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La categoria della religiosità, che enfatizza il lato soggettivo
e privato della fede interiore, si dimostra utile per cogliere
alcune delle trasformazioni del sacro nella contemporaneità.
Molte delle “formule” coniate dalla sociologia delle religioni
in questi ultimi decenni (credere senza appartenere,
patchwork religioso, supermarket delle religioni…) muovono
proprio dalla sottolineatura della libertà individuale che il
soggetto oggi ha di scegliere per sé la propria religiosità, le
sue forme e i contenuti, indipendente dall’appartenenza a
comunità o dall’accettazione di dogmi. Si potrebbe quindi
dire che il mondo moderno sarebbe l’esito di un gigantesco
processo che vede il passaggio dall’eteronomia
all’autonomia, e concomitante trasformazione del fenomeno
religioso in direzione dell’individualizzazione e
relativizzazione delle credenze e, per alcuni, di una
progressiva immanentizzazione del sacro. In una versione o
nell’altra, in sostanza, Dio si starebbe facendo sempre più
una questione di scelta individuale.
6) Produzione, lavoro, classi sociali
-Società capitalistica e classi in Marx e Weber
La comparsa e la diffusione delle macchie in campo
produttivo rappresenta l’innesco di una trasformazione
epocale per l’umanità. Le scienze sociali devono a Karl
Marx il contributo più influente all’analisi della natura della
società capitalistica. Le prime società stanziali si
accomunano attorno a qualche forma di produzione. Per
produzione si intende l’azione che l’uomo compie per
trasformare le risorse di cui dispone in oggetti o sevizi
necessari alla sua esistenza. L’azione produttiva consiste
essenzialmente nel lavoro. Per lavoro possiamo intendere lo
svolgimento di attività fisiche e mentali tese a produrre beni
materiali e immateriali di utilità personale e collettiva. Il
lavoro trova dunque nella produzione la sua cornice di
senso, il suo scopo e il suo mondo. Dal tipo di rapporto col
sistema produttivo dipenderà, infine, la collocazione degli
uomini nella scala sociale. La società risulta così articolata
in classi sociali disposte tra loro per strati sovrapposti in
modo gerarchico. Una classe sociale si può definire come
un ampio aggregato di persone caratterizzato dalla
condivisione, per grandi linee, della stessa collocazione
nella divisione sociale del lavoro, del medesimo grado di
status, dello stesso livello di reddito e di una comune
sottocultura. Il sistema di stratificazione per classi sociali è
tipico della società capitalistica. Il capitalismo è un modo di
produzione stoicamente determinato che ha per scopo
ultimo il perseguimento del profitto individuale. I primi
(capitalisti) utilizzano il lavoro dei secondi per realizzare un
profitto, i secondi (i proletari) ricevono in cambio un salario.
Il capitalismo inoltre introduce una netta separazione tra
produttori e mezzi di produzione, che diventano sempre più
sofisticate e inoltre si arriva a una maggiore complessità
dell’organizzazione produttiva. Il terzo elemento di novità
evidenziato da Marx è costituito dal fatto che, con il
capitalismo, la società si struttura per classi sociali che
riflettono la nuova divisione del lavoro. La società si divide
quindi in due grandi classi-parti, quella dei capitalisti
(borghesia) e quella dei lavoratori (il proletariato). É la
natura complessa di questo rapporto che porta Marx, da un
lato, a ritenere in qualche modo inevitabile il conflitto tra le
classi, dall’altro a non darlo completamente per scontato.
Max Weber ha in comune con Marx l’idea della centralità
della dimensione economica come base per la
differenziazione delle classi sociali tra loro,
distinguendosene però sotto il profilo della diversa funzione
che in concetto svolge all’interno del suo impianto teorico. In
Weber invece le classi, vanno comprese a partire dalle loro
componenti individuali e motivazionali. Per Weber le classi
sociali non sono che il risultato delle possibilità concrete di
guadagnarsi da vivere esistenti sul mercato.
-La parabola storica e sociale del lavoro
salariato
Il sociologo francese Castel elabora un’analisi della
parabola storica dell’operaio in fabbrica. Egli individua tre
tappe fondamentali: la fase proletaria, la fase operaia e la
fase salariale, che descrivono l’evoluzione del ruolo e del
significato sociale del lavoro salariato nelle società
moderne.
La fase proletaria è quella in cui si compie la Rivoluzione
Industriale, quando i primi operai subiscono tutte le
conseguenze negative dell’industria nel suo caotico primo
sviluppo.
La fase operaia definisce il momento della visibilità sociale
di una classe operaia dotata finalmente di tratti distintivi e di
un certo grado di considerazione. In questa fase avvengono
importanti novità anche in campo produttivo (prima catena
di montaggio), e miglioramenti delle condizioni di lavoro e di
reddito.
