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PARTE TERZA: RILEVAZIONE DEI DATI – TECNICHE QUALITATIVE
Le tecniche dell'analisi qualitativa non sono ben distinte fra loro dal punto di vista concettuale e
terminologico: per esempio, espressioni come “ricerca etnografica”, “ricerca sul campo”, “studi
di
comunità”, “osservazione partecipante”, “ricerca naturalistica” sono tutti più o meno sinonimi;
così
come interviste in profondità, interviste libere, interviste non strutturate, storia orale, approccio
biografico, ecc. indicano tecniche di rilevazione che spesso si distinguono solo per sfumature.
Che il processo della ricerca qualitativa sia privo di quella linearità che normalmente ha invece
nella ricerca quantitativa è fuori dubbio, tuttavia non è detto che al suo interno non possano
essere isolate delle tecniche o dei gruppi di tecniche. Ci è sembrato di poter raggruppare le
tecniche di rilevazione della ricerca qualitativa in tre grandi categorie basate su osservazione
diretta(osservare), interviste in profondità (interrogare), uso di documenti (leggere). Un'ultima
osservazione: si pensa talvolta che fare ricerca qualitativa sia più facile che fare ricerca
quantitativa (il cui apparato statistico-matematico può intimorire): nulla di più errato. È vero che
la ricerca quantitativa richiede la conoscenza di tecniche statistiche (spesso assai elementari).
Tuttavia
la ricerca qualitativa pretende un coinvolgimento interpretativo (la “comprensione” weberiana)
da
parte del ricercatore, impegnativo sul piano personale e culturale, che non è richiesto nella
ricerca quantitativa.
9. L'osservazione partecipante
9.1 Osservazione e osservazione partecipante
Con “osservazione partecipante” s'intende non una semplice osservazione , ma un
coinvolgimento
diretto del ricercatore con l'oggetto studiato. Il ricercatore osserva la vita e partecipa della vita
dei soggetti studiati. Due sono dunque i principi di fondo di questo approccio: a) che una piena
conoscenza sociale si possa realizzare solo attraverso la comprensione del punto di vista degli
attori sociali, mediante un processo di immedesimazione nelle loro vite; b) che questa
immedesimazione sia realizzabile solo con una piena e completa partecipazione alla loro
quotidianità, in un'interazione continua e diretta. Possiamo dunque definire l'osservazione
partecipante come una strategia di ricerca nella quale il ricercatore si inserisce in maniera
diretta e per un periodo di tempo relativamente lungo in un determinato gruppo sociale preso
nel suo ambiente naturale, instaurando un rapporto di interazione personale con i suoi membri
allo scopo di descriverne le azioni e di comprenderne, mediante un processo di
immedesimazione, le motivazioni. In questo processo di coinvolgimento è importante che il
ricercatore riesca a mantenere un equilibrio fra due casi estremi, che Davis ha chiamato del
“marziano” e del “convertito”: il “marziano” cerca di farsi coinvolgere il meno possibile nella
situazione sociale studiata; il “convertito” pensa che solo l'immersione totale nella società
studiata gli possa fornire gli strumenti necessari per la sua comprensione, per cui finisce per
trasformare radicalmente la sua identità. Se un'eccessiva distanza impedisce la comprensione,
anche l'immedesimazione completa può essere di ostacolo in quanto la peculiarità del
ricercatore sociale sta nel saper portare nella situazione studiata interrogativi che nascono dalla
sua cultura e dalla sua esperienza. La tecnica dell'osservazione partecipante nasce nella
ricerca antropologica a cavallo fra il XIX e il XX secolo: su Malinowski (che condusse i suoi studi
nelle isole Trobriand) a codificare i principi di questo approccio.
9.2 Campi di applicazione e sviluppi dell'osservazione partecipante
L'osservazione partecipante può essere applicata allo studio di tutte le attività umane e a tutti i
raggruppamenti di esseri umani. Ci sono però dei settori in quali questa tecnica è
particolarmente utile: - quando si sa poco di un certo fenomeno (un nuovo movimento politico,
un evento sociale imprevisto come una ribellione, ecc.) - quando esistono delle forti differenze
fra il punto di vista dall'interno e quello dall'esterno (gruppi etnici, organizzazioni sindacali,
gruppi professionali come medici, avvocati, ecc.) - quando il fenomeno si svolge al riparo da
sguardi estranei (rituali religiosi, vita familiare, rapporto tra medico e paziente, ecc) - quando il
fenomeno è deliberatamente occultato agli sguardi degli estranei (comportamenti illegali o
devianti, associazioni segrete, sette religiose, ecc) Una situazione nella quale l'osservazione
partecipante si propone come strumento naturale d'indagine si ha quando il ricercatore intende
studiare una realtà della quale ha fatto (o fa) lui stesso parte, dando luogo a quella che è stata
anche chiamata sociologia autobiografica. Va però detto che l'autobiografia che diventa ricerca
non rappresenta il caso ideale di osservazione partecipante, ed è esposta a non poche critiche.
