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Estratto del documento

CAP 8 SALI DI LITIO E STABILIZZATORI DELL’UMORE

Sono il farmaco d’elezione nel disturbo bipolare. Usati inizialmente come sostituti del sale da cucina per

gli ipertesi, o per curare gotta e reumatismi, nel 1949 ne hanno scoperto gli effetti psichici. Ha uno scarso

margine di sicurezza e le dosi sono molto diverse tra un paziente e l’altro. Quindi la terapie richiede

un’attenta supervisione e un controllo tramite dosaggio della litiemia.

Vie di somministrazione, farmacocinetica e metabolismo

Completamente assorbito per os, raggiunge il picco di concentrazione ematica in 2-3 ore, si diffonde

nell’acqua e viene escreto per via renale. Lo steady state viene raggiunto dopo almeno 5-7 giorni. Ha

un’emivita media, quindi richiede 3-4 somministrazioni al giorno, anche per il suo scarso indici di

sicurezza.

Uso clinico

• Indicazioni terapeutiche: efficace per il 70-80% degli episodi maniacali e ipomaniacali acuti in 10-14

giorni (durante il quale meglio somministrare un neurolettico). Inefficace nella schizofrenia. Efficace nelle

psicosi schizoaffettive, nelle forme disforiche o paranoidi. Fare attenzione all’inizio della terapia, perché i

pz non sono affidabili. Attenzione ad un eventuale viraggio allo stato maniacale nella terapia delle

depressioni maggiori, in associazione con AT. La cura produce, col tempo, un graduale allungamento dei

periodi di normalità, una perdita di intensità delle fasi depressive e maniacali, fino a diventare fluttuazioni

dell’umore nella norma, in modo da rendere i pz accessibili a psicoterapia

• Pz pediatrici: effetto simile agli adulti. Inefficace nei disturbi da deficit di attenzione e iperattività.

Efficace nella sindrome maniaco depressiva, che ha sintomatologia diversa dall’adulto: fasi di chiusura in

se stessi, indifferenza, mutismo, disforia e autolesionismo alternate a periodi di irrequietezza, irritabilità,

iperattività, loquacità, megalomania, bulimia.

• Pz anziani: alto rischio di intossicazione

Effetti collaterali e segni di intossicazione

Lievi disturbi come nausea, vomito e diarrea, se le dosi vengono aumentate troppo rapidamente I segni di

intossicazione sono: tremore, astenia, irrequietezza, capogiri e vertigini, sonnolenza o eccitamento,

difficoltà a articolare le parole, disturbi di accomodazione visiva, tinniti. Richiedono immediato ricovero.

L’uso prolungato può portare a diabete insipido, gozzo tiroideo benigno con ipotiroidismo, disturbi cutanei.

Controindicato in gravidanza

Trattamenti alternativi e sperimentali

Non vi è prova dell’efficAcia della psicoterapia, che è un compito molto difficile: nella fase maniacale i pz

negano la malattia e nella fase depressiva ritengono inutile ogni cura. Ma un appoggio psicoterapico può

essere utile per assicurare una compliance adeguata, per insegnare al pz a riconoscere i segni preliminari di

viraggio da una condizione all’altra. I farmaci alternativi più utilizzati, cmq di seconda scelta, sono degli

anticonvulsivanti (Tegretol e Depakin) o calcioantagonisti (Isoptin).

CAP 9 PSICOFARMACOLOGIA: CURA O TRATTAMENTO SINTOMATICO?

La maggioranza dei trattamenti, specie quelli proposti per le malattie croniche, sono sintomatici, alcuni

addirittura palliativi: non servono quindi ad eliminare l’agente eziologico. In psichiatria il trattamento serve

ad alleviare i sintomi per mettere in grado il pz di affrontare uno sforzo di una riabilitazione, di un tentativo

di reinserimento socile. Per alcune patologie è possibile una guarigione: fobie sociali, DAP, enuresi… Per

altre si possono assicurare un accettabile contenimento dei sintomi con terapie prolungate a tempi

indefiniti: schizofrenia, disturbi bipolari.

Modalità correnti di associazione tra farmaci e psicoterapia

I farmaci vengono associati alla psicoterapia nei seguenti casi:

• Inibire, alleviare o sopprimere sintomi prevalentemente fisici come nell’ansia, nelle somatizzazioni e nei

DAP

• Fornire un maggior controllo dell’emotività in modo da consentirgli una maggiore possibilità di

osservare, comprendere e affrontare i conflitti e le difficoltà comportamentali

• Combattere l’insonnia

• Consentire di instaurare e mantenere i rapporti con la psicoterapia

• Stimolare energia, attività psicomotoria, creatività

• Ridurre pensiero e comportamento psicotico

• Ridurre inerzia e depressione, in modo da consentire un’attività in casa e al lavoro e collaborare allo

sforzo psicoterapeutico

• Controllare i violenti e continui cambiamenti d’umore

• Aumentare i tempi di attenzione in pz con disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività

• Rinforzare alcuni comportamenti indotti dal terapeuta (strategie di rilassamento)

• Alterazione della risposta di fronte all’assunzione di prodotti a scopo voluttuario

CAP 10 ALCUNI ACCENNI ALLE PROBLEMATICHE DELL’INTEGRAZIONE TRA

PSICOTERAPIA E FARMACOTERAPIA

Difficoltà nella definizione di psicoterapia e farmacoterapia

Già non è facile definire cosa sia uno psicofarmaco. In ambito psicoterapico le cose sono ancora più

complesse a causa della grossa differenza di vedute in merito a cosa si intende per psicoterapia e a cosa si

intende per guarigione e cura. Queste difficoltà sono insuperabili se non si giunge ad un preliminare

consenso su ciò che si intende per psicoterapia e quale sia l’iter formativo dello psicoterapeuta. Per

intervento psicoterapico si intende una forma di trattamento non farmacologico, capace di indurre stabili

modificazioni del comportamento, dell’attività cognitiva ed emotiva in molti pazienti, la cui efficacia è

comprovata a livello sperimentale, adeguatamente strutturata e replicabile. Malattia come conflitto

psicologico in termini di malfunzionamento cellulare o enzimatico, o disordine biochimico con la genesi di

un disturbo del comportamento: andrebbero integrate le due modalità. L’insegnamento della psicoterapia è

in ambito extrauniversitario, con spesso atteggiamenti settari caratterizzati da dogmi e cerimonie iniziatiche

e consiste in percorsi lunghi e costosi.

