analizzando i tratti figurativi che caratterizzano gli elementi
notevoli e significanti del secondo luogo della storia. Rappresentato nelle due ultime vignette, esso
è costituito da un villaggio e della parte superiore di un albero, sotto la chioma del quale l'uccello ha
fatto il nido. Ceppo, tronco, chioma d'albero e villaggio avvallato sono figure che si organizzano tra
loro e prendono senso in un micro-universo semantico articolato dalla categoria alto/basso. Raso
terra il ceppo rappresenta la negazione dell'altezza, il tronco all'opposto rappresenta ciò che
consente a un albero di innalzarsi, quanto al villaggio esso è situato nel punto più basso in cui
convergono le pendici dei valloni circostanti. Quadrato semiotico:
alto: chioma; basso: villaggio; non basso: tronco; non alto: ceppo.
Il villaggio, luogo sociale e religioso, è evidentemente il luogo della cultura; quanto alla chioma
frondosa, la sua stessa presenza, così come il troncone del ramo secco, pone l'albero come un luogo
naturale, rifugio degli uccelli, inaccessibile all'uomo.
Alto: natura :: basso: cultura.
La chioma dell'albero: protezione naturale :: tetti del villaggio: protezione culturale.
Cosa c'è sopra il campanile? Un gallo. Questo uccello di metallo, oggetto culturale-segno, è esposto
a tutti i venti e fissato dal villaggio sul luogo più angusto che ci sia, la punta del campanile.
Vale a dire che la valorizzazione molto particolare del campanile serve alla definizione euforizzante
del nido che l'uccello si è costruito. Rimane il fatto che le sei vignette della tavola rappresentano
ciascuno uno spazio visto secondo una certa prospettiva: esse situano gli oggetti e i luoghi gli uni in
rapporto agli altri, ma anche gli uni dietro gli altri, gli uni più in alto o più in basso degli altri,
secondo un gioco di punti di vista particolari che si imporranno naturalmente al lettore.
3. La manipolazione del lettore enunciatario
Nelle prime quattro vignette, il primo piano è occupato dal ceppo e l'orizzonte è alto; l'episodio
stesso, la relazione polemica tra l'uccello e il bambino, è disposto in modo tale da imporre al lettore
uno sguardo dal sott'in su per cogliere il movimento dell'uccello in volo. Se ammettiamo che in
virtù della prospettiva la stessa organizzazione spaziale vale per lo spazio dell'enunciato (le
vignette) e lo spazio dell'enunciazione (quello del lettore, che si sviluppa a partire dalla cornice), e
se si rammenta l'assiologia manifestata dagli elementi figurativi, ne dedurremo che il lettore-
enunciatario è collocato nella deissi culturale, non solo perché è vicino al ceppo, ma anche perché
guarda dal basso. Al contrario nelle due ultime vignette, l'orizzonte lontano è molto basso e il lettore
è molto vicino alla chioma d'albero sotto la quale l'uccello si gode il suo nudo: la prospettiva di
queste due vignette pone il lettore-enunciatario nella deissi della natura.
L'enunciatario, attante osservatore di quegli avvenimenti che sono l'incontro polemico e la fruizione
partecipativa del nido, è manipolato dall'enunciatore, dalla sua strategia discorsiva di
spazializzazione cognitiva. L'enunciatore si è dotato di una vera e propria prossemica, capace di far
cambiare al lettore il punto di vista morale facendogli cambiare il punto di vista scenico.
&Egrav