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QUALITA’ DELL’ATTACCAMENTO LUNGO L’ARCO DELLA VITA
Se con attaccamento selettivo ci riferiamo a tutte quelle relazioni che riducono l’ansia e che offrono
protezione emotiva in situazioni di stress, è evidente che esso interessa tutto l’arco della vita, fino all’estrema
vecchiaia.
La difficoltà sorge quando si vuole misurare le qualità dell'attaccamento selettivo negli anni successivi
all’infanzia.
Si potrebbe suggerire che la fiducia e la percezione della vicinanza siano indici ragionevoli per l’adolescenza
e la vita adulta.
Ad esempio, le ricerche mostrano che le donne che hanno passato la maggior parte dell’infanzia in istituti
tendono ad avere difficoltà nelle relazioni sociali adulte.
La mancata opportunità di formare attaccamenti selettivi è seguita spesso, nella vita adulta, da forti
disturbi nelle relazioni strette di tutti i tipi.
Sembra inoltre che la presenza di attaccamenti selettivi nei primi 3 o 4 anni di vita possa esser importante
per lo sviluppo di amicizie nell’adolescenza.
Dalle ricerche svolte sugli uomini e sugli animali sembra possibile giungere ad alcune conclusioni:
E’ chiaro che le qualità dell’attaccamento restano evidenti nelle relazioni intime per tutta la vita. Le relazioni
n strette costituiscono un sostegno psicologico ad ogni età, e la loro perdita è un fattore di stress grave a partire
dall’infanzia;
Uno scambio emotivo e un rapporto di fiducia possono esprimere una relazione di attaccamento
n nell’adolescenza e nella vita adulta secondo modalità diverse dall’infanzia;
L’esperienza di attaccamento selettivo costituisce la base su cui si sviluppano le diverse relazioni intime
n adulte (amicizia, amore sessuale ed esperienza genitoriale).
Buone relazioni intime successive possono compensare le mancanze precoci.
Anche per quanto riguarda le conseguenze di una marcata insicurezza nell’attaccamento precoce, molti
sono gli esempi di persone che risultano genitori eccezionali, malgrado siano cresciute in situazioni di grave
stress. Sembra che le relazioni positive sperimentate in età successive rendano possibile un esito del genere.
DISTURBI ASSOCIATI ALL’ATTACCAMENTO
Reazione di bambini piccoli al ricovero in ospedale
Bowlby (1969) ha riassunto il modello di comportamento dei bambini alla separazione della madre in 3 fasi:
protesta, disperazione e distacco.
All’inizio il bambino manifesta un disagio acuto: piange, chiede dei genitori, rifiuta la consolazione. Spesso a
n queste manifestazioni si associa una regressione a comportamenti propri di bambini più piccoli;
Dopo qualche giorno il bambino tende a manifestare il disagio in modo meno acuto, ma resta infelice e
n apatico. Spesso si accompagnano manifestazioni aggressive;
Dopo un periodo di alcuni giorni o settimane, il bambino “si stabilizza”. Quando i genitori vengono a trovarlo
n non sembra molto interessato e non si lascia turbare quando se ne vanno. Si mostra attaccato a persone
nuove.
Quando torna a casa mostra per un certo tempo un comportamento turbolento. Spesso si verifica una fase
iniziale in cui ignora i genitori, seguita da una fase di estrema vicinanza in cui li segue ovunque. Spesso, inoltre,
tutto questo si accompagna a manifestazioni di rabbia e ostilità nei loro confronti. Tali sequenze di
comportamento sono ben note, tuttavia il modello è ben lungi dall’essere scontato. Molti sono i fattori in
gioco...
La reazione raggiunge un picco in bambini da 1 a 3 anni, mentre è difficile che si manifesti in età prescolare
e scolare. Queste reazioni di protesta si riducono molto se il bambino è accompagnato in ospedale da un
genitore, da un fratello o da un’altra persona della famiglia;
Le reazioni sono molto meno evidenti se nel periodo della lontananza uno o due adulti continuano a fornire
un trattamento personalizzato. Nella grande maggioranza dei casi le difficoltà emotive associate a un
singolo ricovero hanno vita breve e scarsa significatività nel tempo.
Forme particolari di attaccamento insicuro
Poiché da ricerche americane risulta che circa due terzi dei bambini hanno un attaccamento sicuro, si è
formata l’opinione che tale sia la norma biologica e che quindi gli attaccamenti insicuri siano “anormali”. In
realtà, in altre culture gli attaccamenti insicuri risultano più frequenti. D’altra parte, i meno frequenti modelli
di attaccamento disorganizzato-disorientato si avvici-nano di più ad un modello patologico.
Il modello di attaccamento insicuro-disorganizzato-disorientato possiede le seguenti caratteristiche:
Comportamento contraddittorio verso la persona oggetto di attaccamento: le stanno vicini, ma distolgono
lo sguardo;
Anche l’esperienza di separazione e di ricongiungimento contiene elementi contraddittori: ricercano la
vicinanza, ma al momento di ricongiungersi tendono a manifestare evitamento e rifiuto; La posizione del
corpo e i movimenti sono insoliti, non esenti da aspetti stereotipati; Tutto ciò è associato con un contegno
in genere depresso, apatico o triste
Reazioni di dolore: il lutto
In questo caso il disturbo dell’attaccamento non deriva dallo sviluppo delle relazioni, ma dalla perdita di una
relazione importante. Il decorso del dolore degli adulti è ben documentato:
un primo breve periodo di “incredulità”, della durata di alcuni giorni, in cui la persona ha difficoltà a rendersi
- conto che la morte sia davvero avvenuta;
Segue una seconda fase caratterizzata dal “dolore della perdita”. C’è, in genere, un desiderio struggente
- della persona amata, una forte preoccupazione per la sua immagine e uno stato di agitazione che porta ad
un’attività frenetica. Tutto ciò si accompagna a tipici sentimenti di rabbia (verso i medici, i familiari o il morto
stesso) e talvolta a sentimenti di rimorso rispetto a ciò che il soggetto avrebbe potuto fare.
