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I pazienti non sono sempre chiari nella loro comunicazione; le competenze comunicative del medico servono sia per
recepire i contenuti trasmessi dal paziente, sia per usare una comunicazione più efficace. Quando i pazienti sono più
chiari nell'espressione dei sintomi e delle richieste, i medici hanno maggiore fiducia verso di essi e sono più collaborativi;
è quindi opportuno intervenire per aiutarli a sviluppare maggiori capacità comunicative, imparando a strutturare il
pensiero e far arrivare meglio le informazioni all'interlocutore. Gli interventi di training finalizzati a migliorare la
comunicazione attraverso un miglior strutturazione dell'esperienza della malattia sono risultati essere utili in quanto
comportano un maggior coinvolgimento del paziente nelle decisioni per la cura e migliori livelli di adherence; inoltre, vi
sono ricadute positive rispetto alle condizioni fisiche, miglior controllo del dolore e miglioramento dello stress.
La comunicazione verbale.
La qualità della comunicazione verbale è essenziale per avviare una buona relazione con il paziente e i suoi familiari. Per
questo, non si deve mai usare un linguaggio molto tecnico, ma uno semplice e non ambiguo. Il paziente per avere una
buona adherence, deve sempre capire cosa sta succedendo e il perché delle terapie, quindi al termine del colloquio il
medico deve accertarsi che il paziente abbia capito e l'uso del riassunto può essere utile.
Tecniche specifiche di conduzione del colloqui:
1. Tecniche di apertura: riguardano il modo in cui vengono poste le domande; possono essere:
- domande aperte: il paziente può scegliere gli argomenti più importanti; vengono così messi in luce gli aspetti che lui
ritiene più importanti.
- domande chiuse: raccoglie informazioni chiare e organizzate, ma si toglie spazio al paziente.
Un buon colloquio dovrebbe iniziare con una domanda aperta, e solo in seguito continuare con le domande chiuse per
ottenere informazioni dettagliate sui sintomi; si dovrebbe infine chiudere con una domanda aperta per verificare se vi
sono altre informazioni che il paziente vuole comunicare, oppure dubbi o chiarimenti.
2. Tecniche di chiarificazione: hanno l'obiettivo di comprendere il significato delle parole del paziente per individuare i
sintomi, interpretare e riordinare il racconto.
- Specificare: se il paziente è coartato, non si esprime in modo spontaneo o in modo vago, l'interlocutore deve rivolgere
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domande chiuse per ottenere informazioni.
- Generalizzare: se il paziente porta un solo esempio e non si riesce a capire se il sintomo rientra in un quadro più ampio.
- Verificare i sintomi: se il paziente non è chiaro nel descrivere la sua patologia, il medico suggerisce una serie possibilità
per vedere se il paziente li ha avuti o no.
- Rispecchiare: si invita il paziente a riflettere sulla sua condizione a partire da problematiche che lui stesso ha
introdotto.; induce il paziente a riflettere su come si sente e su come il sintomo ha impattato sulla sua quotidianità
- Porre domande guida: si suggerisce al paziente una risposta.
- Sondare: quando s vuole verificare l'integrità del pensiero logico su un paziente che sembra molto confuso
- Correlare: quando un paziente mostra delle connessioni illogiche, gli si evidenzia la correlazione per valutare la risposta.
- Riassumere: migliora il livello di comprensione del paziente rispetto al colloquio tenuto
- Verificare: alla conclusione del colloquio, chiedere al paziente di ripetere un concetto espresso per capire se ha capito.
3. Tecniche di conduzione: utilizzano modalità direttive per poter passare da un argomenti all'altro in modo da riuscire a
condurre il colloqui. Tra essi vi sono:
- Invito a continuare: incoraggia il paziente a proseguire il suo racconto; il medico usa modalità gestuali, mimiche per
fargli capire che è interessato a quello che sta dicendo
- Enfatizzare: sottolineare, ripetendo con un tono enfatizzante alcuni termini o frasi usati per indurre il paziente a
approfondirli.
- Ridirezionare: riportare al paziente al discorso principale.
- Continuazione: incoraggia il paziente a continuare nel racconto e a indicargli la direzione da seguire.
Se il paziente mostra delle resistenze su alcuni argomenti non bisogna forzarlo, ma bisogna lasciargli del tempo; è
importante comunque tenere la comunicazione aperta. Avere una buona relazione è utile per sciogliere le resistenze e
quindi farsi raccontare dal paziente i propri vissuti, anche quelli che fa fatica a portare. Il paziente può avere difficoltà a
dire determinate cose per diversi motivi, tra cui: presenza del terzo, paura che il medico riveli le cose ad altri, come la
famiglia, l'agenda del paziente, credenza che il sintomo non sia cosi importante, imbarazzo..
Possibili strategie per affrontare la resistenza sono:
- rispettare la privacy, per esempio facendo uscire possibile terzo nella stanza;
- rivolgere massima attenzione alla qualità della relazione;
- esprimere accettazione e quindi astenersi de giudizi morali;
- confronto, cioè mettere di fronte il paziente ai comportamenti e alle reazioni che esprimono le sue resistenze;
- confronto sulle conseguenze, utile con i pazienti non collaboranti; si sottolineano le conseguenze positive che il
cambiamento del comportamento può avere;
- spostamento: implica l'affrontare le situazioni da diverse angolazioni, per esempio scegliendo di riportare un effetto
secondario ma che per quel paziente ha maggior impatto; bisogna avere un pensiero elastico per trovare altri modi per
affrontare quei temi che non si possono affrontare facilmente, arrivandoci in altri modi.
