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Berlino, il Pci si rinnova fino a diventare, nel 1991, Partito Democratico della Sinistra, che

continua a perdere iscritti pur rimanendo il maggior partito italiano in questi termini.

A fianco agli eredi dei due vecchi colossi, nascono e si affermano Forza Italia e Lega

Nord, con due filosofie organizzative estremamente diverse. Il partito di Bossi richiama il

vecchio partito di massa, prevedendo 2 categorie di iscritti: i soci sostenitori e i soci

ordinari-militanti. Le sezioni comunali dovevano procedere ogni anno alla verifica della

militanza degli iscritti, che se non veniva soddisfatta venivano declassati. Il nuovo partito

conquistò molte iscrizioni fino al 2011, quando “diamanti, lingotti d’oro e lauree albanesi”

hanno portato a un drastico ridimensionamento. Forza Italia, invece, poggia su 2

strutture parallele e non comunicanti che in realtà non ebbero alcun peso: i club

(inizialmente sponsorizzati dal management delle imprese del gruppo Finivest) e il

“Movimento Politico di Forza Italia”, con uno statuto molto scarno e piuttosto

tradizionale. Con il passare del tempo e la pressione per l’istituzionalizzazione, il partito finì

comunque per strutturarsi nella maniera tradizionale, pur conservando alcune peculiarità,

come l’inamovibilità di Berlusconi.

Nel 2009, Forza Italia si fonde con Alleanza Nazionale e diventa PdL (Popolo della

Libertà). In vista del primo congresso del partito, il reclutamento sembra essere massiccio,

probabilmente per la semplice modalità di adesione e per l’esiguità della cifra. Nel 2007,

invece, Margherita e Ds (Democratici di Sinistra) si fondono e formano il Partito

Democratico, che sembra conquistare a sua volta nuovi iscritti per poi calare tra il 2010 e

il 2011.

Per quanto riguarda le unità di base locali, in tutti i paesi europei la contrazione del numero di

tesserati è andata di pari passo con la chiusura delle sezioni, essenzialmente per 2 ragioni di fondo:

da un lato perché erano ormai prive di membri che le rendessero vive, dall’altro perché la relazione

diretta tra leadership e opinione pubblica le ha rese politicamente obsolete. Infatti, anche se le

classi dirigenti continuano a lamentarsi per il calo degli iscritti, non sembrano ugualmente

preoccupati per la chiusura delle sezioni.

In Italia, si è diffusa l’idea del circolo tematico, cioè di una sede che non è più una

sezione territoriale, ma dove ci si riunisce sulla base di un preciso interesse. Così, la ragione

di incontro diventa più progettuale e strumentale. Il primo tentativo di dar vita a una cosa

del genere fu del Msi negli anni ‘70, prefigurando un’organizzazione non basata sul

territorio ma sull’occupazione, cioè corporativa. Ovviamente, alla fine non se ne fece nulla.

Il vero innovatore fu il Pds, che articolò le sedi locali in base alla condivisione di interessi e

temi specifici. Questi circoli (così vennero rinominati) diventarono presto un luogo di

aggregazione più che di discussione, finendo per diventare strumenti per attrarre al

partito anche soggetti non intenzionati ad iscriversi. Molti partiti seguirono questo esempio,

fatta eccezione per la Lega, che mantenne l’impostazione tradizionale delle sezioni, e per

Forza Italia, che si limitò ad alimentare i club (quando poi divenne PdL, lo statuto non

prevedeva né l’esistenza di circoli, né di sezioni).

Comunque, anche se in tutta Europa i partiti si sono ritirati dal territorio, l’iscritto rimane una

risorsa fondamentale. Al di là del fatto che sia una fonte di sostentamento finanziario e di

manodopera nelle campagne elettorali, la membership è ormai una risorsa soprattutto

simbolica ed evocativa, perché l’adesione di molti cittadini a un partito continua ad essere

l’elemento cardine della sua legittimazione. Poiché l’ambiente è in cui i partiti agiscono è un

ambiente democratico, essi sono anche vincolati a conformare la propria organizzazione interna ai

principi democratici di volontà dal basso, attraverso forme di partecipazione dirette o delegate.

Dunque, i partiti tentano comunque di fornire loro una serie di incentivi sia per reclutarli che per

attivarli. Se i vecchi partiti di un tempo fornivano incentivi collettivi e simbolici (ideologia di fondo,

progetto complessivo ecc), i partiti di adesso propongono più che altro incentivi selettivi e

materiali, mirati e di breve periodo. Comunque, a questa offerta di incentivi deve corrispondere,

da parte dei cittadini potenzialmente interessati, una domanda di coinvolgimento. Sulla base di

questo, si possono individuare 6 tipi di incentivi che fungono da molla per l’adesione e la

mobilitazione:

• Incentivi collettivi (un cittadino è portato a iscriversi perché condivide e si identifica con

gli obiettivi generali del partito)

◦ Positivi (realizzazione dei fini ultimi del partito)

◦ Negativo (contrasto delle politiche degli avversari)

• Incentivi selettivi (connessi a obiettivi e finalità perseguibili singolarmente)

◦ Beneficio individuale ma immateriale (il cittadino si iscrive per il benessere che ricava

dalla partecipazione, della condivisione delle idee in sé)

◦ Beneficio individuale e concreto (iscrizione come merce di scambio per qualche

benefit, come favori ecc)

• Incentivi provenienti dalle pressioni dell’ambiente circostante (il cittadino si

iscrive perché si adegua alle scelte della maggioranza delle persone che sono nella sua stessa

comunità)

◦ Spazio delle relazioni sociali (come il posto di lavoro)

◦ Spazio familiare.

