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ROMA:
Le difficoltà finanziarie di Roma durante la Seconda Guerra Punica e in particolare durante l'invasione di Annibale in
Italia, sono ben conosciute. Come misure finanziarie si ricorse allora ad un prestito da parte di Ierone di Siracusa, al
raddoppiamento delle imposte ed anche ad un prestito da parte dei cittadini; la monetazione ne subì le conseguenze:
fu battuta per la prima volta una moneta d'oro [88]; la moneta d'argento, che aveva un titolo dl 97% circa, fu svilita al
di sotto dell'89 circa, ed il bronzo calò di peso in modo drastico. Fu istituito un nuovo sistema di monetazione basato
sul denarius nel 212 circa a.C., la trazione italica di monete in bronzo non esisteva più.
La creazione del nuovo sistema monetario basato sul denario segnò un ritorno alla stabilità che appare ancora più
notevole se si considera che il denario rimase la moneta standard d'argento per 450 anni [90].
C'erano ancora segni di difficoltà; l'emissione di una moneta d'oro parallelamente al denario può essere vista come un
indizio di difficoltà persistenti [89]; anche se la nuova coniazione in oro era cominciata alcuni anni prima, è possibile
sia stata finanziata in parte con i contributi dei cittadini romani do ogni livello e con il ricorso all'oro nell'aerarium
sanctius, che era stato accantonato per essere usato nelle emergenze. Insieme al denario d'argento fu coniato un altro
nominale d'argento, il victoriatus, con un contenuto argenteo di appena 84% [91]; i vittoriati a basso contenuto di
argento continuarono ad essere emessi in gran numero fino alla fine della loro produzione intorno al 170 a.C.
ATENE E ROMA alcune linee comuni:
entrambe erano sotto grande pressione per le invasioni nemiche; entrambe ricorsero alla coniazione di oro riservato
per le emergenze; entrambe integrarono le loro scorte di argento sostituendole con moneta di metallo vile.
Monetazione in tempi di crisi (Roma esclusa)
L'emissione di moneta in oro può talvolta essere vista come una conseguenza di crisi specifiche.
Svalutazioni sempre connesse a Roma.
La moneta cartaginese sembra sia stata sistematicamente svilita riducendo il contenuto d'oro nell'elettro dal 98% dei
primi del IV secolo a.C. [81] al 30% durante la Seconda Guerra Punica. Anche in questo caso è il conflitto con Roma a
fornire il contesto della svalutazione.
Un altro gruppo di monetazioni che mostrano una significatica svalutazione fu quello "celtico": le monete locali di
Gallia e Britannia, furono fortemente svilite nel periodo che culminò con l'annessione a Roma [149-152]; una
significativa svalutazione dell'oro gallo-belga è stata attribuita al periodo delle Guerre Galliche di Cesare (mostrando
anche in questo caso le responsabilità della pressione romana su questi territori) [149].
Nel mondo greco si ricorse più frequentemente alla riduzione dello standard ponderale che non alla riduzione
dell'intrinseco; c'era forse una tendenza naturale alla riduzione del peso poichè gli stati incassavano e poi riconiavano
monete usurate, ma è anche vero che riduzioni ponderali più marcate potevano essere legate a necessità specifiche.
La convergenza cronologica di queste riduzioni indicherebbe secondo alcuni una scarsità generalizzata di argento nel
Mediterraneo orientale come conseguenza dei saccheggi romani.
Gli esempi elencati finora mostrano chiaramente che le pressioni finanziarie, particolarmente in tempi di guerra,
furono spesso una causa significativa di manipolazioni monetarie. Un ruolo particolarmente importante va attribuito
alle spese militari volte ad arrestare l'espansione di Roma, unitamente alla perdita di metallo causata dall'acquisizione
da parte di Roma di metalli preziosi attraverso saccheggi, indennità ed annessioni.
Bisogna ricordare che le mutazioni monetarie potevano essere di natura completamente diversa, esempio:
l'imposizione di sistemi monetari chiusi, il profitto, il controllo degli scambi esterni, il contenimento della moneta
d'argento entro i confini di un regno, le pressioni finanziarie.
Le manipolazioni monetarie nel mondo romano
Il crollo del sistema monetario imperiale nel III secolo d.C. fu tangibile. La moneta d'oro venne battuta con pesi più
bassi e irregolari e in piccole quantità e fu anche svilita; il titolo dell'argento cadde sotto il 2%; la produzione di moneta
in metallo vile fu in pratica abbandonata per un certo periodo; si vide inoltre la fine delle produzioni provinciali e
civiche.
Sotto Aureliano e Diocleziano si tentò di riformare e stabilizzare la moneta, con risultati migliori per le coniazioni di
metallo prezioso. Sotto Costantino l'oro raggiunse una stabilità che durò a lungo.
La moneta di biglione fu continuamente soggetta ad un più serio declino, con l'introduzione di riforme e nuovi valori di
cambio per tutto il IV secolo d.C.
La nostra comprensione di tutte queste riforme monetarie è fortemente ostacolata dalla mancanza di testimonianze
sui valori di cambio dei tempi specifici di moneta nelle varie fasi.
E' chiaro che ci fu una tendenza al declino progressivo del contenuto argenteo della moneta in baglione unita ad un
continuo abbassamento del valore di cambio delle monete contro il denario, nonostante tentativi periodici di
ristabilire una monetazione di miglior qualità.
