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PARTE II: COMPETENZE CLINICHE FONDAMENTALI CAP.4 (Steven Tublin)
L'azione terapeutica. I teorici relazionali si sono battuti contro la soppressione dei divieti dell'espressione personale a favore della self-disclosure (autorivelazione), lasciando l'analista relazionale più libero di assumere comportamenti più spontanei e capaci di improvvisazione. Tuttavia si è creato un conflitto interno alla psicoanalisi relazionale fra la libertà necessaria a rispondere a momenti clinici legati al contesto e la disciplina necessaria per condurre un trattamento psicoanalitico coerente e rilevante.
Gli psicoanalisti relazionali abbracciano un eclettismo radicale che gli impedisce la comodità di avere una teoria della mente consensualmente condivisa sulla quale costruire una serie di principi tecnici. Essi possono far riferimento a un'ampia famiglia di tradizioni teoriche e di tecniche corrispondenti e sono liberi di esplorare liberamente e di passare da una cornice metaforica all'altra (ES: nel caso in cui il...
terapeuta hala sensazione si essere bloccato con il suo paziente in un enactment per lo psicanalista relazionale le 9possibilità sono tante: può fare un’interpretazione della confusione interpersonale, può offrire un commentoempatico che si concentri sul vissuto affettivo, può condividere degli aspetti della propria esperienza o,ancora, può descrivere le caratteristiche della sua esperienza, il cui significato gli sfugge ). Queste diverselinee d’azione dirigono il clinico verso qualità differenti del paziente e dell’interazione e possono richiedereintenti clinici divergenti. Le teorie sull’approccio terapeutico indirizzeranno i clinici verso differenti modi dicoinvolgimento interpersonale e, di conseguenza, verso tecniche differenti. La psicoanalisi relazionaleritiene che nessun assommarsi di spontaneità, libertà e creatività trasformerà la conversazione in untrattamento psicoanalitico;
Diventa un lavoro psicoanalitico solo quando si struttura intorno a una teoria coerente dell'azione terapeutica che definisca lo scopo clinico dell'analista, attraverso l'indicazione di azioni cliniche corrispondenti. L'articolazione dell'azione terapeutica e un corrispondente insieme di principi tecnici, ai quali il terapeuta si rifà, costituiscono la base per il fondamento della disciplina.
Nei paradigmi che hanno preceduto la svolta relazionale i principi tecnici erano determinati da concettualizzazioni sulle dinamiche della mente e dei sintomi del paziente. Se il clinico aderiva alle premesse fondamentali della metapsicologia classica di metà secolo (pulsioni, difese, conflitti e interpretazione) le alternative tecniche a disposizione erano relativamente poche: il clinico era obbligato a seguire i principi di astinenza, neutralità e anonimato.
Questo non è il caso della psicoanalisi relazionale, per cui diverse teorie della
La teoria relazionale ha enfatizzato sempre di più la molteplicità all'interno del rapporto terapeutico, rendendo problematico il concetto di avere una tecnica intesa come unica e corretta.
La radicale unicità di ogni trattamento psicoanalitico dissuade ulteriormente da ogni possibile discorso formale sulla tecnica. I terapeuti relazionali hanno dato importanza non solo all'unicità del paziente, ma anche a quella dell'analista e della diade; la specificità di ogni situazione psicoanalitica sfida qualsiasi nozione di tecnica generale.
Il concetto di enactment, nella comunità relazionale, ha ulteriormente complicato l'articolazione di una tecnica prestabilita.
La presunta onnipresenza dell'enactment implica che durante qualsiasi scambio clinico il terapeuta sta anche partecipando a una messa in scena di ruoli interpersonali diretta dagli schemi relazionali sia propri sia del paziente; tutto ciò avviene al di fuori della consapevolezza. L'incontro psicoanalitico può essere definito come l'esperienza di una relazione intrecciata ai tentativi di comprenderla mentre evolve: l'analisi è un prodotto congiunto. Lo psicoanalista si trova davanti a un dilemma insolubile: non può più affermare con certezza ciò che davvero sta facendo e, quindi, sembra fuorviante prescrivere ciò che l'analista dovrebbe fare. Molti teorici erano consapevoli del rischio implicito nell'adottare posizioni tecniche i cui principi potevano essere interpretati troppo liberamente. Essi proposero diverse soluzioni al dilemma di mantenere un nucleo disciplinare in una cornice che garantisca ampia.libertà interattiva. Alcune posizioni sostengono un allentamento mirato delle prescrizioni tecniche, che considerano inutilmente restrittive. Altre privilegiano l'unicità e l'immediatezza nell'interazione e offrono una visione della psicoanalisi che smantella la tecnica classica. Presentiamo ora 4 influenti personalità che rispecchiano le tensioni fra i bisogni opposti, di libertà e di disciplina, nella psicoanalisi relazionale:- Hoffman ha elaborato un modello di tecnica psicoanalitica che si sviluppa intorno all'oscillazione tra rituale e spontaneità, la quale genera il cambiamento terapeutico. Secondo lui è il rituale (ovvero il setting particolare, il legame e i ruoli asimmetrici) a conferire alla conversazione psicoanalitica il suo strano potere trasformativo e a fornire all'analista un'autorità irripetibile, che può influenzare caratteristiche centrali del modo di essere del paziente in
Relazione con gli altri. Egli ritiene che la rigida aderenza alle prescrizioni tecniche smorzi l'incontro analitico, ma anche che senza il lavoro complessivo della psicoanalisi tradizionale le interazioni più spontanee avrebbero un minor impatto.