Di tutti questi incentivi, quelli che più inducono all’iscrizione sono quelli collettivi, cioè quelli che

coinvolgono sentimenti affettivi e di identificazione. Gli aspetti più individuali hanno meno rilievo,

anche se è innegabile che il partito sia stato anche visto come un meccanismo di promozione

sociale e come una fonte di reddito. Perlopiù, le motivazioni particolaristiche tendono a restare

nell’ombra (fatta eccezione per il caso limite dei giovani di Forza Italia, che all’inizio degli anni

2000, dichiararono apertamente di essersi iscritti al partito perché avrebbero conosciuto persone

utili allo sviluppo delle loro attività professionali). Come evidenziato da Duverger ne I partiti

politici, i partiti della prima metà del Novecento si limitavano a promuovere socialmente i propri

membri attraverso l’alfabetizzazione e l’acculturazione. Oggi, sono venuti a galla altri tipi di

appetiti, al cui scatenarsi è dovuta la crisi della credibilità dei partiti, soprattutto in Italia.

– Il partito nelle strutture centrali

I partiti, allontanandosi dalle periferie, hanno allo stesso tempo rafforzato le loro strutture a

livello centrale. Questo accentramento è stato favorito da vari fattori, ma soprattutto dalla

diffusione dei mass media, che ha slegato le leadership dal controllo della base e le ha messe in

contatto diretto con l’elettorato, e dalle risorse derivanti dallo Stato sia direttamente,

attraverso il finanziamento pubblico, che indirettamente, attraverso il patronage, cioè il loro

utilizzo per ricompensare gli individui che hanno offerto sostegno politico.

Le principali risorse di cui beneficia il partito nelle strutture centrali riguardano il personale e i

finanziamenti.

Per quanto riguarda le risorse umane, negli anni ‘60, gli organi centrali dovevano ancora

rendere conto regolarmente alla base, poiché avrebbe potuto smobilitare gli iscritti o far nascere

correnti antagoniste al gruppo dirigente. Il partito nel territorio svolgeva infatti la maggior parte

delle funzioni, quindi le strutture centrali erano composte da pochi funzionari che operavano in

sedi modeste e amministravano una quantità ridotta di entrate finanziarie.

Alla fine degli anni ‘80, invece, i funzionari centrali aumentano ovunque (in Italia del

140%), in alcuni casi raddoppiandosi o triplicandosi. Tutto ciò avviene, però, a scapito del

personale delle sedi locali, che diminuisce in tutti i partiti.

Anche nel rafforzamento delle strutture centrali, l’Italia rappresenta un’eccezione. Se

all’inizio i partiti sono stati portati ad accrescere gli apparati centrali per mettersi in pari

con il “bottegone”, cioè con la sede del Pci a Botteghe Oscure, a partire dagli anni ‘90 si

manifesta una tendenza inversa: con la crisi del sistema partitico post-Tangentopoli, si

diffonde una visione “minimalista” dell’organizzazione del partito, e quindi lo staff

delle sedi centrali diminuisce in tutti i partiti. Questa tendenza allo snellimento coinvolge

anche i partiti di nuova formazione, tra cui Forza Italia, più che altro per una precisa scelta

strategica, e Rifondazione Comunista, perché affidata ancora al volontariato.

In rapporto agli altri paesi europei, lo staff dei partiti italiani nel periodo post-Tangentopoli

appare quindi di dimensioni molto contenute. Come da tradizione, è il Pds-Ds, erede diretto

del Pci, a vantare un organo corposo, quasi di 200 unità, mentre gli altri partiti si

accontentano di una cinquantina di funzionari. Le nuove formazioni, come Pd e PdL, hanno

mantenuto inizialmente il personale ereditato dai partiti originari, per poi di recente

procedere a ulteriori snellimenti.

Ad ogni modo, l’aumento del personale negli uffici nazionali ripropone il problema del

professionismo politico, affrontato per la prima volta nel 1911 da Roberto Michels ne La

sociologia del partito politico. Quasi fin dalla sua nascita, il partito di massa ha dovuto affrontare il

problema di coloro che “vivevano di politica”, cioè lavoravano per il partito e ne traevano l’unico

sostentamento economico. La creazione e il consolidamento di una classe di funzionari era

funzionale al buon andamento della macchina organizzativa, ma allo stesso tempo costituiva un

handicap per la “circolazione delle élites”, in quanto i funzionari hanno una tendenza naturale alla

conservazione, nel senso che temono ogni cambiamento che possa mettere in discussione il loro

ruolo. Oggi, pur essendo aumentate il numero di persone che lavorano per il partito, molte di

queste svolgono solo funzioni organizzative e gestionali e non occupano più né cariche

interne né seggi nelle assemblee elettive. Questi funzionari del nuovo secolo sono nuovi

“professionisti della politica”, relativamente indipendenti rispetto al partito perché posseggono

conoscenze che possono essere utilizzate anche al di fuori di esso.

Per quanto riguarda il finanziamento, cioè la gestione delle entrate e delle spese, i bilanci dei

partiti sono cresciuti ovunque e sono per la maggioranza gestiti dal centro. Se ai tempi d’oro del

partito di massa esso

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
21 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/04 Scienza politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher hickou1 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi L'Orientale di Napoli o del prof Hanau Santini Ruth Maria.