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In questo primo capitolo il Professor Giuseppe Milan vuole affrontare il problema sempre più
recente dell’immobilismo da parte della società odierna, che continua a mostrare e ripetere il
“già visto”, praticando sempre più la conservazione. La proposta fatta in questo libro viene
sintetizzata brevemente dal titolo “We can change!”, che tradotto vuol dire “noi possiamo
cambiare!”, è uno stimolo a fermarsi un attimo e reagire, a non farsi ammaliare dall’arte
seduttiva del pessimismo.
1. Oltre il nero
Il grande sociologo francese Alain Touraine spinge la nostra società ad andare oltre la crisi, che
viene paragonato all’andare oltre il nero, senza rimuoverlo o evitarlo con delle strategie di fuga.
È davvero importante al giorno d’oggi rimettere in gioco la parte di noi che è stata trascurata,
dobbiamo essere soggetti che riescono a ritrovare il senso prima di tutto di noi stessi e cercare
anche di essere dei “creatori di senso di fronte al non senso”, di fronte a questa società che
man mano viene sempre meno. Questa è una sollecitazione ad includere il nero e scoprire in
esso degli spiragli di luce, utilizzata come metafora per far capire all’uomo che deve incontrare
e ospitare il lato nascosto di noi stessi e dell’altro : questa è l’opera educativa di inclusione alla
quale siamo chiamati oggi per essere all’altezza della nostra vocazione di uomini e cittadini. Per
costruire una città con una base solida c’è bisogno di cittadini attivi e responsabili, che siano
interculturali e riescano a includere e ospitare chiunque altro. Questa sfida riguarda ciascuno di
noi e nel contempo può anche aiutare il nostro vivere insieme, la nostra città che anch’essa è
caratterizzata dall’addormentamento. Molto probabilmente al giorno d’oggi c’è la necessità di
avere degli “svegliatori”, capaci di farci aprire gli occhi e spiegarci che abbiamo intrapreso una
direzione comoda, ma sbagliata, e che ci aiutino a individuare delle vie veramente costruttive.
2. Lo sconcerto dell’uomo senza dimora
L’andamento dell’uomo odierno assomiglia a un banale vagabondare “terra terra”, senza
spessore né esistenziale né etico. Bauman sostiene che questo fluire è tipico della nostra
società da lui definita “liquida” : tutto diventa più inconsistente e gli stessi individui soffrono
l’incertezza identitaria, la precarietà esistenziale, non riuscendo a dar luogo a sé stessi. Bauman
crede in un appiattimento degli esseri umani contemporanei, che si sono abituati a una frenesia
che li rende incapaci di cogliere il valore del “fermarsi”. Gli uomini sfuggono qua e là, sia da sé
stessi che dagli altri, come se pattinassero sul ghiaccio sottile, consapevoli che la base
d’appoggio è fragile e per questo devono velocizzare i loro comportamenti, soltanto la
velocità, che sfiora tutto e tutti superficialmente, può consentire di non sprofondare. Ma
correndo così velocemente, si ci può realmente incontrare? Ultimamente anche la navigazione
virtuale presenta elementi simili al pattinare sul ghiaccio, inconsistente e inaffidabile. A
proposito uno studioso bielorusso mette in evidenza i limiti dell’internet-centrismo riguardo la
possibilità di elaborare eventi creativi e realmente trasformativi. Inoltre un uso distolto dei
social media banalizza a tal punto le relazioni umane da trasformarli in veri e propri separatori
sociali.
Inoltre abbiamo anche un dilagarsi dei non-luoghi che inibiscono l’identità, la relazione e il
senso del tempo. Con il commercio online, con il quale si sono velocizzati gli spostamenti e i
tempi di acquisto, il tempo perde la sua importanza e si vende e si compra ogni cosa senza
l’incontro diretto tra due persone. La conseguenza dei non-luoghi è che l’individuo diventa la
non-persona, privata della sua identità e della sua fisionomia, in quanto i cittadini dei non-luoghi
sono sempre caratterizzati dall’anonimato.
In poche parole abbiamo una metamorfosi dell’uomo, caratterizzata dall’invisibilità identitaria,
ma dove è possibile incontrare quest’uomo? Abbiamo due pareri, di Martin Buber e Martin
Heidegger.
Buber descrive la condizione dell’uomo odierno come un essere “senza dimora”, che non ha
una casa ed è sperduto in aperta campagna.
Heidegger pensa che l’uomo ottiene la sua autenticità e riesce a realizzarsi abitando,
occupando uno spazio, dando ad esso forma.
3. I bunker della paura
L’inconsistenza identitaria del soggetto trova corrispondenza anche nella città. Abbiamo infatti
il boom per quanto riguarda le costruzioni di difesa e di separazione, sempre più presenti nelle
città odierne. Viene anche in mente a tale proposito “la città sotterranea” : In Turchia Orientale
esiste la città di Derinkuya, importante meta di turismo, nel 1963 in occasione dei lavori di
ristrutturazione della propria casa, un abitante del luogo ha abbattuto un muro, scoprendo che
da lì si apriva la via di passaggio a una vera e propria rete sottoterra. Nel sottosuolo a 85 metri
di profondità vi era una vera e propria città sepolta, con circa 600 accessi nascosti, nella quale
attorno all’800 a.C. (anno della creazione) le persone si rifugiavano per avere protezione.