Per quanto riguarda l'andamento di declini e riforme della monetazione romana in tutti i periodi ci sono diverse
motivazioni, di sicuro l'inadeguatezza delle finanze di stato fu una delle principali cause della riduzione degli standard.
Nella tarda Repubblica lo svilimento della moneta d'argento fu raro: in un contesto di grandi spese militari, quali la fine
della Guerra Sociale per la moneta di Roma ed il periodo precedente la battaglia di Azio per quella di Marco Antonio
[109].
Walker ha dimostrato in modo convincente che ogni svalutazione nel periodo da lui trattato si è verificata in un
contesto di spese statali particolarmente alte, a causa di guerre, distribuzioni di denaro in occasione dell'assunzione al
potere imperiale o di qualche anniversario, o per varie forme di eccessiva prodigalità; lo svilimento contribuiva quindi
a bilanciare le entrate e le uscite. La sua interpretazione trova un'importante conferma nel fatto che durante il I secolo
d.C. le svalutazioni a Roma ebbero luogo precisamente come previsto secondo il suo modello, vale a dire sotto Nerone
nel 64 d.C. dopo il grande incendio, e nel 70 d.C. quando Vespasiano fronteggiò la crisi finanziaria conseguente alle
guerre civili.
Alcune delle svalutazioni note avvennero in periodi di grandi spese, come quando Costantino dovette mettere insieme
le sue forze contro Massenzio o quando Costante II dovette pagare le sue campagne contro Magnenzio.
Il legame tra svilimento dell'intrinseco e grande spesa pubblica è confermato dall'osservazione che la svalutazione
tendeva ad essere accompagnata da un aumento dell'attività de zecca e che un temporaneo abbassamento del titolo
monetale si verificava a volte all'inizio del regno.
Le riforme monetarie possono aver avuto altre cause; si vedano ad esempio i tentativi di migliorare la monetazione.
I miglioramenti tentati da Domiziano, Pertinace, Macrino e Giordano I e II, continuati poi sotto Balbino e Pupieno,
avvengono dopo un cambiamento di dinastia e devono essere inseriti nel contesto più ampio dei tentativi
"conservatori" di restaurare gli standard antichi di rifiutare i misfatti dei predecessori [174-175].
Motivo per accettare anche cause non fiscali per le riforme monetarie è il fatto che la moneta d'oro non veniva
sempre modificata allo stesso momento di quella d'argento e non sempre nello stesso grado.
Se venivano ridotti gli standard per aumentare il potere di spesa dello stato, non significa che tutti gli elementi della
monetazione venissero ridotti in modo uguale e simultaneo.
Le cause di gran lunga più significative per le riforme monetarie a Roma fossero una mancanza di fondi statali per le
spese e un desiderio moralistico e conservatore di ritornare a standard migliori e più antichi, ma fra le altre possibilità
c'è l'ipotesi che la riduzione degli standard monetali fosse dovuta all'intenzione di compensare il rialzo dei prezzi.
Cause di inflazione
Lo studio dell'aumento dei prezzi nell'antichità non può dare risultati precisi per via della documentazione scarsa e
irregolare sul livello dei prezzi.
1° PROBLEMA: i prezzi variavano secondo la quantità, la qualità, la stagione e il luogo;
2° PROBLEMA: parte delle fonti a nostra disposizione riguarda prezzi ufficiali di transazioni con lo stato, e questi
potevano essere stati fissati a livelli artificiali piuttosto che a livelli di mercato.
3° PROBLEMA: l'Egitto è la sola area per la quale vi sia conservato un numero significativo di prezzi per un lungo
periodo.
L'Editto sui Prezzi di Diocleziano è esplicito sull'esistenz di variazioni regionali nel livello dei prezzi e dell'inflazione.Le
monete stesse possono fornire una testimonianza della generalizzazione del fenomeno inflazionistico per il modo in
cui i nominali più bassi scomparvero dal sistema, probabilmente proprio in risposta al rialzo dei prezzi.
ESEMPI:
- ad Afrodisia il nominale più piccolo dell'età ellenistica sparì sotto Augusto;
- a Smirne il quarto di assario non durò oltre Traiano;
- in Egitto la produzione di spiccioli di metallo vile al di sotto del tetradrammo (biglione) diminuì rapidamente dopo il
regno di Marco Aurelio.
Questo progressivo abbandono dei nominali bassi in tutto il mondo romano fa pensare ad una tendenza generale,
anche se non necessariamente ininterrotta, all'aumento dei prezzi nominali dal II secolo a.C. in poi lungo tutto il
periodo imperiale.
Per spiegare l'inflazione dei prezzi si possono analizzare tre fattori principali: quantità di moneta, svalutazioni e riforme
monetarie.
La quantità di moneta
Equazione di Fisher: la quantità di moneta moltiplicata per quanto lavora il denaro (velocità) è uguale al numero di
transazioni monetarie moltiplicato per il prezzo al quale avvengono tali transazioni (MV = PT). Questa equazione
rappresenta un dato evidente ed è qndi sbagliato dubitare che essa possa essere applicata all'economia antica.
Ammettendo che la velocità e il totale dele transizioni monetarie siano costanti, allora un aumento nell'offerta di
moneta dovrebbe portare ad un aumento dei prezzi.
Una maggiore offerta di moneta infatti, potrebbe determinare un aumento della tesaurizzazione (diminuendo perciò
la velocità V), ma anche portare un aumento di produzione per il mercato monetizzato (aumentando così le
transazioni T).
Anche altri elementi nell'equazione possono determinare