La fase salariale, che identifica il momento storico in cui il
lavoro salariato si estende a un gran numero di attività non
operaie, fino a coinvolgere non meno dei tre quarti della
popolazione attiva. In questa fase sono la condizione e
l’immagine stessa del lavoro salariato a mutare ancora. Il
lavoro salariato con queste nuove caratteristiche si definisce
occupazione. L’occupazione è fonte di autonomia
economica e di identità sociale in positivo, condizioni oggi
essenziali per sentirsi ed essere effettivamente integrati
nella società.
-Capitalismo, lavoro e disuguaglianze in tempi
di globalizzazione
La globalizzazione dell’economia rappresenta un nuovo
salto epocale nella lunga storia del capitalismo. Essa ha
rilevato l’esistenza di una nuova classe borghese che
considera l’intero globo come un unico sterminato campo
d’azione per il perseguimento di profitti sempre più elevati,
cui si contrappone una moltitudine in condizioni di crescente
vulnerabilità. Il quadro si completa con l’insorgere della non
più eludibile questione del rischio ambientale.
7) Le dinamiche territoriali fra società urbane
e rurali
-Il fenomeno dell’urbanizzazione nel pensiero
dei classici
L’industrializzazione, consolidatasi nella seconda metà
dell’Ottocento, determina una trasformazione radicale degli
assetti socio-territoriali premoderni con un pesante
ridimensionamento della campagna a vantaggio della città:
si avvia un processo di urbanizzazione senza precedenti.
La fabbrica e il quartiere determinano una prossimità fisica
che consente una maggiore condivisione del proprio status,
nonché un processo di socializzazione dal quale prende
avvio l’azione politica del proletariato. É proprio la città che
consente agli operai di trasformarsi da classi in sé a classe
per sé, ovvero da aggregato statistico ad attore della
rivoluzione.
Frederic le Play, pone l’attenzione dei suoi studi su una
ricostruzione delle condizioni di vita a partire dei luoghi di
residenza e giunge alla conclusione che, già con la fine del
Settecento, la Francia si trasforma nel regno della famiglia
instabile. La casa è da rintracciare nella profonda
disorganizzazione sociale alla quale sono sottoposti i nuclei
familiari nei centri urbani in via di industrializzazione, dove
gli individui vivono nell’isolamento in mezzo a a folle
innumerevoli e nella miseria.
Booth pone l’attenzione all’incidenza che povertà e miseria,
ma anche agiatezza e guadagni regolari, hanno sul
comportamento sociale, nonché all’influenza che possono
avere luoghi specifici nel riprodurre talune patologie sociali
attraverso le generazioni.
L’industrializzazione determina anche profonde
modificazioni nella struttura fisica della città, infatti Weber
riflette su tre tipi ideali di città: la polis greca, la città
medievale e la città orientale. Weber chiarisce che soltanto
la grandezza fisica non è sufficiente per definire la città,
quanto piuttosto un altro carattere che le dà una particolare
specificità, ovvero le attività che comportano scambi e
commerci. In questo senso ogni città è un luogo di mercato.
La grande città della fine del XIX secolo è anche luogo dove
si esprime una particolare soggettività, vale a dire quella
dell’individuo metropolitano. Quest’ultimo è al centro
dell’interpretazione che Simmel dà del mutamento sociale
che caratterizza la città.
Per Simmel la vita metropolitana sottopone l’individuo a una
continua sollecitazione per l’avvicendarsi di impressioni
esteriori e interiori. Ne consegue che se, da un lato, nella
società metropolitana è maggiore la libertà di movimento,
dall’altro, l’opportunità di appartenere a un numero
crescente di cerchie sociali incrementa le forme di
coinvolgimento del soggetto a scapito del suo equilibrio
psico-sociale. L’individuo sottoposto a questo stile di vita
sviluppo un privassimo in risposta Ale sovra-stimolazioni
sensoriali che la metropoli gli trasmette, il che vuol dire
riserbo, indifferenza e neutralità affettiva. Un meccanismo di
autodifesa in risposta alle tante contraddizioni, agli eccessi
e ai rapidi mutamenti della società urbana. Si profila
l’individuo blasé.
Nella segmentazione della personalità dell’individuo
metropolitano c’è anche il profilo del flaneur e che Benjamin
trasforma in una categoria analitica per leggera la città
moderna. Il flaneur passeggia per la città esplorando i luoghi
e vive un rapporto riflessivo con le persone e gli spazi, nel
tentativo di sfuggire alle pratiche consumistiche e alla
massificazione prodotte dall’economia monetaria.
Il blasé e il flaneur esprimono in modo differente uno stato di
disagio per la modernità che può indurre anche alla ricerca
dell’esagerazione e dell’eccesso per sfuggire all’anonimato
e dare prova di unicità, il che spiegherebbe (secondo
Simmel) anche il diffondersi di continuo di nuove mode nella
metropoli.
-La scuola di Chicago: presupposti e sviluppi
tecnici
Nella metropoli di Chicago (caratterizzata dal fordismo)
nasce un filone di pensiero che vede Thomas come
maggiore figura di pensiero, e che è un convinto sostenitore
di indagini empiriche rivolte all’analisi dell’organizzazione