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Le motivazioni hanno, così, due sorgenti: quella pulsionale e quella adattiva. Esistono
infatti motivazioni indipendenti dalle pulsioni sessuali: in ogni individuo sono presenti
valori, non di origine pulsionale, ma strettamente sociali, che hanno un fine adattivo. L’Io
viene ad avere motivazioni proprie ed autonome rispetto alle motivazioni pulsionali
dell’Es. è è
Il nucleo originale indifferenziato comune sia all’uomo che agli altri animali,
istintualmente organizzato ed orienta l’intero comportamento. Tuttavia, anche se
presenti fin dal principio, le funzioni psichiche dell’Io sono soggette ad una maturazione
biologica continua, in modo da promuovere un comportamento sempre più diretto alla
realtà. Si tratta, comunque, di uno sviluppo “pacifico”, libero dai conflitti psichici. La
è è
pulsione il movente dell’azione, ma l’Io a governarla.
Molti apparati dell’Io diventano, quindi, primariamente autonomi, perché funzionano in
modo svincolato dal conflitto e, soprattutto, poiché sono indipendenti dalle pulsioni e dalla
realtà esterna. Quindi, l’Io ha una sua autonomia primaria poiché, fin dalle origini, dispone
di un’energia psichica non pulsionale (chiamata proprio energia primaria). Tuttavia, essa
non costituisce la totalità energetica. Durante lo sviluppo, infatti, parte dell’energia dell’Es
viene desessualizzata e disaggressivata. Hartmann definisce neutralizzazione tale
trasformazione dell’energia, sia libidica sia aggressiva, mediate la quale, questa si
allontana dalla forma pulsionale e si approssima a quella non pulsionale. Così l’Io
formerebbe un’ulteriore riserva energetica da cui attingere per esercitare le proprie
funzioni in modo indipendente. Attraverso tale processo permanente, viene garantito il
funzionamento dell’Io e la protezione da elementi patologici (un malfunzionamento di
tale processo può portare, ad esempio, all’insorgenza di schizofrenia).
A causa del bisogno di adattamento, il mondo esterno acquista un significato sempre
è
maggiore. Così, l’ambiente medio-prevedibile, come Hartmann lo definisce, non solo
un buon ambiente biologico, ma anche sociale, in grado di far fronte alle singole
è
necessità. Esso costituito da una serie di condizioni in grado di promuovere almeno
è
uno sviluppo “medio” dell’individuo. Per un neonato l’ambiente medio-prevedibile una
madre sufficientemente buona, che assecondi l’adattamento.
Da un lato, l’uomo si adatta all’ambiente, modificandosi per meglio rispondere alle
esigenze della realtà; dall’altro, costruisce attivamente i nuovi ambienti ai quali adattarsi:
è
la comunità una creazione dell’uomo. La struttura sociale determina il successo o il
fallimento di un comportamento umano ai fini dell’adattamento (condiscendenza
sociale).
L’Io si stabilizza (concretizzando le proprie funzioni) verso la fine del primo anno di vita,
con il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà. Questa evoluzione fa sì che il
bambino sia in grado di differire, nel tempo, il conseguimento del piacere e la
è È
gratificazione risultante da esso (non più tutto e subito). così che anche
l’adattamento ne trae giovamento.
Gli interessi dell’Io operano secondo il principio di realtà, identificando le funzioni razionali
che dovrebbero progressivamente sostituirsi a quelle degli altri sistemi. L’uomo normale
è quello ben adattato, ovvero quello che ha trovato quell’equilibrio mentale tra le istanze
che favorisca l’adattamento.
Grazie alle teorizzazioni di Hartmann, si modifica radicalmente la concezione psicanalitica
dello sviluppo individuale. Da esse si sviluppa una vera e propria corrente indipendente,
definita Psicologia dell’Io, che si occupa proprio dello studio dell’Io come rappresentante
della realtà. Si tratta di una psicologia fondata sul mondo reale che vede la
sopravvivenza come il fine ultimo dell’adattamento alla realtà.
Tuttavia, successivamente, Hartmann rivide ulteriormente le sue teorie, affermando che
vi siano alcuni scopi che vanno oltre il bisogno di adattamento e di sopravvivenza (ad
esempio, il senso del dovere) e che non hanno neanche origine pulsionale. Esiste quindi
una funzione sovraordinata tesa alla ricerca dell’armonia e dell’equilibrio interni.
René A. Spitz
Psicanalista e pediatra svizzero, lavorò per molti anni negli orfanotrofi. Ciò gli permise di
osservare i bambini direttamente sul campo, a differenza di Freud che costruì la sua
intera teoria ricostruendo l’infanzia da resoconti verbali dei suoi pazienti adulti; inoltre, le
osservazioni su queste persone, vittime di patologie particolari, sono poco generalizzabili,
in quanto viziate dalle conseguenze dei problemi psicologici.
Dunque, lavorando a contatto con i bambini orfani, si accorse di tutta una serie di
problemi che insorgeva in questi casi. In particolare, egli valorizzò il ruolo formativo che
è
la madre ricopre nello sviluppo del bambino. La madre una figura importante e decisiva
è è
nella vita del bambino: non solo colei che se ne occupa, non solo l’oggetto della sua
scarica libidica, ma un bisogno primario in sé.