Sopraggiunge, infine, una terza fase di “riorganizzazione” (preceduta talvolta da disperazione e grave
- depressione). Quindi si dà un nuovo assetto alla vita e il dolore si attenua.
Alcuni elementi sembrano peggiorare le reazioni di dolore:
Ambivalenza o relazione di dipendenza totale con la persona morta;
n Una morte inaspettata o prematura;
n La coincidenza della morte con altri fattori di stress o di crisi;
n Perdite precedenti, soprattutto se rimaste irrisolte.
n Alcuni elementi sembrano attenuare le reazioni di dolore:
La disponibilità di sostegno sociale da parte di famiglia, amici e altri, ed il suo effettivo impiego;
n Il ristabilirsi di modelli di vita;
n Lo sviluppo di nuove relazioni;
n L’inizio di un intervento che aiuti a superare la crisi.
n Il lutto implica due componenti separate, ma interconnesse: la perdita di una persona e la mancanza di
una relazione affettiva.
La prospettiva evolutiva porta a domandarsi se le reazioni di lutto variano con l’età. Sembra, in generale,
che l’immediata reazione di lutto sia, nei bambini, meno intensa e prolungata che negli adulti, sebbene gli
effetti a lungo termine possano essere peggiori.
I bambini soffrono e le caratteristiche di tale sofferenza sono simili a quelle degli adulti, anche se le reazioni
tendono ad essere più brevi e meno intense. Questo probabilmente perché i bambini non sono inclini a
proiettare nel passato e nel futuro il proprio pensiero, come invece fanno gli adulti. I bambini sono talvolta
tenuti lontani dal dolore, perché in qualche modo li si vuole proteggere. Tuttavia questo celare a fin di bene
le manifestazioni esterne della morte può rendere più difficile l’elaborazione del lutto.
Divorzio e nuovo matrimonio dei genitori
In questo caso, la perdita non è l’unico elemento coinvolto nel processo e, di solito, nemmeno il più
importante.
Dalle ricerche è emerso che il disturbo psicologico persistente:
1. è più frequente in seguito al divorzio che alla morte di un genitore;
2. precede il divorzio;
3. È altrettanto comune nelle famiglie che, pur non andando d’accordo, non divorziano;
4. Ha delle conseguenze con sono costituite tendenzialmente da disturbi di condotta più che dalla
depressione;
5. È più probabile se persiste il conflitto fra i genitori.
Nel caso di un nuovo matrimonio di un genitore, i figli più piccoli tendono, forse, a trarre un beneficio
maggiore di quelli adolescenti, che sono meno preparati ad affrontare una nuova relazione genitoriale.
CONOSCENZA E RELAZIONI SOCIALI
La capacità di sviluppare relazioni sensibili ad una reciprocità di risposte sembra richiedere un’adeguata
conoscenza sociale, cioè la capacità di comprendere ciò che l’altro pensa e sente.
Questo filone di ricerca assume il nome di TEORIA DELLA MENTE
I bambini di 1 anno hanno una qualche comprensione del fatto che il comportamento di un individuo dipende
da quello a cui egli sta prestando attenzione.
Nel 2° anno, aumenta la comprensione degli stati psicologici altrui. Studi naturalistici mostrano un forte
incremento dei comportamenti tramite cui si fanno dispetti, si consola e si esprime interesse. Nello stesso
periodo diventano più comuni le prese in giro e le offerte di aiuto.
Verso la fine del 2° anno, comincia ad emergere la capacità di far finta di o di “fare come se”.
Con il 3° anno, la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui aumenta e il gioco d’immaginazione rivela
ormai un numero molto maggiore di esempi tratti dalla comprensione di stati mentali altrui: si fa riferimento
a ricordi e dimenticanze, al sentirsi tristi, felici o arrabbiati. Inoltre a questa età i bambini comprendono la
differenza fra realtà e fantasia.
Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) hanno utilizzato un’ingegnosa prova per mettere a confronto bambini
normali, autistici e ritardati sul piano della conoscenza sociale.
I risultati mostrarono che bambini normali e ritardati con un’età mentale di circa 4 anni capivano subito che
Sally avrebbe guardato nel posto sbagliato, divertendosi molto per la “burla” implicita. Invece i bambini
autistici dicevano in maggioranza che Sally avrebbe guardato nella scatola; sembravano incapaci di
comprendere che i pensieri e le aspettative di Sally non potevano che essere diversi dai loro, perché lei non
aveva visto spostare l’uovo.
Molti altri esperimenti, eseguiti con procedure differenti, hanno confermato che questa banale “lettura del
pensiero” sembra mancare, o comunque essere gravemente compromessa nell’autismo.
Le relazioni sociali richiedano dunque qualche grado di comprensione del punto di vista dell’altro. Dalle
ricerche è risultato che nell’autismo il deficit nella capacità di “l