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IMPLICAZIONI DI ESISTENZA.
La presenza di questo isomorfismo lascia pensare ad un parallelismo tra il gioco di finzione ed il
resoconto di stati mentali per quel che riguarda il sistema rappresentazionale coinvolto.
Stando alla teoria meta-rappresentazionale di Leslie, una mate rappresentazione ha la seguente
struttura: “Agente-Relazione Informazionale-espressione” (le virgolette stanno ad indicare la
temporanea sospensione dei nessi di riferimento, verità ed esistenza, motivo per cui si parla di
“espressioni distaccate”), laddove:
- agente è, tendenzialmente, una persona;
- espressione è una rappresentazione primaria;
- Relazione Informazionale funzioni computazionali che mettono in relazione l’agente con
l’espressione distaccata e la rappresentazione primaria (ex. FINGE e PENSA).
La finzione e la percezione di una situazione, quindi, condividono un medesimo codice
rappresentazionale e l’abilità di fingere consiste nella creazione di una funzione a tre termini di tipo
fingo(a, “e ”, e ), in cui:
i j
- a agente;
- “e ” espressione distaccata;
i
- e rappresentazione primaria.
j
La nozione di distaccamento (e quindi l’uso delle virgolette) è necessaria, contrariamente a quanto
si potrebbe pensare aderendo al modello con marcamento della falsità, secondo cui la proposizione
inclusa è per forza falsa: mamma FINGE che (la tazza vuota contenga acqua) , ad ex., equivale in
falsa
linea teorica a mamma FINGE che (la tazza vuota non contenga acqua) e quest’ultima asserzione
vera
non può essere considerata corretta. C’è bisogno, quindi, di altri meccanismi per giustificare il
venire meno delle implicazioni delle rappresentazioni primarie. Un altro punto critico della teoria
riguarda il fatto che, come sostenuto da Vygotskij, non vi è ragione di pensare che non si possa
fingere che P sia P: il bambino che finga di rovesciare dell’acqua da una tazza e di tenerla poi in
mano mentre è vuota, ad ex., ha effettivamente tra le dita una tazza senza contenuto. L’abilità di
fingere, riassumendo, dipende da un meccanismo di meta-rappresentazione, laddove queste
equivalgono a resoconti di stati mentali. Tale meccanismo di distaccamento, però, presenta due
limiti quando si parla di finzione precoce e cioè:
- può essere utilizzato solo in determinate condizioni, come dimostrato dal fatto che il
bambino viene incoraggiato a fingere, non con esortazioni dirette, ma attraverso una
metacomunicazione fatta di specifici manierismi (sorrisi, occhiate e simili). Ci sono, poi,
altri elementi del contesto sociale che possono agevolare o meno la messa in atto della
finzione, come la familiarità con il partner di gioco;
- le meta-rappresentazioni che derivano dal distaccamento hanno dei limiti dal pdv espressivo,
nella misura in cui non rendono giustizia alla differenza esistente tra penso a X, il pensiero
di X e pensare ad X.
Uno studio interessante è stato condotto da Perner e collaboratori ed ha permesso di capire come la
comprensione delle proprie FC possa essere indipendente da quella delle FC altrui: a bambini di 3
anni è stata mostrata una scatola di Smarties e si è chiesto loro di indovinare che cosa ci fosse
dentro, mettendoli di fronte ad un evento imprevisto, ovvero poi mostrando che il contenuto era una
matita. E’ stato domandato, quindi, che cosa avrebbe pensato un altro bambino fuori dalla stanza: la
maggior parte dei piccoli, pur essendo consapevole dei propri errori di previsione, ha attribuito una
credenza reale e non falsa a quello all’oscuro dei fatti ed anche altri Autori hanno trovato evidenze
simili. Nel bambino di 3 anni, quindi, non manca la comprensione della FC (che può, infatti, essere
anche verbalizzata), bensì la capacità di cogliere il nesso causale tra le credenze ed il mondo reale.
Può capitare che il bambino di 3 anni consideri gli stati mentali come l’effetto di eventi concreti e,
allo stesso tempo, causa di altre cose altrettanto concrete, come il comportamento: questa
distinzione tra il reale (osservabile) ed il mentale (presente “solo nella testa”) rende difficile, in un
primo momento, capire quanto gli stati mentali possano effettivamente impattare sul mondo reale,
che a sua volta vi esercita un’influenza notevole; una volta che raggiunge questo genere di
comprensione, il piccolo comincia ad interrogarsi sul nesso tra gli eventi concreti e quelli mentali.
Partendo dal presupposto che già a 3-4 anni il bambino disponga di buone conoscenze inerenti la
meccanica e la fisica, si può ipotizzare che la ToM si sviluppi come risultato dell’unione tra la
visione causale del mondo concreto da esse derivata ed una comprensione di natura più astratta ed
inerente la dimensione del mentale. Questa associazione potrebbe essere resa possibile proprio dalla
percezione:
- 2-3 anni le relazioni esistenti tra oggetti ed eventi del mondo fisico sono comprese grazie
alla visione causale ed anche il comportamento delle persone viene sempre ascritto ad
elementi concreti o, eventualmente, a stati interni (bisogni fisiologici). Esiste una primitiva
“teoria della mente”, ma viene utilizzata per lo più al fine di creare rappresentazioni di stati
mentali in situazioni particolari, come il gioco di finzione;
- 4 anni i due sistemi intuitivi di comprensione (visione causale e “teoria della mente”)
confluiscono andando a strutturare una vera ToM, che vede gli stati mentali come possibili
cause ed effetti dei comportamenti.