I bambini negli orfanotrofi non si sviluppavano in modo ottimale. Tuttavia, in ogni
camerata, ce n’era sempre uno si sviluppava molto meglio dei suoi compagni; in
particolare, il bambino più sano era sempre quello che dormiva affianco alla porta:
quando l’infermiera entrava nella camerata, rivolgeva tutta la sua attenzione su di lui e
poi andava ad occuparsi degli altri bambini, portandolo con sé. Questo bambino
sviluppava, quindi, un rapporto affettivo con la figura dell’infermiera, a riprova che
l’“attaccamento” sia un bisogno primario. Una separazione dalla figura materna dopo
una gratificante relazione nei primi mesi di vita ha effetti devastanti: proteste,
depressione, rifiuto del cibo e dei contatti con l’esterno...
Secondo Spitz, ciò che conta sono gli scambi affettivi che si instaurano nella relazione
è
tra madre e bambino. Il suo scopo quindi quello di comprendere come evolve il
rapporto oggettuale che si instaura tra loro. E il fatto che egli si affidi principalmente
all’osservazione diretta fa sì che anche la psicanalisi acquisisca i suoi primissimi dati
sperimentali, procedendo verso un orientamento più scientifico.
è
Il carattere della madre molto importante. Spitz pone l’attenzione su come l’oggetto
reale che incarna la figura materna sia decisivo nello sviluppo del bambino. La madre
è è
non più pensata come fonte di gratificazione, il cui unico ruolo quello di permettere la
scarica pulsionale, anche se per Spitz resta comunque un oggetto libidico.
è
La direzione che lo sviluppo intraprende da uno stato di non differenziazione ad uno
è
stato di differenziazione del bambino dalla mamma. Difatti, il bambino con la madre in
uno stato fusionale e, gradualmente, se ne differenzia. All’inizio, la figura materna
funziona da Io ausiliario: instaura il primo vero dialogo con il neonato, attraverso schemi
comunicativi fisiologici (schemi interattivi): la buona madre deve essere in grado di
entrare empaticamente in contatto con le esigenze del bambino; senza tale dialogo “il
è
bambino non capace di vita”. L’ambiente esterno (in questo caso, la madre) diventa
essenziale per il pieno sviluppo psichico.
L’Io, progressivamente, organizza le proprie funzioni nella relazione con la madre. Si
tratta di un processo che si articola in tre livelli di organizzazione dell’Io, tre stadi, dalla
non differenziazione alla differenziazione dalla madre. Ogni livello presenta una
è
particolare strutturazione dell’Io ed caratterizzato dalla presenza di specifici
è
comportamenti, definiti indicatori, poiché indicano che avvenuta la formazione di
organizzatori psichici, che l’Io ha raggiunto una strutturazione tipica per un certo stadio
dello sviluppo.
Stadi dell’organizzazione psichica:
1) Stadio preoggettuale (0-2 mesi). Non esiste un oggetto definito poiché non c’è
differenziazione: madre e bambino sono un tutt’uno. Il neonato assolve a funzioni di tipo
è
fisiologico e non psicologico (cfr. Narcisismo primario in Freud): una situazione di
completa passività, nella quale non viene ricevuto alcuno stimolo proveniente dal mondo
è
esterno. Il segnale della nutrizione avvertito esclusivamente nel momento della fame (il
è
capezzolo conosciuto solo quando inserito nella bocca del bambino). Poi,
gradualmente, iniziano a formarsi le prime tracce mnestiche per il ripetersi degli eventi,
ed il bambino comincia a riconoscere alcune rappresentazioni significative e a reagire ai
volti e agli altri stimoli esterni.
2) Stadio dell’oggetto precursore. Si ha il passaggio alle prime tracce di differenziazione
grazie all’acquisizione di alcune facoltà (memoria, percezione, motricità, attenzione...).
Inoltre, avviene la comparsa del sorriso quando al piccolo si presentano frontalmente dei
volti in movimento: il bambino sorride ad una forma privilegiata in risposta ad uno
stimolo esterno. Per far sì che ciò avvenga, deve necessariamente essere presente un
Io rudimentale, come organizzatore della vita psichica che sia in grado di utilizzare le
principali funzioni mentali. Tutto ciò denuncia una graduale apertura verso il mondo
è
esterno. Il sorriso la prima risposta sociale, il primo indicatore della vita psichica (2-3
è
mesi): esso sintomo di una prima intenzionalità, dell’inizio del pensiero, delle relazioni
sociali, dell’empatia.
Lo stadio dell’oggetto precursore deve il suo nome proprio al fatto che il bambino sorride
in risposta ad un certo oggetto, che ha una specifica forma: il volto. Si tratta comunque
di un sorriso “indifferenziato”, in quanto il neonato non sorride ad uno specifico volto, ma
è
piuttosto ad un immagine. Altra attività importante per il bambino in questa fase
l’imitazione, in forma ludica, dei propri suoni. Qua, ha inizio un’altra forma di dialogo, a
livello psicologico, con la figura materna. Il bambino, ad un certo punto, comincia a
discriminare e selezionare il volto materno tra tutti gli altri. A questo punto, insorge
l’angoscia verso l’estraneo; in questa fase, il pianto rappresenta il secondo indicatore
dello sviluppo psichico (6-8 mesi) e denuncia la delusione del bambino quando non gli si
presenta il solito volto. Inoltre, il