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Il 18 luglio 1659 si tenne alla corte di Versailles una importante festa in cui venne presentata la commedia di george
dandin. È questa l’epoca della monarchia trionfante. E questa gloria del re deve essere manifesta, data da leggere,
sentire e vedere. I versificatori si mobilitano e scrivono numerosi versi su Luigi 14° che celebrano le vittorie e la festa
per celebrare la pace. I preparativi per questa saranno lunghi e durano da maggio a luglio ma la festa deve essere
magnifica e gigante per mostrare a tutta europa quanto il re fosse sia signore degli che dispensatore di pace, e tanto
potente quanto generoso. La commedia in questo contesto occupa un ruolo specifico: affidata alla troupe du roi,
questa doveva scriverne una con un argomento che si inserisse nel programma della gesta e doveva anche far ridere.
Moliere sceglie quindi la commedia di George dandin. La commedia piacque al re tanto che la farà rimettere in scena
nel 1668. Sempre nel 1668, dopo un grande successo anche al di fuori della corte, George dandin viene messo in
scena 2 volte, ma in due modi differenti. A corte la commedia si inscrive nel ciclo di feste monarchice, è inframezzata
da musica e balletti ed è uno soltanto di molteplici momenti di festa. In città, la commedia entra nel teatro cittadino
che ha sale fisse, un calendario annuale, un repertorio già costituito. Lo stesso testo viene quindi proposto a due
forme di pubblico totalmente differenti. Questa commedia non venne molto considerata dalla critica e nelle
antologie, tanto che viene raramente studiata quando si studia Moliere. Tuttavia questa commedia è stata davvero
importante in questo frangente storico. Ma Si può dire che dandin avesse come obiettivo solo il riso? Per l’autore le
intenzioni di Moliere forse riguardavano un discorso sociale, quindi che cercò di rendere compatibili l’azione del riso
e un soggetto che implica la rappresentazione dei meccanismi attraverso i quali si costituiscono i rapporti sociali.
Secondo l’autore i testi letterari rappresentano i principi contradditori di costruzione del mondo sociale, questo vale
per il romanzo (che dispiega il suo intrigo e i suoi personaggi in una convenzione letteraria che non deve rispettare
alcuna verosimiglianza) e anche per tragedia e commedia. Queste ultime due sono rappresentazioni di un’immagine
vera, e l’unica differenza tra esse è data dal soggetto rappresentato. Quello della tragedia presuppone protagonisti
illustri e azioni famose, quindi una maggior libertà dovuta spesso alla distanza storica dei suoi soggetti. La commedia
invece si attiene alla natura, l’azione è mediocre, le persone di condizione mediocre e l’azione si svolge tra persone
private. Tuttavia nella commedia queste azioni non devono esser prese per situazioni reali e neppure possibili,
devono solo essere codificabili dal pubblico. Dandin ha mobilitato tra gli spettatori o lettori un sapere sociale nutrito
d’attualità, ma come vedremo, si configura in modo differente a seconda del pubblico che lo guarda. Alla festa del
1668 il sovrano come sempre viene adulato e magnificato. Da una parte sembra però una commedia scritta in fretta,
proprio per rispondere a una commissione reale. I molti balletti e intermezzi musicali la rendono piacevole, e epr
moliere tra queste due forme – commedia recitata e commedia in musica e balletto – non vi era gerarchia esplicita,
ma contaminazione reciproca. Lo spettacolo del 18 luglio 1668 può essere quindi definito in due modi diversi: la
corte a Versailles a cosa ha assistito? Alla rappresentazione comica di un contadino malmaritato o ad uno spettacolo
di canti e danze il cui argomento di fondo non contava un granchè? E se la prima ipotesi è data per vera, il soggetto
di questa storia non è altro che la ripresa di un modello tradizionale (favola pastorale) o la messinscena di una
traiettoria sociale specifica? Secondo l’autore quest’opera è entrambe le cose. Coniuga in sé la favola pastorale, più
la commedia, anche se nella rappresentazione del 1668 a corte Moliere decise di dover rappresentare una morale
della distinzione, della separazione assoluta tra l’aristocratico, d’animo o di rango, e l’umanità comune. Utilizza
spesso termini riferibili alla tragedia, e fa descrivere l’amore da Dandin con termini nobili, ma sa della necessità di
dover far ridere il re. La cosa sembra fatta per produrre letture diverse in cui si sommano la favola pastorale e la
farsa, confondendo la distinzione tra i due generi. Ma come ha accolto la commedia la corte il 18 luglio? Felibien nel
Frand Divertissement royal pubblica una relazione su ciò che è stata la festa e per dichiarare a tutti la grandezza di
questa la festa stessa deve farsi libro, anche se questa immagine, da leggere o da vedere, rimane incapace di
rappresentare ciò che la festa è stata realmente. Il programma per i festeggiamenti reali prevedeva numerosi
divertimenti e Dandin si iscriver in questa festa di corte dal programma molto complesso. la relazione di Felibien ci
presenta la festa del 1668 come una di quelle feste di corte considerate dai più caratteristiche della civiltà barocca,
che ha quindi il compito di rappresentare lo sfarzo di un tempo della nobiltà ora inscritta in un contesto cittadino e
urbanizzato, e quello di identificare il re ancora giovane con il dio solare, apollo. Dandin quindi, eseguito presso la
