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FINALITÀ DELLE IMPOSTE:
1. Finanziare la spesa pubblica;
2. Perseguire la giustizia redistributiva, ovvero l’eguaglianza dei redditi.
Storicamente negli ultimi 15 anni la povertà nel mondo è diminuita enormemente e questo possiamo
osservarlo tramite:
La povertà assoluta è la condizione di chi si trova al di sotto di un valore soglia di reddito o di consumo
convenzionalmente stabilito. Il valore soglia su cui ci basiamo è $2 al giorno a parità del potere d’acquisto
del 2011.
Nel 1990 il 37% della popolazione mondiale era sotto la soglia dell’1,9$ al giorno, più di 1/3 della
popolazione mondiale. Nel 2012 si passa dal 37% al 12,7% mentre oggi siamo al 9,6% della popolazione
mondiale (dato a fine 2015). Questi grossi miglioramenti arrivano dall’india e dalla Cina che sono cresciuti a
tassi molto elevati e quindi molti indiani e cinesi sono diventati meno poveri.
Nel grafico osserviamo quella che può essere la concentrazione del reddito, in dollari del 1990, negli anni
1820, 1970 e 2000. In ascissa misuriamo il reddito pro-capite misurato in dollari del 1990 mentre in
ordinata misuriamo il numero di individui in milioni. Più la curva si stringe più i redditi sono
concentrati intorno al valore di reddito pro-
capite in corrispondenza della media.
Se osserviamo la curva del 1820 osserviamo che
la maggior parte della popolazione aveva un
reddito pro-capite in dollari del 1990 pari a circa
$500 mentre gli individui ricchi tendono a ridursi
notevolmente all’aumentare del reddito pro-
capite.
Nel 1970 osserviamo 2 gobbe, questo vuol dire
una accentuata diversificazione tra individui
ricchi con un reddito pro-capite medio di $7.000
e individui meno ricchi con un reddito pro-capite di circa $900. Infine negli anni 2000 si osserva come ci sia
stata una normalizzazione della ricchezza con un reddito pro-capite medio di circa $2.500.
Per quanto riguarda la povertà assoluta, quindi, possiamo dire che nel tempo c’è stato un miglioramento; i
più poveri sono diventati un po’ più ricchi e la classe medio bassa è diventata la classe medio alta negli anni
2000.
La povertà relativa è la condizione di chi si trova al di sotto di una certa % di reddito o consumo rispetto ai
valori medi della comunità di riferimento.
Consideriamo sempre che i dati sul reddito sono al lordo delle imposte e dei trasferimenti, quindi per avere
dati coerenti con la reale situazione di povertà bisogna prendere i valori netti. Inoltre bisognerebbe
parametrare il reddito degli individui in base al costo della vita nel luogo in cui vivono, ad esempio avere 4
25.000€ e vivere a Milano non è la stessa cosa che avere 25.000€ e vivere in un paesino di qualche migliaio
di abitanti. Un dato reddito infatti consente condizioni di vita molto differenti a seconda del contesto nel
quale viene percepito.
Teorema di Atkinson distribuzione del reddito e benessere sociale
Se ogni individuo ha una funzione di utilità crescente e concava nel livello del proprio reddito e se
l’ammontare di reddito complessivamente disponibile in una comunità non dipende dal modo in cui è
distribuito, allora una distribuzione più equa del reddito è associata a un più elevato livello di benessere
sociale.
La prima ipotesi (se ogni individuo ha funzione di utilità crescente e concava nel livello del proprio reddito)
equivale ad assumere che l’utilità di ogni individuo dipende dal reddito e, poiché la funzione è assunta
crescente e concava, ciò significa che dosi aggiuntive del reddito individuale incrementano l’utilità
individuale, ma in misura via via decrescente. Pertanto, quando si sottrae un’unità di reddito a chi ha un
reddito elevato per trasferirla a chi ha un reddito basso, il decremento di utilità arrecato al ricco sarà
minore dell’incremento di utilità che l’unità aggiuntiva determina per chi, più povero, la riceve. In questo
caso, il trasferimento di reddito aumenterà l’utilità della società, in quanto il beneficio per il povero eccede
il danno arrecato al ricco.
La seconda ipotesi (l’ammontare complessivo di reddito non dipende dal modo in cui esso è distribuito)
richiede che eventuali redistribuzioni non modifichino la somma complessiva dei redditi e quindi che la
redistribuzione non sia costosa.
Critiche:
1. La redistribuzione è costosa: nel momento in cui si opera un trasferimento di reddito, non è detto che
tutto il reddito sottratto a chi è più ricco effettivamente giunga a chi è più povero. Questa storia è talvolta
raccontata ricorrendo alla Metafora del secchio bucato di Okun: la redistribuzione del reddito sarebbe
come portare acqua da chi ne ha tanta a chi ne ha poca con un secchio bucato. Nel momento in cui si opera
il trasferimento, parte dell’ammontare trasferito viene perso.
2. Le politiche redistributive vanno a colpire chi ha maggiore reddito e pertanto disincentivano la
produzione di reddito proprio da parte di chi ha maggiore capacità nel generare reddito. Questa
considerazione potrebbe addirittura suggerire politiche redistributive a favore dei ricchi: questo punto è
illustrato dalle teorie cosiddette “trickle-down”, traducibile in “sgocciolamento verso il basso”: l’idea è che
favorire chi ha un alto reddito consenta, per quanto riguarda la comunità, una maggiore produzione di
reddito di quanto ne sarebbe prodotto mettendo in atto politiche redistributive standard, e il maggior
reddito complessivo finirebbe anche con il favorire quelli con reddito minore, sui quali il reddito
sgocciolerebbe dall’alto.
