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ARCHITETTURA E GENERAZIONI FUTURE
L’architettura è un campo in cui l’intervento umano genera conseguenze rilevanti che
perdurano nel tempo anche per centinaia di anni. Per questo motivo è ovvio aspettarsi
dagli architetti una riflessione sui propri obblighi morali nei confronti delle generazioni
future.
In pratica così non è, in quanto l’architettura non prende solitamente in considerazione i
nostri obblighi verso le generazioni future.
L’organizzazione dello spazio produce differenti modi d’azione: azioni facili e probabili e
azioni difficili ed improbabili. Poiché l’architettura si basa sulla progettazione dello spazio,
essa è automaticamente progetto di agevolazione o ostacolo ad alcune azioni.
Si può dire, così, che l’architettura agirà innegabilmente sulle vite delle persone sia
esistenti che future.
Detto ciò come mai sono pochi gli architetti che tengono in considerazione gli effetti dei
progetti sulle persone future?
Una prima risposta potrebbe essere l’incapacità di prevedere il futuro dal punto di vista
sociale.
TESI DELL’IMPREVEDIBILITà SOCIALE
Le previsioni sociali sono impossibili e sulla base di ciò pare chiaro che non saremo in
grado di sapere quali saranno le dinamiche, le relazioni sociali, i bisogni e i desideri della
persone future.
Per questo motivo non si può tenere conto in architettura delle generazioni future che
vivranno tra 150-200 anni.
Questa tesi può essere utilizzata come argomento a favore di un primo atteggiamento
che l’architetto può avere nei confronti delle generazioni future, ovvero quello di
ignorarle.
Ogni eventuale azione dell’architetto potrebbe essere tanto utile quanto dannosa, tanto
gradita quanto sgradita etc. nei confronti delle generazioni future. Per questo motivo tanto
vale compiere azioni valutate migliori per le generazioni esistenti.
In altre parole è necessario progettare solo per le generazioni esistenti e l’unico modo per
tener conto delle generazioni future è quello di non tenerne conto.
Questa è la posizione più diffusa tra gli architetti.
Esistono posizioni alternative a questa?
Partiamo dalla TESI DEL MINIMO CONDIZIONAMENTO, la quale prevede che la
soluzione migliore per le generazioni future, supposto che ignoriamo come vivranno e che
l’architettura che lasceremo le condizionerà, sia quella di condizionarle il meno possibile.
Il compito dell’architetto è quello di pensare alle generazioni future cercando di
condizionare il meno possibile le loro vite.
In che modo?
L’architetto deve progettare funzioni prime variabili (funzioni d’uso) e funzioni
seconde (funzioni simboliche) aperte (secondo atteggiamento).
Se il progetto ammette sole le funzioni assegnate è probabile che esso sia meno propenso
ad ammetterne di nuove che le future generazioni vorranno assegnargli.
Cosa significa progettare funzioni prime variabili e seconde aperte?
Il secondo atteggiamento potrebbe richiedere un indebolimento dell’idea del progetto.
A questo proposito nascono diversi paradossi:
1. Lasciare la massima libertà alle generazioni future potrebbe significare rinunciare il più
possibile alla nettezza e specificità delle scelte di progetto.
2. Il progetto dovrebbe dire alle generazioni future “Siate spontanei! Utilizzate l’oggetto
architettonico come volete!”
C’è qualcosa di contraddittorio nel dire “Siate spontanei!” in quanto di tratta di un ordine
a cui bisogna obbedire, essendo spontanei, quindi cessando di obbedire ad ogni ordine
questo (essere spontanei implica ciò).
Soffermandoci sul primo paradosso potremmo uscirne attraverso la TESI DELLA NON
RINUNCIA ALLE SCELTE NETTE NEL PROGETTO.
Solo progettando fino in fondo e compiendo scelte in grado di chiudere alcune strade, è
possibile massimizzare le possibilità che le future generazioni siano messe nelle
condizioni migliori per effettuare le loro migliori scelte.
In altre parole è necessario progettare con scelte nette e rifuggire da scelte generiche,
annacquate e a metà.
Le scelte nette dovranno essere individuate in vista dei bisogni delle generazioni esistenti
o delle generazioni future?
Se rispondiamo che le scelte da effettuare andranno individuate in vista delle generazioni
future allora ci si distanzia sia dal primo che dal secondo atteggiamento e otteniamo un
terzo atteggiamento.
Quest’ultimo prevede che l’architetto abbia il coraggio di imporre alcune funzioni
chiuse alle generazioni future.
Ragionando l’architetto scoprirà che le generazioni future beneficeranno del ricevere
alcuni vincoli forti che verranno unilateralmente forniti.
Si tratta di una concezione chiaramente paternalistica del progetto in quanto l’idea di
fornire la massima libertà non è detto che generi il maggior bene di una persona o di un
gruppo di persone.
In questo caso la tesi della imprevedibilità sociale viene negata in maniera limitata per
quanto riguarda alcuni ambiti e per questo motivo si può formulare una tesi correttiva:
TESI DELLA PARZIALE PREVEDIBILITà SOCIALE.
