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PARTE QUARTA – MOVIMENTO, OGGETTI, CONCETTI E PAROLE
CAPITOLO 7 – MOVIMENTO, OGGETTI E CONCETTI
I concetti sono le unità di base della conoscenza, su cui si fondano le categorie. Molte teorie
afferenti alle scienze cognitive affermano un’indipendenza di azione, percezione e cognizione; altre,
al contrario, legano tra loro questi tre costrutti, proponendo la considerazione di una cognizione
embodied. Sono stati formulati, quindi, dei modelli che descrivono i concetti in quanto fondati su
azione e percezione e consistenti non in rappresentazioni o codici simbolici, bensì in riattivazioni di
pattern di attività neurale a fronte della percezione dell’oggetto a cui si riferiscono. I concetti hanno
lo scopo di facilitare l’interazione con ciò che si trova nell’ambiente esterno ed in questo senso il
loro fine ultimo è l’azione. Secondo Glenberg, essi sono pattern di azione possibile e guidano il
comportamento motorio sulla base delle caratteristiche degli oggetti cui si riferiscono: per ex., la
visione di una tazza con il manico rivolto verso destra induce ad afferrare quest’ultima con la mano
omolaterale. Barsalou, invece, pensa che la rappresentazione dei concetti avvenga per mezzo di
simboli percettivi, che richiamano le precedenti esperienze vissute con gli oggetti cui si rivolgono:
questo consente di rispondere in modo flessibile agli stimoli ambientali e non automaticamente ed
in modo stereotipato.
Stando alle teorie embodied della conoscenza, i concetti astratti riferiti, per ex., ad ideali si formano
da schemi motori ed immaginativi e per analogia con precedenti esperienze in prima persona. In
uno studio è stato posto ai partecipanti il quesito “L’incontro di mercoledì prossimo è stato spostato
di due giorni. In che giorno si terrà?”: si è visto che la risposta dipende dalla percezione che si ha
del tempo e del suo scorrere in quel determinato momento, il che è influenzato anche dall’attività in
cui si è coinvolti. Alcuni soggetti hanno assunto una prospettiva ego-moving (“Venerdì”), pensando
al proprio avanzare rispetto al tempo; altri, al contrario, han risposto secondo una visione time-
moving (“Lunedì”), intendendo il tempo come un qualcosa in movimento verso il sé. Più in
generale, si è visto che la prospettiva ego-moving è facilitata dal coinvolgimento in attività quali
fare la fila, iniziare o concludere un viaggio, mentre quella time-moving è più frequente quando si
aspetta qualcosa, per ex.. Anche la nostra concezione del tempo, pertanto, risulta influenzata
dall’esperienza motoria e questo va a provare un fondamento concreto della conoscenza astratta.
Gibson ha introdotto il concetto di “affordance” per far riferimento alle caratteristiche degli oggetti
che ci forniscono degli indizi su come questi vadano utilizzati: non si tratta, in ogni caso, di
proprietà intrinseche all’oggetto, dal momento che esse dipendono dalla nostra interazione con esso.
Un punto cruciale riguarda la possibilità che le affordance siano in grado di guidare il
comportamento anche senza il coinvolgimento di una conoscenza concettuale: questo metterebbe in
dubbio l’utilità stessa dei concetti ed è la posizione assunta da Gibson, secondo cui non è necessario
il riconoscimento di un oggetto affinché sia possibile il suo utilizzo.
In proposito, è importante introdurre le teorie inerenti il funzionamento del sistema di elaborazione
degli stimoli visivi, che adempie ai compiti di riconoscimento ed elaborazione spaziale degli
oggetti. Le proposte teoriche sono le seguenti:
- si distinguono una via visiva ventrale (via del What, che va dal l. occipitale al temporale e
permette il riconoscimento) ed una via visiva dorsale (via del Where, che va dal l. occipitale
al parietale e permette la collocazione spaziale);
- Milner & Goodale la via ventrale permette il riconoscimento visivo, mentre quella
dorsale guida l’azione ed è la via dell’How. Mentre la prima si attiva quando si necessita di
una rappresentazione sufficientemente stabile degli oggetti, la seconda interviene nel caso in
cui si rendano necessarie azioni immediate;
- Jeannerod la rappresentazione degli oggetti può essere pragmatica (motoria) o semantica
(permette di accedere al significato). La possibile dissociazione tra conoscenza dell’oggetto
e suo utilizzo trova un riscontro nei casi di agnosia visiva: i soggetti colpiti non sanno
riconoscere gli oggetti, ma li collocano nello spazio in modo corretto (deficit a carico della
via del What ma non del Where).
Il passaggio dalla percezione ed elaborazione degli stimoli visivi alla messa in atto di un
comportamento motorio può avvenire, secondo Humphreys, attraverso due vie:
- diretta mediata dal sistema dorsale;
- indiretta passando per il l. temporale, raggiunge il parietale. Richiede l’accesso alla
conoscenza concettuale ed il riconoscimento dell’oggetto.
Alcuni Autori mettono in dubbio il ruolo della via diretta, relegandola a funzioni molto semplici
quali il riconoscimento di oggetti nuovi o molto semplici; a fronte di oggetti complessi, infatti,
interverrebbe il sistema semantico. Quest’ultimo è necessario non tanto per afferrare degli oggetti,
quanto per utilizzarli in modo adeguato.
