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IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’
Il DBP si caratterizza per una notevole varietà e si articola su tre assi, che sono quelli del d. dell’ID
e delle relazioni, del discontrollo degli impulsi e della disregolazione affettiva. La sintomatologia è
mantenuta, anche, dalla presenza cicli interpersonali disfunzionali, che portano a profezie che si
auto-avverano in ambito relazionale.
Spesso vi è un deficit di integrazione, ovvero un’incapacità di riflettere sui propri stati mentali e di
controllarli in modo da avere un comportamento comprensibile, dotato di significato e coerente.
Quando questo deficit si manifesta nell’incapacità di connettere le componenti di uno stato mentale
tra loro, in modo da renderlo comprensibile e coerente, determina un’insalata di pensieri e di parole,
con una narrativa caotica e priva di un filo logico, in cui non è possibile individuare un tema
fondamentale: ci sono, cioè, un’iperproduzione delle narrazioni ed un deficit di gerarchizzazione.
La mancata integrazione può riguardare, anche, le rappresentazioni di sé in relazione con gli altri,
che possono essere multiple e contemporaneamente presenti anche se contrastanti: per ex., il pz può
provare benessere in un rapporto ma, allo stesso tempo, temere di esser giudicato negativamente;
questa situazione può esitare in una paralisi comportamentale.
Secondo la Lineham, il pz con DBP sono emotivamente molto vulnerabili, il che significa che
possono reagire in modo eccessivo, con drastici cambi di umore, anche ad eventi di scarsa rilevanza
oggettiva: una volta che si è attivata una determinata emozione, emerge poi l’incapacità di
controllarla, il che spesso sfocia in comportamenti impulsivi. La disregolazione emotiva è
conseguenza di una relazione di attaccamento caratterizzata da risposte caotiche e contradditorie. Si
ha, inoltre, mood congruity effect, ovvero lo stato affettivo contingente influenza notevolmente il
pensiero, anche in termini di rievocazione di ricordi: questo causa un circolo vizioso che costringe il
soggetto a restare intrappolato nell’emozione (spesso negativa) che sta vivendo, facendo anche i
conti con un pensiero distorto ed interpretativo. La disregolazione emotiva può essere considerata,
pertanto, la base del deficit di differenziazione tra interno ed esterno, tale per cui se il pz si sente
particolarmente a disagio può sviluppare, ad ex., ideazioni paranoidi, senza che ci sia critica. Una
buona differenziazione tra rappresentazione soggettiva e realtà è presente solo in un contesto
relazionale sereno, che è però continuamente minacciato dalla vulnerabilità emotiva. E’ possibile
che il deficit di differenziazione tra interno soggettivo ed esterno oggettivo derivi dalla
disregolazione emotiva e dalla non integrazione, le quali si influenzano a vicenda.
Uno stato mentale problematico è un insieme di pensieri, emozioni e sensazioni connessi tra loro,
che portano malessere o che, al contrario, sono ricercati in modo compulsivo per evitare un disagio.
Nel BDP, gli stati mentali problematici sono molto eterogenei (nel senso che ce ne sono diversi)
oltre che variabili (non sono sempre tutti presenti nel momento contingente, anche perché alcuni
sono tra loro incompatibili). Essi sono in relazione con i cicli interpersonali, che nel DBP si
articolano attorno a due nuclei, ovvero:
Sé indegno il soggetto si sente intrinsecamente sbagliato, addirittura malvagio. Possono
- esserci dispercezioni dello schema corporeo, dismorfofobia, sintomi di somatizzazione e d.
alimentari, in particolare crisi bulimiche. Kernberg parla di “Sé cattivo” e vede questo
schema alla base della considerazione dell’Altr* come potenzialmente pericoloso, a volte
idealizzato ed a volte causa di rabbia perché infligge dei torti; la persona può reagire con
evitamento o rottura delle relazioni, per timore della sua stessa distruttività. Il Sé indegno
determina un’attenzione selettiva sui propri fallimenti e limiti, che va così a confermare la
credenza negativa portando a disprezzo e rabbia auto-diretti. L’umore è disforico, con
sintomi depressivi che danno luogo, talora, ad autolesionismo. Il soggetto è particolarmente
responsivo a frustrazioni anche minime, sviluppa pensieri di persecuzione è può diventare
aggressivo nei confronti delle altre persone. Si attiva un ciclo interpersonale auto-invalidante
24 nel momento in cui il pz, per non essere accusato dall’Altr* per il suo essere sbagliato,
attacca per primo, ottenendo una risposta contro-accusatoria che va a riconfermare la
credenza di partenza ed a generare rabbia o senso di indegnità personale. Il pz con DBP, a
causa di queste sue modalità, può anche percepirsi come fonte di dolore per gli altri e,
quindi, mettere in atto dei comportamenti autodistruttivi a scopo espiatorio;
Sé vulnerabile il soggetto pensa di poter essere facilmente ferito dagli altri o dalle
- situazioni, senza avere la possibilità di difendersi. Può sviluppare, quindi, ansia (fobie
multiple, ansia generalizzata, attacchi di panico), d. dissociativi (depersonalizzazione, fughe
psicogene) ed ideazioni paranoidi, che lo mettono nella condizione di utilizzare delle
strategie di coping che sono, però, disfunzionali (ex. abuso di sostanze come
automedicazione). L’attenzione, quando si attiva il Sé vulnerabile, è focalizzata sulla ricerca
di eventuali segnali di pericolo nell’ambiente. La minaccia percepita può essere di vario
tipo, provenire dall’interno (ex. ansia ipocondriaca o paura di impazzire) o dall’esterno (ex.