Questa tesi sostiene che nonostante l’imprevedibilità dello sviluppo sociale, politico e
culturale, esistano dei bisogni umani che resteranno gli stessi per tutte le generazioni in
quanto si tratta di universali connessi alla natura umana. Oltre ciò anche alcune linee di
tendenza ci possono far prevedere con alta affidabilità che fenomeni di un certo tipo si
moltiplicheranno o affievoliranno.
La Tesi della Parziale Prevedibilità Sociale indica due direzioni chiare che possono essere
intraprese per individuare le funzioni chiuse.
1. Progettare funzioni chiuse per le generazioni future significa progettare le stesse
funzioni chiuse per le generazioni presenti in quanto si tratta di funzioni che incontrano
bisogni universali. Così facendo un solo atto progettuale soddisfa entrami le
generazioni.
2. Progettare funzioni chiuse che incontrano bisogni specifici delle generazioni future.
Questi ultimi potrebbero non corrispondere con quelli delle generazioni presenti. Quindi
a questo proposito si manifesta necessario scegliere a quali bisogni dare la priorità.
Appare chiaro dover bilanciare gli interessi della generazione presente e quelli delle
generazioni future. A proposito di ciò la TESI DEL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI.
Nel caso il progetto assegni la priorità agli interessi delle generazioni future, ciò può
significare due cose:
1. Si va incontro a bisogni ed interessi delle generazioni future che si prevede saranno
anche desideri e richieste delle stesse generazioni future.
Il criterio guida è rappresentato dai desideri delle generazioni future, i quali dovranno
essere previsti.
2. Si va incontro a bisogni ed interessi delle generazioni future che si prevede non
saranno né desideri né richieste delle stesse generazioni.
Il criterio guida è rappresentato da ciò che rappresenta un bene per le generazioni
future e che anch’esso dovrà essere previsto.
Questa diversificazione è di notevole importanza. Il primo modello è di ispirazione
libertaria: ad ognuno è dato ciò che desidera, per quanto i desideri possano anche non
essere un bene.
Questo modello potremmo chiamarlo modello delle merendine o delle patatine fritte: cibo
desiderato ma non benefico.
Il secondo modello è di ispirazione paternalistica: ad ognuno è dato ciò che per lui
rappresenta un bene, per quanto ciò non sia desiderato o voluto.(Ciò che hanno fatto gli
architetti modernisti ad esempio Le Corbusier con L’unité d’habitation in cui sembra
affermare come gli utenti debbano vivere).
Questo modello potremmo chiamarlo modello delle verdure: cibo non desiderato (per lo
più dai bambini) ma benefico e salutare.
Adottando il terzo atteggiamento e progettando funzioni chiuse, tenendo conto delle
generazioni future, è necessario classificare le funzioni chiuse secondo tre fondamentali
classificazioni:
1. Funzioni chiuse che vanno incontro a bisogni universali VS bisogni specifici delle
generazioni future.
2. Funzioni chiuse che vanno incontro ai bisogni delle generazioni future che coincidono
VS bisogni che non coincidono con quelli delle generazioni presenti (qui entra in gioco
bilanciamento interessi).
3. Funzioni chiuse che vanno incontro a bisogni come desideri (modello merendine) VS a
bisogni come necessità o benefici contrastanti con i desideri (modello verdure)
Rivali del terzo atteggiamento potrebbero sostenere che le funzioni chiuse potrebbero
ostacolare le libere volontà del reuse.
Un sostenitore può, invece, asserire che i vantaggi sono superiori agli svantaggi. Ad ogni
modo la storia insegna che la libertà nel reuse tanto più è ostacolata tanto più trova dei
modi creativi per dispiegarsi.
A proposito del ruolo dei vincoli sulla creatività:
TESI DEL RUOLO POSITIVO DEI VINCOLI SULLA CREATIVITà: quanto più i vincoli
dono stretti tanto maggiore è il beneficio per la creatività ed il valore estetico. Un poeta
lasciato alla più assoluta libertà compositiva potrebbe avere più problemi rispetto ad un
poeta a cui sia imposta, per esempio, una struttura rigida come il sonetto.
Possiamo pensare anche a quanto il vincolo della censura abbia favorito il cinema durante
il periodo in cui era attiva, e infatti ci si è prodigati nel dire certe cose in altri termini.
Detto ciò, possiamo occuparci del secondo paradosso.
Progettare la spontaneità è certamente un serio problema. Prendiamo come esempio il
progetto di un ‘area in cui i giovani possano accorrere per spontanee riunioni notturne
nelle quali si chiacchiera e si bevono bevande alcoliche (botellòn).
Un buon architetto potrebbe sostenere che la spontaneità non si possa progettare, il
botellòn ha bisogno di accadere in un luogo che non sia stato progettato per la sua
funzione e che quindi l’unico modo per far si che esso avvenga è lasciare il luogo
abbandonato.
In questo modo diventa evidente che un buon modo per risolvere il secondo paradosso sia
quello di non progettare.
Quindi, un altro atteggiamento (quarto atteggiamento) che l’architetto può assumere è
quello di non progettare.
Solo in questo modo le generazioni future saranno libere di iniziativa e potranno progettare
se stesse, i propri territori e le proprie città senza nessun residuo dei progetti passati.
Da ciò è possibile dedurre che l’architetto sarà costretto a cambiare mestiere in quanto
progettare significa, appunto, smettere di fare l