Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
LA CULTURA ARCHITETTONICA
Secondo la tradizione molti architetti hanno pensato per immagini. Non si tratta di una cosa ovvia
in quanto non in linea con ciò che si è comunemente creduto.
Numerosi filosofi, nei secoli precedenti, sostenevano che gli uomini pensano per mezzo di idee
che sono rappresentate dalle parole.
Ad esempio la parola “porta” si riferisce all’idea di una barriera mobile che permette l’entrata
all’interno di un ambiente. 10
In realtà i progettisti pensano agli oggetti, pensano alle porte con caratteristiche specifiche dal
materiale alla realizzazione. In altre parole pensano alla porta come qualcosa di tangibile e
concreto. Per questo motivo non si può progettare e disegnare con le parole.
Nonostante ciò vi sono professori di progettazione che chiedono agli studenti di parlare del
concetto del loro progetto.
Perché spesso gli architetti sono tenuti ad esprimere a parole le immagini del loro progetto?
Perché il progetto deve essere ridotto per forza a qualche sunto logico e breve?
A proposito di ciò vi è un problema in quanto, negli ultimi anni, il pensiero architettonico ha assunto
una linea sempre più razionalista e sempre meno poetica.
Anche l’avvento della tecnologia (utilizzo del pc nella progettazione) ha collaborato allo sviluppo di
questo fenomeno.
Le immagini e le parole
I linguisti negli ultimi decenni hanno notato che sta succedendo qualcosa di particolare nel
linguaggio: la maggior parte delle parole impiegate nei discorsi sono metafore.
Ad esempio dire “il mio comportamento ti fa uscire di testa” significa spingere l’interlocutore in un
luogo, in una dimensione che non è esattamente felice.
A ragion di ciò nel 1980 il linguista George Lakoff e il filosofo Mark Johnson scrivono un volume dal
titolo Metafora e vita quotidiana in cui riflettono su come la lingua sia strutturata essenzialmente da
espressioni metaforiche di immagini relative al corpo umano (ad esempio “mi alzo la mattina e
cado addormentato la sera”).
Oltre Lakoff e Johnson, nel 1969 Rudolf Arnheim ha pubblicato Il pensiero visivo ed in seguito La
dinamica della forma architettonica secondo cui ogni metafora nasce dalle forme e dalle azioni
espressive che hanno luogo nel mondo fisico. Secondo l’autore, inoltre, le metafore architettoniche
sono simboli sensoriali (ad esempio la luce mattutina che attraversa le finestre di un coro
medievale e cade sull’altare).
Secondo concezioni, sviluppate nel XX secolo dalle scienze biologiche, il cervello, nella
rielaborazione sensoriale e nella creazione di immagini, opera attraverso il riconoscimento di
modelli rappresentati principalmente dalle metafore. Sopra/sotto, fronte/retro, equilibrio/movimento
sono tutte categorie metaforiche o esistenziali attraverso cui noi leggiamo il mondo.
Ad esempio il mercato azionario oggi scende e magari domani sale.
Come conseguenza a queste affermazioni due sono le questioni che si possono sollevare:
1. Se il cervello umano tende a pensare metaforicamente a seguito di una organizzazione di
immagini visive, come ha fatto a sviluppare una tale struttura neurologica e quali implicazioni
ha per i progettisti?
2. Quale relazione hanno le metafore con l’espressione artistica?
In risposta al 1 quesito:
le immagini sensoriali hanno davvero una spiegazione neurologica. Un esempio che può
spiegare al meglio ciò è dato dalla metafora “l’affetto è calore”: se una persona è insensibile
diciamo che “è dal cuore freddo” mentre se una persona si mostra amorevole diciamo che è
“amorevole e calda”. Espressioni di questo tipo prendono corpo dall’affetto che un bambino riceve
fin da quando è tenuto amorevolmente in braccio dal genitore. L’affetto ricevuto nei primi anni di
vita determina un collegamento tra le aree deputate all’elaborazione dell’affetto (circuito edonico) e
quelle deputate alla temperatura (corteccia sensoriale).
La maggior parte delle metafore si riferiscono a movimenti e relazioni con il corpo.
In risposta al 2 quesito:
il neurologo Ramachandran evidenzia la somiglianza tra pensiero metaforico nelle arti e la
condizione neurologica della sinestesia, per cui alcune aree del cervello, di norma separate nel
funzionamento, possono spesso collegarsi tra loro.
Ad esempio l’area di elaborazione di numeri può essere connessa a quella che si occupa
dell’elaborazione dei colori: quando uno vede un numero ad esempio 5, può vederlo blu o verde.
Secondo il neurologo gli artisti presentano una probabilità 7 volte maggiore di presentare questa
condizione. Dunque l’abilità degli artisti sta nell’abilità di creare metafore, collegando nel cervello
elementi apparentemente estranei tra loro.
In conclusione anche l’iperconnettività (ottenere info da aree spazialmente distribuite nel cervello)
e il pensiero metaforico sono collegate alla creatività.
11
Embodiment radicale
La scoperta dell’esistenza dei neuroni specchio, avvalora alcune scoperte e ne mette in
discussione altre. Questa è avvenuta intorno ai primi anni Novanta, grazie ad un gruppo di
scienziati dell’Università di Parma. I neuroni specchio, situati nei lobi parietali e frontali ci
permettono, in maniera preconscia, di entrare in relazione con le azioni, le intenzioni e le emozioni
altrui e simularle mentalmente.