aggressione ad opera di altre persone o catastrofi ambientali). Domina la paura unita ad un
senso di solitudine, dovuto al fatto che il soggetto teme di non ricevere aiuto da nessuno a
causa della sua indegnità. Per gestire la situazione, la persona può mettere in atto un
rovesciamento dei ruoli, diventando l’aggressore che teme ed acquistando, così, una
temporanea sicurezza in se stesso; l’incapacità di modulare la rabbia, in questo caso, fa sì
che facilmente vengano messi in atto agiti aggressivi eterodiretti. Una strategia di coping
che può essere utilizzata è quella del distacco emotivo da tutto e tutti, che genera un senso di
vuoto e di anestesia emotiva, che a volte può anche essere piacevole e può rappresentare lo
scenario in cui vengono messi in atto comportamenti suicidari; in altri casi, invece, il vuoto
è vissuto come una perdita di significato e diventa intollerabile, per cui la persona reagisce
cercando di ripristinare uno stato di attivazione con condotte sregolate, come la promiscuità
sessuale, l’uso di sostanze od atri comportamenti a rischio, che sono funzionali a “riempire
un vuoto dentro”. L’incapacità di gestire in modo efficace il vuoto derivante dal distacco
emotivo porta, tuttavia, ad un rinforzo del senso di indegnità e di vulnerabilità.
Il pz borderline, comunque, dispone di sufficienti risorse per creare relazioni significative, pertanto
può crearsi un circuito terapeutico basato sull’instaurarsi di cicli interpersonali validanti ed in grado
di sostenere un senso di sé positivo: il problema consiste, come sempre, nell’instabilità della
situazione, oltre che nelle richieste eccessive tipiche della categoria di utenza.
Nel 2001, l’APA ha pubblicato delle LG, secondo cui il trattamento primario del DBP dovrebbe
consistere in una psicoterapia individuale, a cui associare, in caso di bisogno, una terapia
farmacologica, una psicoterapia familiare o di gruppo ed un lavoro gestito, in generale, a livello di
équipe. Tre problemi centrali che possono esserci nella psicoterapia con questi pz riguardano:
cicli interpersonali disfunzionali vi è sempre il rischio di un ipercoinvolgimento in
- ambito relazionale ed ogni volta è difficile prevedere quelle che saranno le sorti della seduta.
Ci sono, però, dei cicli che si manifestano in modo abbastanza regolare e che possono essere
preannunciati nella loro attivazione da una serie di segnali, consentendo al terapeuta di
organizzare in modo funzionale il suo intervento. E’ necessario che il clinico metta in atto
delle operazioni di disciplina interiore, ovvero che riconosca di riscontrare un problema
nella relazione col pz, che ne cerchi le cause, che si interroghi sulla possibilità che queste
siano anche fonti di turbamento per il pz e che, quindi, si metta in condizione di poter
comprendere una possibile problematica comune. Questa serie di operazioni consente il
riconoscimento, la codifica e la disattivazione di un ciclo interpersonale disfunzionale;
ciclo invalidante è legato alla sensazione del pz di essere sbagliato ed alla sua
- convinzione che prima o poi il terapeuta se ne accorgerà e ci saranno delle conseguenze. A
scopo difensivo, il soggetto diventa spesso un perfezionista, oppure mette in atto un
rovesciamento dei ruoli, ergendosi a giudice dell’interlocutore. Il clinico può sentirsi in
colpa od arrabbiato, a seconda di come si percepisca rispetto alle accuse che gli vengono
mosse. Può, quindi, giustificarsi davanti al pz o contrattaccare: nel primo caso, il pz si sente
25 confuso, nel secondo le critiche che riceve gli danno conferma di essere indegno. Il ciclo
invalidante, quindi, mette il terapeuta ed il suo assistito nella condizione di provare le stesse
emozioni. Questo significa che, se viene riconosciuto a padroneggiato sapientemente, può
innescare un ciclo terapeutico di tipo validante, in cui si ha un’accettazione reciproca dei
limiti dell’Altr*;
ciclo dell’allarme il pz ha paura e si sente minacciato, il terapeuta può sentirsi così
- scoraggiato da desiderare di non averlo mai preso in cura. In questo caso, la disciplina
interiore prevede di riconoscere il proprio turbamento a fronte della situazione, di metterlo
in analogia con quello che sta probabilmente provando il pz e di mostrare a questo ultimo
come si debba reagire, proponendosi come modello non caotico di regolazione emotiva. Si
inizia, quindi, con la condivisione dello stato e poi si procede con la discussione delle
strategie adottabili, che possono essere di quattro tipi: aumento dei contatti tra pz e terapeuta
(in termini di numero di sedute o di telefonate), ricorso alla rete sociale per ricevere
sostegno, introduzione o modificazione di una terapia farmacologica e ricovero. Questo
consente l’innescarsi di un ciclo protettivo.
Il ciclo validante e quello protettivo si basano su un’idealizzazione che non investe solo il terapeuta,
ma anche il Sé e la relazione, il che è fondamentale dal pdv terapeutico. L’idealizzazione deve
essere gestita correttamente dal clinico, che può sentirs