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Dettare principi fondamentali cui le Regioni si devono attenere per legiferare
3. sull’«istruzione artigiana e professionale» (che doveva continuare ad esistere non alle
dipendenze dello Stato, ma con un forte radicamento territoriale e sociale), loro
riservata dall’art. 117 co. 1 Cost. (versione del 1948). Furono i cattolici ad insistere per
introdurre in Costituzione le Regioni.
4.3. I compiti e le responsabilità delle scuole
Sulla base di quanto detto, le scuole statali e non statali paritarie hanno alcuni compiti e
responsabilità:
Tutte le istituzioni scolastiche, statali e non statali paritarie, devono essere soggetti
1. istituzionali che realizzano la propria autonomia, interloquendo direttamente, da
“maggiorenni”, con i vincoli costituzionali e di legge, nonché rispondendo in prima
persona delle proprie scelte sia di interpretazione della normativa repubblicana sia dei
risultati educativi e culturali raggiunti o non raggiunti (accountability) e verificati dallo
⟹
Stato non avrebbe dovuto esserci l’intermediazione tecnico-professionale-
amministrativa di nessuna gerarchia. Il problema era stabilire precise norme generali
per selezionare il personale professionista della scuola con criteri di merito e di
imparzialità.
2. Ciascun insegnante è chiamato all’esercizio della libertà e della responsabilità
costante del giudizio e dell’arbitrato, cioè della sua autonomia professionale. Tutto ciò
viene garantito dai vincoli rappresentati dalle «norme generali sull’istruzione», che
garantiscono ad ogni scuola e ad ogni docente di decidere in libertà e responsabilità
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professionale che cosa fare, perché, quando, come e a che livello, nella situazione e
nelle circostanze date, rendendo conto delle proprie scelte allo Stato, alle famiglie e
⟹
alle altre «formazioni sociali» l’atteggiamento previsto dalla norma costituzionale
non era l’applicazione esecutiva, ma la progettazione e l’azione riflessiva.
5) La «scuola» della Repubblica nella costituzione materiale
Senza pretendere che l’intero quadro istituzionale e professionale desumibile dalla
Costituzione formale si realizzasse, era però ragionevole aspettarsi che fosse inaugurato
senza equivochi. Non fu così, anzi i poteri ben costituiti esistenti vinsero su quello
costituente, per varie ragioni:
- I laico-liberali azionisti temevano la clericalizzazione del paese, ed erano spaventati
dall’iniziativa dei cattolici più aperti al superamento dell’esistente
- I comunisti ritennero più funzionale ai loro scopi (raggiungere il governo del Paese) uno
Stato centralizzato e centralizzatore
- La parte più retriva del mondo cattolico riteneva più rassicurante il centralismo statalista
⟹ tutte le linee politiche convennero nel “tornare al 1923” in tema di istruzione e
formazione.
5.1. La deformazione dei compiti della Repubblica
Gentile non predispose per le scuole secondarie programmi di insegnamento, ma
programmi d’esame che sarebbe stato poi compito dei docenti distribuire nei loro contenuti
sui diversi anni di corso. A poco a poco però il fascismo aveva “fascistizzato” questi
→
indirizzi 1929 ministero da “della pubblica istruzione” diventa “dell’educazione
nazionale”; 1936 il ministro Cesare De Vecchi emanò programmi di insegnamento ispirati
alla trasmissione dell’ideologia fascista ed aggiunse un rigido controllo da parte del
ministero sui libri di testo delle scuole.
Nel dopoguerra il programma del “patriottismo costituzionale” era solo quello di “pulire” i
programmi di insegnamento e i libri di testo dalle filtrazioni contenutistiche fasciste tuttavia
⟹
inerzia dei vecchi contenuti i libri di testo, per il resto, vennero lasciati come erano con
quell’insieme di valori, criteri di giudizio, modi di vedere il mondo e la storia nazionale che
li caratterizzavano durante il fascismo; i programmi di insegnamento furono
sostanzialmente mantenuti, inoltre non cambiarono né i docenti, né la loro formazione, né
l’insieme della “cultura scolastica”.
Altro compito affidato dalla Costituzione allo Stato era quello di dettare “le norme generali
sull’istruzione”.
→ il ministro della pubblica istruzione Gonella (DC) nel 1947 nomina una Commissione di
indagine per la riforma del sistema di istruzione e di formazione. Il testo, dopo la nomina di
una nuova commissione e una prima versione di 286 articoli, si compose di 56 articoli e fu
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depositato alla Camera il 13 luglio 1951. Gonella fu accusato di escludere dalle
commissioni uomini antigovernativi al fine di imporre la propria ideologia cattolica
integralista, di esaltare la scuola privata e umiliare quella statale. I cattolici si aspettavano
che le “norme generali sull’istruzione” contenessero una norma generale sulle scuole non
statali che chiedevano la parità, che assicurassero ai propri iscritti un trattamento
⟹
equipollente a quelli che frequentavano le scuole statali premettero su Gonella affinché
abbandonasse l’ambizione di riformare l’intero sistema scolastico e si limitasse ad
⟹
approvare una legge sulla parità scolastica la riforma Gonella non fu più ripresa, il
clima politico impedì l’attuazione della parità normativa.