Le aree in cui sono stati individuati i neuroni, per la prima volta, sono la corteccia premotoria in
cui risiede anche la capacità di parlare.
Il fatto quindi che i neuroni premotori siano legati a quelli del linguaggio parlato impone una diversa
spiegazione del linguaggio in quanto secondo alcune teorie del linguaggio tradizionali, esso è
considerato come un processo di astrazione concettuale e quindi come qualcosa che dovrebbe
avvenire in aree altamente specializzate del pensiero.
Lakoff e Vittorio Gallese, scopritori dei neuroni specchio hanno creato un nuovo modello
linguistico.
I vari sensi quali vista, udito, tatto ed olfatto sono integrati tra loro per ogni evento che avviene
nell’ambiente e allo stesso tempo sono anche controllati e mappati nelle aree della corteccia
sensorimotoria deputate alla produzione e al controllo dell’azione.
Gli oggetti sono concettualizzati, non in modo astratto per mezzo di simboli, bensì simulando
preventivamente come questi dovranno essere utilizzati o maneggiati.
Le metafore sono certamente un fondamento concettuale affinché abbiano luogo la simulazione
delle azioni e la loro elaborazione.
La capacità di parlare con le parole sembra non essere altro che un prodotto dei neuroni specchio
e riflette il processo neurologico e corporeo del modo in cui i nostri corpi si rapportano con
l’ambiente.
Il fatto di percepire l’ambiente con tutto il corpo potrebbe essere una cosa ovvia, ma per molti
architetti non lo è in quanto tendono a pensare gli edifici come una cosa astratta piuttosto che
come un ambiente che può essere vissuto, toccato.
Il filosofo Evan Thompson nel 1999 ha pubblicato un articolo in cui la dinamica della coscienza
neuronale era descritta come una condizione di embodiment radicale: il sistema nervoso, il corpo
e l’ambiente sono sistemi dinamici collegati ed intrecciati tra loro a vari livelli.
Questa integrazione è realizzata su 3 livelli di funzionamento:
1. regolazione organistica e omeopatica del corpo;
2. accoppiamento sensori-motorio tra organismo e ambiente (come un organismo si muove e
percepisce attraverso i sensi);
3. le interazioni sviluppate con altri soggetti grazie alla presenza dei neuroni specchio.
Thomson in un altro articolo sosteneva l’empatia come un elemento di determinazione delle
intenzioni di sé e degli altri.
In questo modello la cultura non è una forza esterna ma qualcosa che è già nel tessuto di ogni
mente umana fin dall’inizio e che può essere sviluppato durante l’evoluzione cognitiva.
La plasticità cerebrale
La comprensione del processo della plasticità cerebrale è stata uno dei momenti più importanti
nella scienza del XX secolo. La plasticità implica che le relazioni sociali, tecnologiche e ambientali
siano in grado di modificare l’architettura neuronale del cervello (possibilità del cervello di ricablarsi
nel corso della vita).
Il cervello vanta una natura dinamica.
La plasticità permette al cervello di essere capace di autoripararsi. Per esempio persone che
hanno subito un ictus o danni corticali nelle aree linguistiche dell’emisfero sinistro possono spesso
recuperare in parte o totalmente l’uso della parola ricablando altre aree della neocorteccia.
La plasticità, però può oltre che potenziare anche limitare i processi cognitivi e percettivi.
12
Non a caso appunto, questa nuova comprensione della plasticità cerebrale ci dice che siamo più
sensibili alle influenze delle tecnologie e della cultura di quanto ne fossimo in passato.
La cultura architettonica ha avuto anch’essa un’evoluzione digitale. Ponendo questo nell’ottica
della plasticità neuronale ci si chiede se la progettazione al computer modifica necessariamente il
modo in cui vediamo, pensiamo il progetto.
Un cambio culturale
L’ idea di cultura e come essa funzioni ha subito una profonda trasformazione nel corso dei secoli.
La cultura era considerata secondo Hegel un ampio sistema dialettico che opera secondo dei
principi storicistici precisi. Secondo questa visione lo spirito del periodo storico imprime la mente
individuale, e in maniera collettiva l’intera cultura, per mezzo della forza del progresso.
Verso la metà del XX secolo Darwin diede una spiegazione alternativa: la mente non era aperta
all’azione di forze culturali in quanto la vita possiede le proprie caratteristiche biologiche interne e
istinti biologici che comportano schemi di comportamento definiti.
Sul finire del XX secolo fu aggiunto, nell’equazione culturale, un aspetto importantissimo: la
psicologia.
Secondo l’architetto Goller (fece una tesi di psicologia) il cambiamento culturale, di stile
nell’architettura avviene non a causa di forze maggiori bensì a causa di un malfunzionamento
interno del cervello.
Nel 1887 egli pubblicò un saggio “Qual è la causa del perpetuo cambiamento di stile in
architettura?” in cui definisce l’architettura come unica tra le arti, un gioco privo di significato fatto
di luci e ombre, di linee e di forme. Egli costruisce un processo di cambiamento stilistico attorno a
due concetti psicologici:
1. la memoria iconica
2. lo stufarsi
La memoria iconica di uno stile architettonico si basa sulle immagini stilistiche della propria
cultura che pian piano acquisiscono sempre più chiar