DAI DESIDERI ALLE CREDENZE: L’ACQUISIZIONE DI UNA TEORIA DELLA
MENTE
Per quel che concerne la comprensione degli stati mentali altrui, si fa riferimento a due aspetti della
mente, che sono i seguenti:
à
- ipotetico capacità di distinguere ciò che è mentale da ciò che è concreto;
à
- causale comprensione degli stati mentali come possibili cause di comportamento e loro
distinzione in credenze e desideri.
La psicologia del senso comune si erge sulla triade “credenze-desideri-azioni”, pur inglobando
anche elementi diversi, come la percezione e gli stati interni. In generale, mentre i bisogni
fisiologici e le emozioni di base portano ai desideri, le esperienze percettive conducono alle
credenze. Le azioni, invece, sortiscono degli effetti nel mondo con delle reazioni, che possono
essere dipendenti dai desideri (mi sento felice o triste per qualcosa che ho fatto) o dalle credenze
(qualcosa va ad avvallare o falsificare una mia idea pregressa, facendomi sentire o meno stupit*).
Bambini di 3 anni sono stati sottoposti ad un compito di credenza standard, in cui si è raccontata la
vicenda di un personaggio che, avendo perso il proprio cane e volendo ritrovarlo, decida di cercarlo
e pensi di trovarlo più probabilmente in un posto piuttosto che in un altro; la domanda posta dai
ricercatori riguardava in quale dei due luoghi il protagonista della storia avrebbe cercato l’animale.
Per superare la prova, i bambini dovevano unire la credenza con il desiderio e rispondere, quindi,
che il soggetto avrebbe cercato in entrambi i luoghi, pur essendo convinto di avere più probabilità di
successo in uno solo dei due: nella maggior parte dei casi, sono state ottenute risposte corrette. Un
altro studio si è avvalso di un compito di FC: “Il cagnolino di Sam è nel garage; Sam pensa che il
suo cagnolino sia sotto la veranda”; una minoranza di bambini ha risposto correttamente. I risultati
ottenuti mostrano come i piccoli di 3 anni siano in grado di comprendere le credenze ma non le FC.
Per quanto riguarda, invece, il trovare delle spiegazioni per il comportamento altrui, è stato condotta
una ricerca interessante coinvolgendo adulti e bambini di 3 e 4 anni ai quali sono state presentate tre
vicende: à
- item neutrale “Ecco Giovanna. Giovanna sta cercando il suo micio sotto il piano. Perché
pensi che lo faccia?”; à
- item con desiderio anomalo “Ecco Giovanna. Giovanna odia le rane. Ma Giovanna ora
cerca la rana sotto il piano. Perché pensi che lo faccia?”;
à
- item con credenza anomala “Ecco Giovanna. Giovanna ora cerca il suo micio. Il micio è
sotto la sedia, ma Giovanna lo cerca sotto il piano. Perché pensi che lo faccia?”.
La maggior parte del campione ha giustificato il comportamento di Giovanna sulla base del
desiderio. Sono state sottoposte, quindi, altre tre storie, tutte caratterizzate da credenza anomala: in
questo caso, gran parte dei bambini ha giustificato il comportamento del protagonista facendo
riferimento alla credenza. Da questi risultati appare evidente come i bambini di 3 anni siano in
grado di attribuire il comportamento di una persona tanto a desideri quanto a credenze: mentre i
primi lo motivano, le seconde lo strutturano.
Secondo Wellman, però, i 3 anni segnano il limite minimo per la comprensione delle credenze: al di
sotto di tale età, esiste solo una psicologia dei desideri. Il Comportamentismo attribuisce il
comportamento umano ad un paradigma di tipo S-R, mentre le psicologie degli stati interni lo fanno
risalire a delle forze interne all’organismo (come le pulsioni) ed il Cognitivismo a delle
rappresentazioni: in questo senso, i bambini di 3 anni sono cognitivisti, mentre quelli di 2 possono
essere considerati dotati di una psicologia degli stati interni. Mentre l’attribuzione di una credenza
ad una persona rende necessaria la presenza di una rappresentazione della stessa, l’attribuzione di
un desiderio è decisamente più semplice e si basa solo sulla visione dell’Altro come in preda ad un
proprio stato interno che spinge verso un oggetto esterno (ex. il desiderio di cibo): questo tipo di
psicologia del desiderio può tanto spiegare quanto prevedere alcuni tipi di comportamento. Il
ricorso dei bambini di 2 anni alla psicologia del desiderio è stato valutato con uno studio in cui si è
chiesto ad un campione di prevedere la reazione emotiva di un personaggio in tre situazioni:
1. cerca qualcosa che vuole e lo trova;
2. non trova quel che cerca;
3. cerca qualcosa che vuole, ma trova un’altra cosa.
Questo tipo di compito è stato risolto con grande facilità dagli stessi bambini che non sono stati in
grado di risolvere le prove inerenti le credenze, il che fa comprendere come, al secondo anno d’età,
sia presente solo una psicologia del desiderio. Risultati analoghi sono stati riscontrati, infine, grazie
ad uno studio longitudinale che ha coinvolto bambini dai 2 ai 5 anni e che è stato condotto da
Wellman attraverso la trascrizione di enunciati. L’obiettivo era valutare l’utilizzo con referenza
psicologica (ovvero per parlare di stati mentali propri od altru