La comunicazione non verbale.
A volte l'importanza della comunicazione non verbale viene messa in secondo piano, ma è importante osservare ed
esplicitare l'incongruenza tra l'atteggiamento del paziente e quanto egli dice. È inoltre necessario controllare i propri
atteggiamenti non verbali e comunicare esplicitamente se qualcosa può risultare ambiguo.
- Espressioni facciali: sono uno strumento di regolazione emotiva e sociale.
- Sguardo: guardare negli occhi l'interlocutore facilita la comunicazione e permette di cogliere gli stati emotivi di chi si ha
di fronte. Emozioni positive si accompagnano a un maggior contatto visivo, l'evitamento dello sguardo può essere un
segno di sottomissione, mentre il fissare per molto tempo può essere segno di sfida, paura o seduzione.
- Postura o gestualità: le informazione che se ne ricavano integrano e modulano quelle che derivano dalle espressioni del
volto e della voce. Indici rilevanti sono l'aspetto e la tonicità del fisico, la prossemica (distanza fisica), l'orientamento
reciproco. Ad esempio, per un paziente allettato il sedersi sul letto di fianco a lui è un segnale positivo attraverso cui il
medico comunica la volontà di dedicargli tempo e la propria disponibilità all'ascolto.
- Segnali vocali: possono essere verbali e non verbali, tra cui tono della voce, intensità, tempo e ritmo, qualità della voce.
- Silenzio: può indicare a un segnale di elaborazione, una resistenza, un'aggressione passiva, un vuoto mentale.. in questi
casi le tecniche di facilitazione sono molto utili. Alcune persone possono avere difficoltà a stare in silenzio perché
genera ansia e perché ha a che fare con una tensione emotiva e permette di non fare emergere le cose che non vi vuole
fare emergere, che non si vogliono pensare. Un altro tipo di silenzio è quello che può seguire la comunicazione della
diagnosi al paziente; esprime una risposta emotiva intensa e svolge la funzione di creare uno spazio per elaborare ciò
che è stato detto. Il pianto è una reazione che ha una funzione non solo comunicativa, ma è anche una risposta di
distress e quindi riequilibratrice. Non riuscire ad accogliere il silenzio dei familiari preclude loro la possibilità di restare
in contatto con le proprie emozione e non permette al medico la condivisione di emozioni intense. . Solo il 7%dei
medici usa il silenzio come strumento di comunicazione 35
La comunicazione della diagnosi.
Modelli comunicativi:
Una linea etica generalmente condivisa nella comunicazione della diagnosi è quella basata sull'opportunità di fornire al
paziente tutte le informazioni che egli è in grado di ricevere ed elaborare e di facilitare la sua partecipazione al processo
decisionale nella misura che egli ritiene adeguata. La comunicazione deve quindi essere finalizzata a permettere al
paziente di prendere delle decisioni in modo consapevole; perché ciò sia possibile, è necessario comunicargli la diagnosi
e il grado di avanzamento della malattia, tenendo conto della sua condizione psicologica, della sua volontà di essere
informato e dei meccanismi di difesa e coping a cui può far ricorso. Vi sono tre principali modelli comunicativi:
- Modello della comunicazione completa;
- Modello della non-comunicazione;
- Modello della comunicazione personalizzata, probabilmente il più flessibile e valido.
Questa categorizzazione non è rigida, perché le modalità comunicative dei medici sono influenzate da fattori ambientali
e personali, dalle leggi e dalle regole istituzionali. In Italia negli ultimi 20 anni i cambiamenti delle regole professionali e
delle aspettative hanno portato a una maggiore disponibilità a comunicare più apertamente. Quando i familiari chiedono
di non comunicare la diagnosi al paziente, sebbene egli sia in grado di intendere e volere, la maggior parte dei medici
cerca di far capire loro l'importanza sul benessere del paziente di una comunicazione aperta. Quando si tratta della
prosecuzione delle cure anche quando sono scarsamente efficaci, le strategie più usate sono quelle di spiegare la
situazione e offrire una serie di opzioni, spiegare la situazione e valutare in che misura il paziente è in grado di affrontarla
e infine dire che la chemioterapia non è più efficace e suggerire cure palliative sono quando il loro proseguimento può
essere dannoso.
È buona norma che il medico chieda sempre direttamente al paziente se desidera che gli sia comunicata la diagnosi o
quanto attivamente vuole essere coinvolto nella terapia. Non tutti i malati, infatti, vogliono essere messi al corrente e
molti attivano strategie di negazione del problema. Ricevere la diagnosi è un diritto del malato, in quanto gli permette di
migliorare il controllo della situazione di decidere come vivere la propria quotidianità. Qualora il medico decida di non
comunicare la diagnosi al paziente, la scelta deve essere motivata. La comunicazione deve essere intesa come processo,
costituito da diverse fasi che richiedono una serie di accorgimenti che permettono al paziente di cogliere ed elaborare le
informazioni ricevute. Il tempo necessario per elaborare la notizia è soggettivo e