Ci sono ancora psicoterapeuti che non ne vogliono sapere di psicofarmaci. Per decenni psicoterapia e

farmacoterapia sono state considerate antagoniste tra loro e l’integrazione è argomento non ancore

pienamente accettato. Recentemente alcuni psichiatri hanno iniziato ad utilizzare entrambe le forme di

intervento, ma spesso non se ne trova traccia nei lavori pubblicati e nelle riviste di psicofarmacologia.

Come non vi è una reale ragione per cui una malattia originata da problemi psicologici non si debba

esprimere anche sul piano fisico, non si vede perché una malattia somatica, che impone notevoli limitazioni

al pz, non possa avere profondi riflessi psicologici che possano trarre beneficio da un trattamento

psicoterapico.

Atteggiamento sperimentalista del terapeuta

Nell’ambito della ricerca farmacologia si può notare una notevole complementarietà tra strategie di

intervento farmacologico e strategie derivate dalla ricerca in ambito psicologico. Una volta superata la

prima fase di ricerca sugli animali, il farmaco sperimentale viene impiegato su piccoli gruppi di persone e

gli effetti vengono studiati valutando le reazioni dei pz, osservate e misurate mediante test psicologici.

Nella pratica terapeutica quotidiana, ogni volta che si somministra un farmaco o si conduce un intervento

psicoterapico, si porta avanti un piccolo esperimento. L’attività farmacologia delle sostanze psicotrope

rimane di difficile definizione: esse inducono sia effetti immediati che tardivi e producono complesse

reazioni a livello biochimico, ormonale ecc. Inoltre gli antipsicotici, antimaniacali, antidepressivi

interferiscono sullo stato di coscienza, di vigilanza, sull’attività motoria, sull’umore e sulle funzioni

neurovegetative autonome. Possono inoltre suscitare reazioni emotive diverse nei singoli pz, per cui la

valutazione dell’effetto del farmaco è molto complessa. Esistono molti modi per valutare il comportamento

in modo qualitativo e quantitativo: autovalutazione, valutazioni globali cliniche, test standardizzati, scale di

valutazione comportamentale, osservazione diretta. Solo se possiamo dimostrare un rapporto certo tra

somministrazione del farmaco e miglioramento possiamo dimostrarne la reale efficacia. Per molti pz inoltre

può essere difficile accettare lo spirito di ricerca del medico, perché preferiscono trovarsi di fronte ad un

medico sicuro dell’efficacia di un determinato farmaco. Il medico deve eseguire un’accurata diagnosi

differenziale, deve seguire l’andamento della terapia in modo oggettivo e deve porsi degli obiettivi ben

definiti, deve identificare gli effetti collaterali e giungere nel modo più favorevole alla conclusione della

terapia stessa. Tutto questo rende più interessante e coinvolgente anche un trattamento “di sola

psicofarmacoterapia”.

CAP 11 FATTORI PSICOLOGICI CHE POSSONO INFLUENZARE LA RISPOSTA AL

TRATTAMENTO PSICOFARMACOLOGICO.

Il notevole impegno del terapeuta non si limita solo alla scelta del farmaco più adatto e alla valutazione di

eventuali effetti collaterali. A seconda della scuola di pensiero, basa le sue scelte verso una terapia

puramente farmacologia, oppure ha visioni psicodinamiche, oppure ritiene necessari ridurre i sintomi per

facilitare il rapporto col pz e la psicoterapia. Le motivazioni sono quindi molto diverse e è diverso anche il

rapporto col pz. Gli stessi farmaci, dati a pazienti da medici diversi, producono risultati differenti: la

personalità e gli atteggiamenti del terapeuta hanno un peso notevole.

Variabili aspecifiche capaci di influenzare l’esito del trattamento psicofarmacologico.

Oltre che dalle tradizionali variabili farmacologiche, un trattamento psicofarmacologico è fortemente

influenzato da molte variabili comportamentali, spesso ignorate da chi opera a livello clinico: effetto

placebo, significato attribuito al farmaco, aspettative, effetti collaterali, reazioni dei parenti… Una

prescrizione di routine, spersonalizzata e superficiale, avrà scarse possibilità di essere efficace e di essere

seguita.

Diagnosi differenziale e impostazione del trattamento psicofarmacologico

La diagnosi psichiatrica è molto complessa e legata all’interpretazione soggettiva del terapeuta. Ad

esempio, di fronte ad un pz taciturno bisogna capire quali sono le cause che lo portano ad esserlo:

• Depresso

• Ansioso

• In preda a deliri

• Paranoico, sospettoso

• Ossessivo, quindi impegnato in ruminazioni mentali

• Fobico sociali

• Mancanza di assertività o mutismo elettivo, per cui più utile psicoterapia.

Scegliendo e proponendo terapie farmacologiche, si lanciano

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
16 pagine
4 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher caranzame di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicofarmacologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università della Sicilia Centrale "KORE" di Enna o del prof Presti Giovambattista.