Studi di neuroimaging han permesso di scoprire che la percezione visiva di un oggetto va ad
attivare l’informazione motoria, tale che è come se si simulasse mentalmente un suo utilizzo: le
stesse aree od altre adiacenti restano attive anche quando lo si nomina o si interagisce con esso.
L’informazione motoria (che fa riferimento sia alla manipolazione che all’uso finalizzato di
qualcosa), comunque, si attiva solo quando gli oggetti percepiti sono manipolabili, senza alcuna
differenza tra quelli naturali ed artificiali: sembra, pertanto, che la categorizzazione non avvenga in
modo rigido, ma si basi sull’esperienza di uso manipolativo degli oggetti. La corrispondenza tra il
knowing how ed il knowing what for (ovvero tra la conoscenza manipolativa e quella funzionale di
un oggetto) non può essere data per scontata ed il primo viene attivato precocemente rispetto al
secondo, che richiede la comprensione della forma e della funzione affinché ci sia un’azione. Studi
di NP han rilevato una doppia dissociazione tra l’informazione sull’azione e quella sulla funzione di
un oggetto: nei pz con aprassia, per ex., vi è il riconoscimento dell’oggetto e della sua modalità di
utilizzo, ma manca la capacità manipolativa; specularmente, nei pz con agnosia si apprezza una
buona abilità di manipolazione in assenza di riconoscimento della funzione dell’oggetto.
Generalizzando, comunque, si può asserire che i concetti relativi agli oggetti siano dei pattern di
azione potenziale.
Studi comportamentali hanno dimostrato, a loro volta, che la percezione visiva può attivare il
sistema motorio ed una certa attenzione è stata devoluta alla comprensione delle nostre modalità di
conoscenza e categorizzazione degli oggetti. E’ emersa, per ex., la preferenza costante per la forma
(shape bias), che fa la sua comparsa a partire dal secondo anno e che consiste nell’attribuire uno
stesso nome ad oggetti di forma simile. Gli stimoli visivi, perciò, sono riconosciuti in primo luogo
sulla base delle loro parti costitutive, poi della loro forma e, quindi, di caratteristiche più
superficiali, come il colore. L’importanza della forma ha a che fare con la sua influenza sul
possibile utilizzo degli oggetti, il quale è la base per la formazione delle categorie.
Ricerche condotte con paradigmi di compatibilità hanno permesso di scoprire che la percezione
visiva degli oggetti va ad attivare delle microaffordance, che sono alla base della messa in atto di
azioni semplici, come afferrare l’oggetto. La forma e l’orientamento spaziale di un oggetto rispetto
al corpo, per ex., guidano i movimenti di raggiungimento e prensione dello stesso.
Anche il ricorso al priming ha portato ad evidenze a favore di un nesso tra percezione ed azione; in
uno studio è stato utilizzato, come prime, un oggetto orientato in senso congruente od in- rispetto ad
una barra che doveva essere, successivamente, afferrata: nel primo caso, i tempi di risposta sono
risultati molto più brevi che nel secondo. Un dubbio irrisolto riguarda, però, la possibilità o meno di
attivazione del sistema motorio in presenza di un solo stimolo visivo e non anche di un prime in
grado di generare una pre-attivazione dello stesso.
CAPITOLO 8 – MOVIMENTO E COMPRENSIONE DEL LINGUAGGIO
Due vie conducono all’azione: quella diretta dalla visione all’azione (guidata dal sistema dorsale) e
la via indiretta visione-semantica-azione (guidata dal sistema ventrale). Studi di neuroimmagine
hanno evidenziato come tanto le parole quanto le figure siano in grado di attivare le regioni
cerebrali deputate all’elaborazione dell’informazione senso-motoria (cortex frontale e prefrontale sx
dorso- e ventrolaterale e l. parietale inferiore), con l’unica differenza che le prime hanno un
riverbero esclusivamente sull’emisfero sx, mentre le seconde arrivano a coinvolgere anche il dx. In
uno studio comportamentale di associazione verbale si è poi visto che le figure di oggetti
manipolabili e non portano più spesso all’emissione di verbi rispetto alle parole inerenti stimoli con
le stesse caratteristiche; parole facenti riferimento ad oggetti manipolabili, però, richiamano più
spesso i verbi in confronto a parole inerenti oggetti non manipolabili. Sono stati indagati, anche, i
correlati neuro-anatomici dei nomi e dei verbi e mentre alcuni studiosi fanno notare come lesioni in
aree diverse vadano a compromettere l’utilizzo degli uni o degli altri, ci sono degli Autori che
sostengono che non possano esistere delle differenze di localizzazione cerebrale anche per quel che
riguarda le varie strutture grammaticali: i primi ritengono che i nomi abbiano sede nei l. temporali
ed i verbi nella cortex frontale; i secondi sono a sfavore di una differenziazione e sostengono che il
deficit ascrivibile a lesioni diverse per le due categorie grammaticali abbia a che fare, in realtà, con
la semantica, come dimostrato dal fatto che verbi e nomi facenti riferimento all’azione attivano
risposte che non sono topograficamente molto distanti.
Gli effetti di compatibilità che sono stati osservati in alcuni studi e che riguardano la prensione
(determinata da forma e grandezza) ed il raggiungimento (influenzato dall’orientamento spaziale)
degli oggetti sembrano essere dovuti alla presenza di associazioni tra gli oggetti e le possibili
interazioni con essi stoccate nella memoria LT. Il fatto però che questi effetti d