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LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE
Art. 28
“Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della
attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi
abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate
le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al
datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la
rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in funzione di giudice del lavoro
definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15
giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide
con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli artt. 413 e seguenti del codice di procedura civile.”
L’importanza dell’art. 28
La protezione legislativa della libertà dell’attività sindacale in azienda e del diritto di sciopero si realizza nel modo
più ampio, e con la massima effettività, nell’art. 28 St. lav., vera norma di chiusura della legge (una norma di chiusura
serve a colmare eventuali lacune), che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo della condotta
antisindacale del datore di lavoro.
La fattispecie generale di condotta antisindacale è descritta dall’art. 28 come “tutti quei comportamenti diretti a
impedire o a limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale e il diritto di sciopero”.
Essa è rimasta invariata dal 1970 ma è stata affiancata da 2 provvedimenti del 1990 che individuano 2 ipotesi tipiche di
condotta antisindacale:
1. art. 7 L. n. 146/1990: violazione delle clausole obbligatorie contenute negli accordi sindacali
2. art. 47 L. n. 428/1990: mancato rispetto degli obblighi procedurali in caso di trasferimento di azienda
Il procedimento previsto dall’art. 28 (tra l’altro applicabile anche ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle P.A.):
- si svolge d’innanzi al Tribunale ordinario
- giudice competente è il giudice del lavoro
- il ricorso può avere come oggetto comportamenti lesivi o solo delle organizzazioni sindacali, o anche
comportamenti plurioffensivi, che incidono cioè non solo sul sindacato ma anche sui singoli dipendenti
La fattispecie e il soggetto attivo
La condotta antisindacale è identificata dall’art. 28 nei “comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o
limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero”.
L’unico elemento tipico dell’art. 28 è il soggetto attivo della condotta:
Þ soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro, a prescindere che sia o non sia imprenditore,
privato o pubblico e indipendentemente dal numero di lavoratori alle sue dipendenze.
Per quanto riguarda la condotta antisindacale anche se posta in essere non personalmente dal datore, ma dai
soggetti che secondo l’organizzazione dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile, l’illecito è imputabile
solo e direttamente al datore.
È discussa la tesi se possa essere rilevante la condotta esercitata da un’organizzazione di datori di lavoro (quindi da una
pluralità e non da un singolo datore), ma quella che prevale vede come unico imputabile il singolo datore di lavoro.
Il comportamento
La condotta antisindacale non viene descritta in modo diretto come un comportamento specifico, bensì è identificabile
come condotta antisindacale qualunque comportamento (illegittimo) capace di ledere i beni protetti:
libertà
Ø attività sindacale
Ø diritto di sciopero
Ø
Si dice quindi che l’art. 28 delinea una fattispecie strutturalmente aperta (concede la possibilità di estendere la propria
portata: infatti i beni protetti possono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi, non tipizzabili a priori) e solo
teleologicamente determinata (cioè determinata nel fine).
Il termine comportamento, per la sua genericità, comprende sia gli atti giuridici lesivi (sanzione disciplinare,
licenziamento, trasferimento) sia i meri comportamenti materiali del datore (intimidazioni, minacce, comportamenti
omissivi), a conferma della maggior ampiezza dell’art. 28 rispetto all’art. 15.
Accanto alla fattispecie a struttura aperta, sussistono 2 fattispecie a struttura chiusa (tipiche) introdotte nel 1990:
1) art. 7 L. n. 146/1990 (disciplina lo sciopero nei servizi pubblici essenziali): ritiene applicabile l’art. 28 st. lav. non
solo laddove vi sia una violazione di norme di legge, ma anche allorché da parte del datore di lavoro vi sia stata una
violazione del contenuto di clausole obbligatorie previste dai contratti collettivi.
2) art. 47 3°comma L. n. 428/1990 (disciplina gli obblighi procedurali in caso di trasferimento d’azienda): è condotta
antisindacale il mancato rispetto da parte del cedente o del cessionario degli obblighi di:
- comunicazione: il datore deve informare il lavoratore delle scelte imprenditoriali più importanti
- informazione: dovere di consultare i Sindacati e di acquisire il loro parere su alcune importanti decisioni
imprenditoriali
- consultazione (= esame congiunto): su alcune materie ci deve essere il confronto tra le parti (datore di Lavoro
e Sindacati) che non per forza deve concludersi con una trattativa ed un accordo obblighi previsti nei confronti
delle rispettive RSU o RSA costituite nelle unità produttive interessate, oppure nei confronti dei sindacati di
categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento d’azienda.