Negli anni 50 i democristiani guidarono la svolta amministrativa o ministeriale della politica
scolastica italiana.
5.2. La deformazione dei compiti dello Stato
- Gestire e non solo istituire, scuole statali, mantenendo la legislazione precedente
Quando il ministro Gonella arrivò al ministero la situazione era drammatica: analfabetismo
⟹
a livelli altissimi, scuole distrutte, pochi insegnanti la priorità non poteva essere
l’attuazione dell’impianto della Costituzione formale. Inoltre tutte le responsabilità della
“ricostruzione scolastica”, dopo il fascismo, ricadevano solo sullo Stato (le regioni non
⟹
esistevano, comuni e province non avevano responsabilità) nell’immediato dopoguerra
solo lo Stato e la macchina amministrativa del ministero messa a punto dal fascismo
potevano tecnicamente e realisticamente essere in grado di concretizzare, nell’immediato,
l’obiettivo di una scuola funzionante. Vi fu la rimozione del ruolo dello Stato secondo la
lettera e lo spirito della Costituzione formale, a causa di due fattori:
1. L’emergenza divenne continua e si trasformò in normalità (Il numero di iscritti nelle
scuole di ogni ordine e grado continuò ad aumentare in maniera consistente). L’unica
componente della Repubblica in grado di finanziare l’apertura di nuove scuole e la loro
⟹
gestione era lo Stato (che raccoglieva le imposte) vi fu una coincidenza tra Stato e
Repubblica con conseguente interpretazione del fondamentale art.3 comma 2 della
Costituzione. Così il problema della libertà di scuola (equipollenza trattamento scuola
necessità di aprire nuove scuole.
privata e statale) diventa marginale rispetto alla
Inerzia del modello della scuola apparato: le scuole non venivano solo istituite, ma
2. anche gestite dallo Stato secondo “un’organizzazione fordista centrata sul paradigma
⟹
militare di stampo napoleonico” (Luigi Einaudi) alle scuole, di fatto, viene negato di
essere, così come indicato nella Costituzione, “una formazione sociale” all’interno della
quale ogni cittadino sviluppa la propria personalità secondo i principi dell’autonomia
(art.5 della Costituzione).
- Il controllo spostato dai risultati alle procedure
Durante il fascismo aumentarono i vincoli amministrativi di procedura per gli studenti, i
responsabilità
docenti e le scuole, i programmi d’esame (Gentile), che lasciavano spazio di
a docenti e scuole, vennero sostituiti con programmi di insegnamento (1936). 10 di 12
Questa tendenza nel dopoguerra non solo non si interruppe, ma venne addirittura
potenziata. Lo sviluppo delle funzioni di verifica e controllo sia della funzionalità delle
scuole statali e paritarie sia degli apprendimenti intermedi e finali degli studenti, si
pensarono meglio esercitate tramite la gestione diretta centralistica da parte della
burocrazia ministeriale delle procedure amministrative volte all’erogazione uniforme a
livello nazionale del servizio di insegnamento. Con l’uniformità delle procedure istituzionali,
organizzative e amministrative messe in campo dal centralismo ministeriale, si ritenne
garantito il traguardo dell’uguaglianza sostanziale e della qualità dei risultati formativi.
- La “statalizzazione” dell’istruzione professionale e l’invenzione della “formazione
professionale” regionale.
L’istruzione artigiana e professionale non era mai stata statale, nemmeno nel dopoguerra.
Lo divenne quando lo Stato, a seguito dell’esplosione, a partire dagli anni 50, della
domanda di istruzione artigiana e professionale, parassitò la possibilità di istituire e gestire
corsi professionali all’interno dell’istruzione tecnica statale (prevista a partire dal 1938) e
“inventò” l’istruzione professionale statale. Ci si impegnò perché culturalmente e
pedagogicamente fosse opinione comune che le scuole dell’istruzione artigiana e
professionale territoriali, che le Regioni avrebbero dovuto normare e sviluppare per
Costituzione (art.117), dovessero essere qualcosa che non avesse a che fare con la
cultura, con l’educazione e l’istruzione delle persone, ma con l’addestramento al lavoro.
Quando le Regioni furono istituite (1970) ci si impegnò a rendere naturale non solo la
distinzione ma anche la separazione tra “scuola dell’istruzione professionale
statale” (istruzione) e “centri della formazione professionale regionale” (lavoro, non
istruzione, né tantomeno formazione della persona) assegnati alle regioni con la legge 845
del 1978.
5.3. La deformazione dei compiti e delle responsabilità delle scuole
Sul piano dell’azione concreta dei docenti, delle loro abitudini professionali, della loro
formazione iniziale e in servizio, l’avvento della Repubblica non segnò alcuna discontinuità
con il periodo fascista, ciò è visibile:
- dipendenza: i docenti dovevano obbedire ai presidi, che obbedivano ai provveditori, che
obbedivano alle direzioni generali del ministero che avrebbero dovuto obbedire alle
direttive del ministro (il quale, alla fine, obbediva alle abitudini e alle idee dell’alta
⟹
burocrazia) il ministero predisponeva le istruzioni per gli adempimenti (co