In base all'obiettivo che si pongono, le osservazioni partecipanti possono essere di due tipi:
Studi di comunità
Si tratta di ricerche condotte su piccole (o relativamente piccole) comunità sociali,
territorialmente localizzate, che comportano il trasferimento del ricercatore nella comunità
studiata, nella quale egli si appresta a vivere per un certo periodo di tempo. Un classico
esempio è la ricerca dei coniugi Lynd, che nel 1924 si trasferirono in una piccola città di
provincia americana, con un approccio del tutto simile a quello dell'antropologo che studia una
tribù primitiva.
Studi di subculture
Sono studi che riguardano subculture sviluppatesi all'interno di segmenti sociali delle società
complesse, che possono rappresentare aspetti della cultura dominante (giovani, ricchi, avvocati,
militari, partito, tifosi...) o essere con essa in parziale conflitto (setta religiosa, partito
rivoluzionario, giocatori d'azzardo, minoranze etniche...) o in aperto conflitto (gruppi terroristici,
carcerati, movimenti politici radicali...). Agli inizi furono soprattutto le culture diverse e alternative
alla società dominante ad attirare l'attenzione dei sociologi: una delle ricerche più note è quella
di William Foote Whyte, che si trasferì nel quartiere più degradato di Boston per studiare la
criminalità organizzata. Progressivamente si ricorse all'osservazione anche per studiare la
cultura di settori sociali facenti parte a pieno titolo della società “ufficiale”. Assai frequenti sono,
per esempio, gli
studi sulla vita e la condizione sociale di specifiche categorie di lavoratori, condotti facendosi
assumere in una determinata posizione professionale. Tuttavia, l'osservazione partecipante
resta la tecnica ideale per lo studio della devianza, della marginalità sociale, di minoranze
etniche, di sette
religiose, di organizzazioni chiuse, di gruppi “alternativi” in tutti i sensi.
9.3 Osservazione palese e dissimulata: l'accesso e gli informatori
Un'importante distinzione fa riferimento all'esplicitazione o meno del ruolo dell'osservatore. Egli
infatti può rendere noti oppure dissimulare i suoi reali obiettivi: può dichiarare apertamente e
preliminarmente di essere un ricercatore, oppure può inserirsi fingendo di aderire e di essere un
membro come gli altri. La principale giustificazione portata a sostegno dell'osservazione
dissimulata sta nel fatto che l'essere umano, se sa di essere osservato, si comporta
presumibilmente in maniera diversa da quella abituale. Ci sono tuttavia forti controindicazioni a
questo proposito. La prima è di carattere morale: presentare un'identità diversa dalla propria,
assumere un ruolo simile a quello di una “spia” è un fatto di per sé riprovevole, accettabile solo
se forti motivazioni etiche lo sostengono. La consapevolezza di stare ingannando potrebbe
creare nel ricercatore uno stato di disagio e di scarsa naturalezza difficili da gestire. Inoltre,
interviste esplicite o domande troppo insistenti possono essere impossibili se l'osservatore non
manifesta il suo ruolo e i suoi obiettivi. È presente il rischio di essere scoperti, con conseguenze
non facilmente prevedibili (specie quando si tratta di gruppi devianti o che conducono attività
illegali). Vi sono casi in cui il problema dell'esplicitazione non si pone (es. studi sul
comportamento della folla in uno stadio, sul corteggiamento dei giovani nelle sale da ballo...);
altre volte la questione si presenta non in forma di aperto inganno, ma di omissione, e cioè di
semplice non esplicitazione del proprio ruolo (es. studioso che si fa assumere in una fabbrica
per studiare le condizioni di vita degli operai). In questi casi spesso il ricercatore combina una
normale attività di lavoro con il suo obiettivo di studio, e non è necessario che egli espliciti le
sue reali intenzioni, a meno che non voglia andare oltre le normali relazioni. In tal caso, può
essere utile rivelarsi solo ad alcuni membri della comunità osservata (si parla di ruolo
semidissimulato). In generale, in uno studio di comunità, il fatto di dissimulare il proprio ruolo va
in linea generale escluso: la gente non sarà disposta a concedere interviste senza una
ragionevole motivazione. Nelle restanti situazioni non è possibile dare un orientamento
generale, ma la scelta dovrà essere valutata caso per caso. Una volta stabilita la modalità di
osservazione (dissimulata o palese), il primo problema è rappresentato dall'accesso, uno dei
momenti più difficili. Il modo più comune per risolvere il problema è l'intervento di un mediatore
culturale: questa tattica si basa sul ricorso alla credibilità e al prestigio di uno dei membri del
gruppo per legittimare l'osservatore e farlo accettare dal gruppo, che deve essere informale. A
volte esistono infatti regole formali per accedere, altre volte occorre chiedere l'autorizzazione
dei “guardiani”, cioè delle persone preposte al controllo dell'accesso. Naturalmente, una volta
ottenuto l'accesso, il ricercatore è solo all'inizio del suo lavoro. La fiducia degli osservati è tutta
da conquistare, mediante una paziente tessitura giorno dopo giorno. A influire sono anche
alcune caratteristiche visibili dell'osservatore: età, genere, etnicità. In ogni caso, permane la
necessità di instaurare rapporti privilegiati con alcuni dei soggetti studiati. Vengono
normalmente denominati informatori quegli individui appartenenti alla comunità che
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