I beni protetti
L’elemento centrale della fattispecie a struttura aperta è dunque la lesione dei 3 beni protetti dalla norma:
1. libertà
2. attività sindacale
3. diritto di sciopero
La dottrina e la giurisprudenza hanno rifiutato le prime teorie restrittive secondo cui la norma tutelerebbe solo i diritti
collettivi esplicitamente riconosciuti dalla L. 300 (assemblea, permessi, locali…), a causa proprio dell’ampiezza della
formula normativa che si riferisce ai diritti sindacali elementari (libertà, attività sindacale, diritto di sciopero) nella loro
forma più estesa.
Quindi si ha condotta antisindacale:
- sia quando sono violati diritti sindacali formalmente riconosciuti dallo Statuto (es. impedimento di assemblea,
non concessione di permessi)
- sia quando sono violati altri diritti espressione di uno dei 3 beni protetti dall’art. 28 (cioè si colpiscono uno o
più lavoratori singoli per l’esercizio dei diritti della libertà sindacale, e diritto di sciopero di cui sono titolari:
licenziamenti, trasferimenti, minacce di sanzioni disciplinari, condotta plurioffensiva*…).
* La condotta antisindacale può essere plurioffensiva quando si presta a ledere 2 interessi diversi:
1) l'interesse collettivo di cui è portatore il sindacato
2) l'interesse individuale del singolo lavoratore
Le azioni non sono alternative: eventuali influenze reciproche possono esistere solo di fatto senza alcun rilievo
giuridico (cd tesi di parallelismo delle azioni); secondo tale tesi (avvallata dalla Corte Cost. e dalla Cassazione)
l’esaurimento dell’azione individuale per transazione del lavoratore colpito non preclude, per carenza di interesse
o per cessazione della materia del contendere, l’instaurazione o la continuazione dell’azione collettiva. Il sindacato
ha infatti un proprio interesse a riaffermare l’antisindacalità della condotta a prescindere dall’acquiescenza del
singolo, che può aver accettato la transazione per motivi individuali del tutto irrilevanti o sindacalmente
controproducenti e che in tal caso non si potrà chiaramente avvalere della pronuncia di antisindacalità (in poche
parole l’azione del prestatore –lavoratore. e quella dell’organizzazione sindacale procedono parallelamente senza
influenzarsi: le due azioni sono autonome e a tutela di interessi diversi).
I limiti dell’antisindacalità: antisindacalità giuridica e di fatto
Individuare i limiti entro cui l’esercizio dei diritti dell’art. 28 è protetto dai comportamenti ostativi del datore di lavoro è
la questione principale da porsi, poiché alcuni comportamenti possono rientrare nella normale logica del conflitto di
interessi tra datore di lavoro e lavoratore.
Per esempio una resistenza anche dura del datore a rivendicazioni sindacali corrisponde a un legittimo conflitto
d’interesse tra le parti, pertanto tale comportamento del datore non è reprimibile ai sensi dell’art. 28.
In generale quindi si possono distinguere:
- comportamenti illeciti del datore: tutti quelli ostativi dell’attività sindacale, degli scioperi svolti con le modalità
riconosciute dall’ordinamento, impedimenti ad attività di propaganda e proselitismo sindacale immotivati…
- comportamenti esenti da censura del datore: tutti quelli motivati da reazioni a comportamenti illeciti o non
protetti dai lavoratori
Tuttavia tale distinzione non è di facile interpretazione e vi sono questioni controversie:
A. Antisindacalità e interesse dell’impresa
Il comportamento del datore non è punibile dall’art. 28 quando esistono esigenze tali -che il datore deve
dimostrare- da giustificare il proprio comportamento (es. motivi economici che gli impongono di ridurre l’orario
di lavoro, di trasferire del personale o di licenziarlo).
B. Reazioni allo sciopero
Il diritto di sciopero è protetto dall’art. 28 ma tale norma non dice nulla riguardo i limiti del suo esercizio: tali limiti
sono stati elaborati dalla giurisprudenza e individuati dal legislatore o dalla contrattazione collettiva che ne
definiscono le modalità e gli obiettivi.
Allo stesso modo occorre valutare la legittimità del crumiraggio indiretto che è reputato legittimo in quanto il datore
di lavoro ha il diritto di limitare gli effetti negativi dall’astensione dal lavoro sulla situazione economica dell’azienda.
- crumiraggio indiretto (interno), cioè il comportamento del datore che consiste nel sostituire i lavoratori in
sciopero con altri lavoratori interni, non scioperanti, attribuendo loro le mansioni dei primi: è consentito a patto
che non si violi il divieto di dequalificazio