La teoria di Hoffman appare conservativa: molto del metodo psicoanalitico classico viene preservato (disciplina), anche se collocato in una cornice più elastica che permette l'improvvisazione e la presenza personale.
Renik mantiene una buona quota di riferimenti teorici classici, mentre invoca l'abbandono delle proibizioni che hanno caratterizzato la tradizione psicoanalitica. Egli invita ad essere aperti con il paziente, a lasciarsi andare nel coinvolgimento personale: ha invitato gli analisti ad essere più espliciti su chi sono, sul modo in cui intendono le difficoltà dei loro pazienti e sul modo in cui sono affettivamente coinvolti nel processo terapeutico. Inoltre li invita a "giocare".
"A carte scoperte", sostenendo che dovrebbero provare a esprimere e comunicare ciò che potrebbe aiutare il paziente a comprendere cosa l'analista pensi rispetto al suo sviluppo e dove stia pianificando di accompagnarlo. Renik ha una posizione innovativa: ritiene che l'analisi funzioni meglio quando il paziente ha accesso ai pensieri del terapeuta e, inoltre, la non neutralità e la presenza personale conducono a un lavoro psicoanalitico migliore. La sua libertà si muove in un contesto di disciplinata aderenza a una precisa teoria (quella freudiana contemporanea)."
3. Mitchell propone un approccio in cui la struttura della metapsicologia e della tecnica classica si affievoliscono. Nella sua riconcettualizzazione dell'incontro psicoterapeutico il cambiamento coinvolge la rinegoziazione dei pattern diadici che si stabiliscono: ogni momento deve essere attraversato senza il vantaggio dei principi che specificano in anticipo la cosa corretta da fare.
La tua risposta alle domande tecniche è "dipende": l'analista può rispondere o meno, offrire una disclosure o meno. La disciplina della tecnica, secondo Mitchell, non si riferisce all'applicazione di procedure corrette, ma a una disposizione mentale dalle sfumature eleganti. La disciplina richiede una costante attenzione da parte dell'analista nel ponderare, associare e risanare affettivamente nelle sue interazioni con i pazienti. Nella sua teoria Mitchell, nonostante la sua insistenza sulla libertà tecnica, mantiene un legame con la prassi psicoanalitica tradizionale. Egli ritiene che l'autoriflessione e l'attenta elaborazione delle dimensioni interattive sottese a ciascuna scelta clinica sono più utili se si apprendono le tecniche che costituiscono la base dei vincoli psicoanalitici e li si trascende. → 4. Stern presenta un profondo rispetto per il contesto e un impegno filosofico verso la libertà nella ricerca di significato.Egli prova a risolvere il paradosso di porre al centro delle azioni dell'analista un nucleo di pratiche disciplinari all'interno di un sistema che nega la validità dei principi tecnici stabiliti a priori. L'autore basa la ricerca psicoanalitica su principi derivati dal filosofo ermeneutico Gadamer, secondo cui il dialogo è l'incontro di due persone con la propria cultura, ognuna delle quali possiede i suoi specifici preconcetti o pregiudizi. Secondo Stern adottare a priori una metodologia implica il rischio di portare, all'interno dell'incontro, il pregiudizio; la tecnica dovrebbe essere soggetta allo stesso esame e indagato. Secondo Stern le azioni dell'analista hanno lo scopo di rendere l'esperienza diadica significativa, in larga parte attraverso la partecipazione e l'elaborazione dell'enactment. Stern, come Mitchell, si concentra meno su quello che l'analista dovrebbe fare e più sulColtivare un'attitudine mentale che è la precondizione necessaria per ogni azione. L'analista, dopo un lungo travaglio mentale, intuisce i propri limiti interni e nel farlo riorganizza il contesto diadico dal quale l'intende.