Tesi di Piketty distribuzione funzionale del reddito tra fattore capitale e fattore lavoro
Siccome il tasso di rendimento del capitale è più elevato del PIL la quota di reddito di cui si appropriano i
capitalisti sostanzialmente aumenta. Se lasciamo che le cose vadano in questo modo si finisce schiavi dei
capitalisti che mangiano quote di reddito.
Piketty però sbaglia perché non considera un sacco di cose come l’inflazione, la dissipazione della ricchezza
del tasso di rendimento reale ecc. La capacità di bruciare ricchezza da parte dei ricchi è molto elevata e
questa viene erosa molto velocemente dalla prima generazione, successivamente le seguenti generazione
consumano la ricchezza gradualmente mentre per quanto riguarda tutte le altre generazioni in media
queste sperperano tutta la ricchezza accumulata dalla prima generazione o dalle generazioni precedenti,
quindi non è vero che la ricchezza si eredita e basta perché questa con le generazioni si estingue.
Inoltre non è nemmeno vero che i ricchi fanno fruttare la propria ricchezza in modo molto più elevato
rispetto a quanto non possa farlo la gente comune, cioè il tasso di rendimento degli investimenti dei ricchi
sono gli stessi ai quali può avere accesso un individuo meno ricco, questo risultato si osserva andando a
vedere come la quota di capitale negli anni tra ricchi e poveri è rimasta costante.
Il ruolo della politica economica è redistributivo tra la personalità del reddito e la funzionalità del reddito
appena vista. 5
WELFARE STATE
Una seconda finalità dell’intervento pubblico è la fornitura del cosiddetto stato sociale o welfare state.
Produzione di beni di merito che appartengono a 3 grandi categorie: la previdenza, l’assistenza e la sanità.
A queste si aggiunge l’istruzione anche se questa normalmente non fa parte dello stato sociale.
La nascita dello stato sociale risale al 1800 che vede come precursore Napoleone Bonaparte il cui obbiettivo
era quello di indurre i francesi ad arruolarsi nell’esercito dello stato.
Bismark anche voleva fare in modo che i cittadini tedeschi si identificassero nello stato tedesco per arrivare
ad una visione nazionalista, il futuro per i cittadini tedeschi deve essere la sua nazione, proprio come lo
stato serve il cittadino tedesco, questo deve servire lo stato.
Un tipo diverso di stato sociale prende corpo all’inizio degli anni ’90 negli USA da un gruppo di persone che
si definiscono progressivisti, nemici dei liberisti, che prendono il modello bismarkiano e lo coniugano con il
capitalismo dei Morgan.
La tradizione progressivista poi divenne ancora più importante attraverso una serie di accordi industriali
con cartelli per contrastare il modello liberista.
In Italia lo stato sociale nasce con il fascismo mussoliniano (prima INFPS e oggi INPS), dove le quote
importanti riguardano la previdenza, la sanità, l’istruzione, gli interessi sul debito pubblico, l’ordine
pubblico, la difesa e infine le spese burocratiche.
Dato che gli individui non sono capaci ad essere previdenti e non risparmiano a meno che non glielo si dica
allora lo Stato si fa carico di questa inadempienza e obbliga gli individui al contributo pensionistico, non è
chiaro però perché i contributi pensionistici debbano finire allo Stato e non a un privato o un’agenzia
pensionistica.
La previdenza
Per previdenza si intende un sistema nel quale gli individui versano contributi durante il periodo lavorativo
per poi usufruire (tramite rendita) di tali versamenti durante il periodo di quiescenza ovvero di inattività
lavorativa.
Quali sono i suoi fondamenti? Ce la possiamo permettere?
La spesa per le pensioni in Italia rapportata al PIL equivale al 15% (dato del 2010)
Come previdenza in Italia distinguiamo 3 tipi di pensione:
1. Pensioni di vecchiaia
pensioni che vengono erogate a chi raggiunge una certa età e soggette ad un minimo di anni di
contribuzione. La questione sul percepimento delle pensioni non riguarda solo il paese di origine
perché chi si trasferisce in un altro paese perde la continuità di contribuzione nel paese di origine e
rischia di non percepisce nemmeno la pensione nel paese in cui si sposta perché molto
difficilmente raggiungerà i requisiti di contribuzione minimi.
2. Pensioni di anzianità
pur non avendo raggiunto l’età avanzata dalla legge o dalle norme contrattuali chi vuole ritirarsi
dal lavoro percepisce la pensione sulla base dei contributi versati (bisogna altresì avere un
requisito contributivo che solitamente è ridotto a un minimo anagrafico). Anzianità significa porre
l’accento sulla contribuzione del lavoratore. Per esempio le baby-pensioni venivano erogate a chi
aveva un minimo di 20 anni di contribuzioni con età minima di 40 anni.
3. Pensioni di invalidità
pensioni che vengono erogate a coloro che certificano di essere diversamente abili nell’esercizio di
un lavoro
4. Pensioni sociali
Pensioni di cittadinanza per coloro che