corte, è stato dato in scena in un contesto che non dovesse ricordare le indicazioni sociali o spaziali inserite nel testo
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originario, ma la commedia viene eseguita in uno spazio ideale dove il contadino protagonista è diventato un ricco
contadino e il gentiluomo un gentiluomo di campagna e il motivo dell’infelicità di daudin si è spostato, vittima della
moglie, dei suoceri e di altri che lo disprezzano (prima era per la giovane pastorella che non lo amava). Il senso
quindi nella rappresentazione del 1668 a corte è stato completamente trasformato. ma i resoconti dell’epoca come
l’articolo su la Gazette, la relazione dell’abate de montigny o quella di robinet ci mostrano una commedia diversa,
una commedia definita comica (al contrario della relazione di Felbien o quella del Grand divertissement che la
definiscono in modo completamente diverso). Da una parte quindi una commedia che si regge su buffi accadimenti,
sul canovaccio comico. Dall’altra una commedia che è prima di tutto immagine e critica di una realtà
contemporanea. Quale delle due commedie ha visto la corte nel 1668? Non ci è dato a saperlo. Soprattutto nel
primo atto Dandin enuncia vari monologhi in cui si denuncia una determinata società, il modo in cui questa rende
possibile o impossibile l’ascesa sociale e la messa in evidenza delle difficoltà sociali del tempo. I due pubblici hanno
visto quindi due opere differenti, proprio per la loro estrazione sociale. hanno colto in modo diverso le regole di
costruzione delle gerarchie o delle eguaglianze sociali. Dandin è un costume, portatore di una doppia connotazione:
dandiner significa dondolare la testa e il corpo come fanno gli sciocchi o agitarsi come uno sciocco. È quindi un
contadino sciocco, ridicolo, diviso tra nobiltà che ammira e il suo essere plebeo, da cui non riesce a distaccarsi,
sballottato tra l’uno e l’altro dagli intrighi di cui è vittima, sempre oscillante tra l’imitazione eccessiva della nobiltà e
la rusticità della sua natura contadina. La seconda connotazione riguarda l’uso letterario del nome dandin, utilizzato
in altri testi, come quello di Rabelais o Racine o La Fontaine. In tutti e tre i casi il nome è associato a una competenza
giudiziaria, una sorta di giustiziere. Moliere utilizzando questo nome ha rovesciato con George la connotazione
precedente, non più dispensatore di giustizia ma sempre vittima di quella che ha reclamato, nella fallace sicurezza di
vincere la sua causa. Inoltre moliere introduce anche un elemento nuovo nel suo personaggio, una divisione
lacerante tra due habitus: costretto a sottomersi alle regole della parentela con una nobile, non può agire come un
contadino, ma d’altra parte, in quanto contadino, non ha incorporato i codici e i sistemi di controllo che
caratterizzano la condotta aristocratica. In dandin abbiamo quindi un personaggio che parla dei modi di costruizione
dell’identità, dell’impossibile cambiamento di condizione, dei meccanismi che regolano la classificazione sociale e
contemporaneamente un personaggio tre volte ridicolo, per il suo abbigliamento eccessivo, per il cognome che porta
e per i suoi capricci da villico. Questo faceva ridere, e soprattutto faceva ridere per la sua impossibilità di realizzarsi
(un contadino non poteva sposare una nobildonna). Alla corte la commedia è stata accostata alle riforme sociali in
atto in questo periodo storico, in cui si stavano definendo le dinamiche sociali che designavano chi fosse nobile e chi
no. Per il pubblico borghese della città, invece, la commedia non è stata vista in questo modo: la mobilità da uno
stato all’altro non viene vista come essenziale, e soprattutto vista come qualcosa che sconvolgeva l’ordine
prestabilito, minacciando l’ordine politico. I borghesi che vogliono farsi gentiluomini sono personaggi ridicoli. Quindi
la figura di un contadino da farsa mirava a mettere in guardia contro le ambizioni male appropriate e a legittimare un
ordine in cui ciascuno deve rimanere al suo posto. Questa è l’universalità di moliere, topos classico che è data da
questa pluralità di ricezioni possibili di un’opera che, per far percepire principi affatto reali del funzionamento
sociale, ricorre a situazioni che, per parte loro, non rientrano in alcun modo nell’ordine del socialmente possibile.
4) Letture “popolari”
La cultura popolare è una cultura colta. Questa è riconducibile a due grandi modelli di descrizione e interpretazione.
Il primo concepisce la cultura popolare come un sistema simbolico coerente e autonomo, funzionante secondo una
logica assolutamente estranea e irriducibile a quella della cultura dotta. Il secondo vede la cultura popolare nei suoi
rapporti di dipendenza e nelle sue carenze rispetto alla cultura dei soggetti dominanti. Questi due modelli hanno
attraversato tutte le discipline, in particolare la storia, l’antropologia e la sociologia. L’autore aggiunge che il
contrasto tra queste due visioni ha fornito le basi di tutti i modelli cronologici che oppongono una presunta età
dell’oro della cultura popolare, originaria e indipendente, a un’epoca di censure e costrizioni che la svalutano e la
smantellano. In francia tra il 1600 e il 1650, soprattutto nell’età del re sole, la cultura popolare, sia rurale che urbana,
conobbe un’eclissi pressoché totale, una repressione della cultura popolare totale che si protrarrà fino al 18 secolo.<