Anche in Irlanda esiste un muro sprofondato che non serve a separare i vivi, bensì i morti, per
assicurare la separazione tra cattolici e protestanti. Bauman sostiene che queste strutture di
divieto e separazione, più psico-culturali che fisiche, sono presenti anche in superficie e in
molto ambiti sembrano espandersi e moltiplicarsi. Egli pensa che solo l’educazione potrebbe
fare qualcosa per migliorare la situazione. La filosofa Michela Marzano pensa che le barriere,
invece di proteggere, sottolineano ancora di più le differenze e contribuiscono a instaurare una
paura sempre nuova, la paura, infatti, porta a credere che il nemico sia dappertutto e che sia
pericoloso, la presenza di un muro serve a rinforzare lo spavento.
4. Abitare il giardino
La condizione dell’essere umano, disorientato e sconcertato, interessa inevitabilmente
l’educazione. In ambito pedagogico la tematica del luogo e dell’abitare non è affatto nuova, il
“giardino” da sempre è stato considerato come luogo dell’uomo e dell’umanità, dimora vivibile
e spazio aperto oltre le pareti di un’abitazione. Fin dall’antichità prende il nome di EDEN,
paradiso, luogo dove si vive e si passeggia, di ricreazione e socialità, a patto che i valori della
relazione autentica vengano rispettati. Platone quando sottolinea il PANTAKU’, che vuol dire
dappertutto, si riferisce agli spazi aperti dove si possono apprendere nuove cose, rispettando i
valori del bello, del buono e del vero. Abbiamo dal passato fino ad oggi tantissimi pedagogisti
che parlano del giardino:
Comenio Sostiene che i genitori o gli educatori devono piantare, potare e irrigare. Per
apprendere gli alunni hanno bisogno di un ambiente educativo simile a un giardino, dove
l’insegnante ha il compito di annaffiare le piante di Dio. Il giardino per Comenio non è un luogo
idilliaco, ma un luogo che deve essere ben organizzato e piacevole, che possa favorire
l’educazione. Le scuole sono “giardini di delizia”, nei quali secondo la “pansofia” di Comenio è
possibile insegnare tutto a tutti, per far realizzare ognuno degli alunni.
Rousseau Nell’Emilio, la sua opera più importante, rileva che si imparano molte cose
significative proprio a contatto con la natura, nell’incontro con essa il bambino può apprendere
molto, quest’educazione indiretta favorisce l’apprendimento, senza essere contaminata dalle
influenze negative dell’educazione diretta. L’educatore si nega (educazione negativa) e ha solo
il compito di accompagnare l’educando nel terreno adatto della natura, che diventa fonte di
educazione e istruzione.
Froebel Il pedagogista che più di tutti parlò di giardino fu Froebel, che nel 1840 fondò il
primo giardino generale tedesco, chiamato anche KINDERGARTEN. I bambini nascono proprio
come dei fiori e le maestre – giardiniere devono favorire la crescita naturale e spontanea. Il
giardino di Froebel ricorda l’ambiente domestico e a esso vengono aggiunti dei giochi e delle
attività educative.
Giovanni Bosco La sua “educazione preventiva” implica una cura per far crescere l’educando
nel migliore dei modi, grazie alle fatiche che successivamente ripagheranno. Don Bosco
sottolinea l’importanza della relazione tra educatore ed educando, un’alleanza fondata sulla
fiducia e sull’amore, un rapporto che garantisce un accompagnamento. Il giardino non è un
semplice luogo, ma un paesaggio che viene curato con attenzione.
Il luogo – giardino ci ricorda una relazionalità, un equilibrio, il giardiniere ha il compito di
mantenere in vita e di rispettare una progettualità significativa. Va specificato che il giardino
esclude la coltivazione attuata per finalità economiche, esso è luogo di convivenza di diverse
bellezze, ognuno delle quali contribuisce a suo modo affinché tutto sia funzionale. Ricordiamo
che la manutenzione del giardino non è standard e abitudinaria, bisogna sempre guardare con
occhi nuovi, riuscendo a sorprendere noi stessi e gli altri. Spesso c’è il rischio che la familiarità di
questo luogo non sia un vantaggio e che porti alla mancanza di stupore : educare al luogo –
giardino implica quindi di rinnovare la modalità di osservazione di modo che non sia né troppo
familiare né troppo sconosciuto, non deve essere pensato come luogo passivo.
5. Abitare la città ed esserne abitati
Concordiamo con Bauman riguardo la liquidità della cultura odierna, possiamo aggiungere
anche che secondo il nostro parere l’uomo oggi sembra denunciare una forte sterilità interna,
assenza di linfa vitale e valoriale, possiamo par